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mercoledì 2 aprile 2014

MARIA TERESA SANTALUCIA SCIBOMA: SU "LA POESIA"

Reputo necessario fare una breve introduzione sulla delicata fase emotiva, che accompagna il momento creativo di ogni autore.


E pur ammirando e condividendo alcuni argomenti esposti dal bravo Prof. Giorgio Linguaglossa (riferimento all’intervista del 25/02/2014 a Giorgio Linguaglossa su questo blog), tento di profilare il concetto della mia visione poetica, maturata in un diverso ambito culturale. Come l’acuto critico, vivo isolata anzi reclusa nella mia tana. Malgrado gli scoramenti dovuti alla mia invalidante paralisi, non ho mai abbandonato la serena speranza e il desiderio impetuoso di vivere.
Sin dagli albori, presso tutti i popoli, l'uomo ha avvertito il desiderio di coltivare il senso del bello creando armoniose opere d'arte per i posteri.
Nella storia culturale dell’umanità il sentimento estetico è ineludibile e costituisce un bisogno psichico innato e primario.
Mai come oggi, mi sembra importante dare spazio alla categoria immateriale per riappropriarci della nostra integrità psicofisica.
Se invece prevarrà il consumismo e si lascerà inaridire la vita interiore e il sentimento estetico, pure la nostra fantasia ormai priva di stimoli si appiattirà, l'estro creativo rimarrà cristallizzato e negletto.
Sin dai remoti tempi di Virgilio, ci è stato tramandato che i più significativi testi poetici sono intrisi di silenzio.
Nella sua alta concezione di elaborazione creativa, la poesia doveva possedere l’essenza della parola, affinché essa potesse contribuire ad elevare l’umano spirito e tentare di avvicinarsi al misterico concetto dell’assoluto.
Anche il sommo Dante trovò giusto tale sottile impostazione poetica, infatti nella terza Cantica del Paradiso col suo linguaggio tende alla perfezione della propria anima e attraverso la sapienza e la scienza tenta di avvicinarsi alle sublimi altezze della sfera celeste.
Dante infatti identifica l’Eterno come splendida luce e via via che l’essere umano si avvicina a Dio, ossia, alla divina luce, i suoi pensieri e il suo canto diverranno gradualmente incorporei e più densi di alata spiritualità. 
Tale incessante desiderio di sopranaturale pone in ogni tempo e ad ogni poeta il senso del proprio limite, insito nella sua terragna umanità che gli impedisce di decollare negli infiniti cieli come avrebbe desiderato.
Egli cerca di conciliare la propria materialità senza materialismo, però è consapevole che qualsiasi parola anche la più raffinata, risulta inefficace ad esprimere la suprema bellezza dell’inesprimibile .
E quindi necessariamente, subentra il silenzio che ristabilisce con un rigoroso mutismo, la gerarchia delle emozioni e delle sensazioni.
L'esigente concetto del silenzio in poesia, è sentito anche da Shakespeare quando dice: “nella triste vastità e nel mezzo della notte, qualcosa succede tra la” triste vastità e il mezzo”. Si crea un intiero spazio, una spaziosità di nera notte”. Perciò, l’inadeguato mezzo espressivo, per quanto sia luminoso e impalpabile, non è che un tenue "barlume" capace di subire una brusca contrazione vibratile, paragonabile al nulla, ossia al sovrano silenzio.

M. Teresa Santalucia Scibona

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