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domenica 4 maggio 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "LA RIVA VERDE", DI A. ASSINI



             


                        
Adriana Assini: La Riva Verde
Scrittura & Scritture. Napoli. 2014. Pg. 184. €. 12,50

Una rinfrescata di modernità che fa della Storia un racconto
a noi vicino

Guerra dei cent’anni: desolazione, campagne abbandonate, vedette per mettersi al riparo entro le mura, pestilenze (celebre quella del Boccaccio: “Nell’anno del Signore 1348 la mortifera pestilenza giunse a Firenze…”); un tremendo flagello in Europa;  interrogatori e sentenza del 24 maggio 1431 per Giovanna D’Arco: “…per questo motivo noi ti giudichiamo come eretica  e stimiamo che tu sia da espellere dalla Chiesa e che tu debba essere consegnata alla potenza secolare”; una guerra, appunto, questa dei cent’anni, che finendo nel 1453, si trascina fino alle soglie dell’età moderna. 


Ma per quanto riguarda Bruges, località in cui si sviluppa la maggior parte degli avvenimenti del nostro romanzo, il mercato della lana, dei vestiti, e l’industria tessile vi prosperano fin dal XII secolo, grazie  alla stabilità garantita dal patronato dei conti di Fiandra. Tra il XIII e il XIV secolo il re di Francia Filippo il Bello invia nella regione una forza di occupazione per annettere le Fiandre. Ma la città si ribella in massa e caccia i francesi durante i famosi Mattutini di Bruges; successivamente il predominio sul fiorente mercato tessile di cui Bruges è il centro commerciale sarà una delle principali cause di questa ferale guerra tra Francia e Inghilterra.
       È in questo periodo che si dipanano gli avvenimenti del romanzo La riva verde di Adriana Assini… Un romanzo di intrighi , di vicende, che, anche se ben collocate storicamente, vanno al di sopra dei fatti per la singolarità dei personaggi e per la contemporaneità dei nèssi che ne fanno una storia attualissima: rivalità, amore conteso, contorni ambientali di supporto alla psicologia degli attori. 

Già fin dai primi accenni si può percepire il saggio uso che la scrittrice fa del paesaggio. Si apre con una scena tridimensionale, da cinemascope: “Un vento salato muggiva su Bruges. Il cielo, gessoso, incombeva sui vicoli, lambiva i possenti bastioni e le torri, incorniciando in una fredda aureola lo scuro castello del conte”. Un quadro di manzoniana memoria che riporta al simbiotico mèlange fra natura e psiche, e che fa da prodromico avvio all’avvicendamento degli interpreti principali: Greta du Glay, vecchia, vergine, folle; una specie di fattucchiera; Rose, figlia di jakob, timida di sorgente, vergine, promessa a certo Jan, al soldo di suo padre, ma innamorata di Robin Campen, di parte avversa (lavorava la robbia, il rosso). In contesa erano i tintori del rosso e quelli del blu.  E i fatti si susseguono con un incalzante fluire narrativo, ma più che altro con una sequela dialogica secca e apodittica di grande effetto attrattivo. Qui sta la novità della prosa di Adriana: il gioco analitico delle vicende. Ogni parte della narrazione volge a delineare la varietà dei caratteri sulla scena, a fare della passione storica dell’autrice un serbatoio di input umani che si traducono in sentimenti universali; 

sentimenti che si distaccano dal periodo per trasferirsi oltre il tempo, oltre gli avvenimenti stessi. I conflitti di classe, l’amore condizionato che ambisce alla piena libertà, i raggiri, come tanti ce ne sono ai nostri tempi. Là la paura dei lupi e dei lampi; oggi la stessa paura per motivi non certo meno pericolosi. Là un nugolo di donne che sfida la sorte contro la tirannia maschile, qui quell’attuale femminismo che tende a valorizzare il ruolo della donna. Per non dire di assassinî e fughe inaspettate, che tanto hanno a che vedere con gialli che viviamo ogni giorno. Insomma una rinfrescata di modernità che fa dell’opera un racconto a noi vicino; un racconto che pulsa di passioni e contaminazioni emotive di grande sostanza e potenzialità creativa. Ed è un piacere abbandonare il pensiero a quegli amori contrastati, a quelle lotte per la libertà, a quegli intrighi che sanno tanto di vita comune, di normali quanto occasionali accidents di un percorso che si dipana con una tale fluidità da tenere avvinto il lettore fino alla fine. Sì!, un andare senza vuoti, senza inceppi, dove gli uomini, le donne, le abitudini, i contrasti si stagliano davanti all’anima con una tale generosità esplicativa da lasciare senza fiato. 

La campana del Beffroi a preannunciare gragnole di guai.  Margot che irrompe nella bottega ad annunciare che i blu hanno sorpreso i rossi nei canali (“… i residui dei coloranti avrebbero impiegato non meno di una settimana e, nel frattempo, loro rischiavano di veder al macero centinaia di rotoli di stoffa…”). Scaramucce. Rose che chiede di Robin: “Rose saltò su come se l’avesse punta una vespa e s’affrettò a chiedere di Robin, la cui sorte le premeva più dei suoi stessi parenti”. L’assemblea delle donne. La Compagnia della Conocchia: segretezza (Alix, Ysengrine dei Tigli, Greta, Rose, Margot). “Poco importava se le loro vite scorrevano senza svaghi… quanto un capo di bestiame, non alzavano la testa, non chiedevano giustizia”. E le vicende si susseguono incalzanti su una tessitura di solida tenuta, frutto di una frequentazione letteraria esperita in anni di contatti e di studi; un procedere vincolante per vaghezze semantiche, ed energia creativa;  coinvolgente per espansioni emotive volte a sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo. Perché alfine è la vita che domina nelle storie di Adriana, è la pulcritudine del dire, ed il trionfo dell’amore. 

Anche se su percorsi da Via Crucis. Su percorsi di polisemica significanza non solo storica, ma etica, religiosa, di pluralità umana, rafforzata da leggi che impediscono di affidare cadaveri alle mani impure di una donna. Rafforzata da slanci verso un Dio che non guardi tanto alle opere, quanto al cuore. 

E dove l’amore può raggiungere apici di intensità dai toni epico lirici: “Posso sfidare le mareggiate senza lasciarmi impressionare dai tuoni, ma senza Rose mi sento ancora un uomo perso, un uomo a metà”. Insomma una storia pepata, piena di contraccolpi, di sorprese, ora belle ora meno. D’improvvisi scompigli. Di abbandoni di alcune componenti dalla Compagnia. Di sospetti. Di fughe improvvise. Ma sta proprio nella simbiotica fusione degli opposti la verità della vicenda umana. E Adriana la sa raccontare ricorrendo proprio al polemos eracliteo, cosciente che la vita si dipana su un percorso breve, inaffidabile ma in cui sono in agguato notti amiche a lenirne le inquietudini: <<“Mi rattrista pensare che se Rose ritroverà  Robin non si unirà più a noi”.

“Perché mai? Non è forse la sua felicità che vogliamo?” si stupì Greta, osservando come la vita, in fondo, non fosse che un lungo succedersi di incontri e di separazioni>>.
       Sì, questa è la vita, e qui anche buona parte della filosofia di Adriana:
“…un’altra notte amica era in arrivo”.
A  voi la lettura, dacché il compito del critico è quello di introdurre non di rivelare. 

                                      Nazario Pardini
03/05/2014
             




3 commenti:

  1. che meraviglia! grazie Nazario.
    Adriana

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  2. Carissima Adriana,
    ti ringrazio del generoso apprezzamento.
    Nazario

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  3. bellissima lettura,un'opera che vorrò leggere
    Graziella C.

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