Donatella Zanello: Il
colore del mare. Edizioni Cinque Terre. 2013
Così grande è il mare,
lo sa il marinaio,
il saggio navigante
che vive il presente
e prevede il tempo futuro
guardando i movimenti
delle nuvole nel cielo…
Mi
è giunta stamani 12 giugno una plaquette di largo respiro, densa, umanamente
disumana tanto è lo slancio verso impossibili soglie che la poetessa tende a
fare sue con tutta la sua memorialità zuppata di salsedine. Una plaquette che
slarga sguardi verso orizzonti ai limiti del possibile, con una vis creativa e
una potenzialità fonico-cromatica che sgorga ex abundantia cordis. Il colore del mare: già dal titolo si
percepiscono quelli che sono i punti focali della silloge. Ma mi piace iniziare
la mia esegesi riportando una parte della postfazione dell’autrice che ci
introduce nel cuore del suo canto, nella vitalità armoniosa, gentile, e vissuta
del suo “poema”:
“ci
sono momenti in cui il bisogno di solitudine e di raccoglimento è un’esigenza
fondamentale. Ci sono momenti della vita in cui potresti impazzire se non riesci
più a parlare con la tua anima. Per questo io ti guardo, guardo il tuo ricordo
mentre tanto tempo è passato, per capire se nella tua storia c’è la storia
della mia vita, della nostra vita. La memoria è un bene troppo grande. La tua
memoria è la fonte della mia fiducia, è il filo che mi guida attraverso il
tempo… Ti alzi e te ne vai, trascinandoti stanco nella strada ormai vuota,
mentre il sole tramonta e le barche ondeggiano in rada. Soltanto io posso
raccontare i tuoi ricordi, perché qualcosa rimanga in te…”.
Sì!,
è proprio così; la Nostra indossa i panni del nonno, grande navigatore, fa
propria la sua anima, e in prima persona, rovescia sul foglio esperienze,
sentimenti, riflessioni, emozioni, immagini, silenzi come se fosse lei direttamente
a viverli, facendo di questa storia la sua storia, una vita di bonacce e
burrasche. Una vita plurale, totale fatta di vicissitudini in cui le immagini
concretizzano input emotivi di grande validità lirica. In verità, la Zanello, facendo suo il
patrimonio dell’avo, e rivestendolo degli
abbrivi che ella prova con grande
generosità, e perspicua sapidità disvelatrice,
narra di se stessa, del suo mondo interiore che, con urgenza, la spinge a
confessare un’Odissea di turbolenze marine:
malinconia, senso della vita, precarietà del tempo, contemplazione, eros e
thanatos, e una attrazione viscerale verso un mare, che si fa simbolo dell’amore
senza confini per quei flutti che tengono il suo essere ed il suo esistere. Verso
quel gigante che rappresenta nella sua metaforicità fono-simbolica la Natura in
tutta la sua polivalenza, e non solo,
anche quella parte di essa che più si avvicina al nostro slancio verso l’oltre.
Verso quelle soglie, che condizionano il nostro esistere e ne fanno
un’odisseica avventura. E d’altronde quale altra configurazione naturale può
simboleggiare meglio del mare l’azzardo del nostro essere verso l’oltre, verso un’immensità senza
confini che significa libertà, fuga, ancoraggio a un porto utile a sottrarci
alle aporie, alla materialità e alle
inquietudini dell’esistere.
Che significa dolori, lontananze e voglia di
ritorni. E dire del mare come parte integrante della vita della poetessa è come
rimandare il pensiero ad Alfredo Panzini che definì i Poeti “simili al faro del
mare”. Quel faro, che nella sua totale solitudine, abbandonato ad una scoglio
rivolto a spazi senza limiti, patisce le violenti ondate, le impressionanti
mareggiate, ma gode anche di quegli azzurri illimitati che tanto si avvicinano
ai superlativi momenti della nostra breve esistenza.
Memorialità.
E’ qui che si gioca il nocciolo della storia. Un memoriale a double face: da
una parte rifugio edenico, alcova rigenerante in cui adagiarsi per ovviare alle
tante e preziose sottrazioni della nostra terrenità. Dall’altra
quell’inquietudine e quel melanconico sentire, che da sempre ha marcato lo
spirito dell’uomo, per un tempo che fugge irreparabilmente, lasciando tracce
amare sul suo percorso: “sed fugit interea, fugit irreparabile tempus”,
scomodando Virgilio: un senso eracliteo della
vicenda umana che si fa terriccio fertile per una poesia dai toni orfici o
epico-lirici tesi a sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo:
Io sono colui che partì
giovane
e tornò vecchio,
colui che nessuno
vide mai cambiare.
La mia casa non è sulla terra,
la mia casa è sul mare.
Insieme ai miei compagni
ho raggiunto molte volte
i quattro confini del mondo,
attraversando
le colonne d’Ercole… (Ulisse, naufrago
senza nome).
Quelle
colonne che hanno sempre concretizzato lo slancio dell’uomo oltre l’incognito,
spinto dalla bramosia del conoscere e del sapere; e riportare un passo tratto
da un mio poemetto dedicato ad Ulisse, non è certo segno di autocelebrazione, o
di egotismo, ma piuttosto una nota esemplificativa, credo, che va ad
aggiungersi al superbo tracciato di questo “poema”:
.…
Ancora salperemo
oltre colonne, questa volta, mitiche
d’impedimento ai sogni. Là più lucido
e più eguale all’eterno sarà il liquido
dell’Oceano aperto. Sarò esperto
e lo saranno i miei nel mezzo ai gorghi
a sfidare l’ignoto. L’ora è giunta.
Se il mio destino vuole che ritorni
ai familiari usi ed ai barlumi
dell’isola agognata, porterò
con me più luminoso il cielo. Se
perire vorrà ch’io debba in mare
straboccante d’immenso sopra i limiti
del mio essere umano, perirà
assieme a me l’eterna primavera
di chi non sentì mai sopita in anima
la voglia del viaggio. Poi tornare
nuovi. O superbi spegnerci per via (da
Pardini Nazario: Il ritorno di Ulisse.
Da Alla volta di Lèucade. Viareggio.
1999).
Iniziare
da Ulisse non è di sicuro casuale: la poetessa ci vuole da subito introdurre
negli intenti ispirativi del suo messaggio poetico: il viaggio come vita, come analogia con tutte
le sue oscillatorie vicende: Oceano che si spalanca, Mediterraneo chiaro e
vicino alla casa, lacrime disperate, attesa su una roccia, porti ed approdi; fino
a Il colore del mare, la poesia
eponima da cui il titolo della silloge:
Al’alba della mia vita
ho conosciuto il mare
(…)
turchese e grigio e giada,
azzurro e bianco e blu,
rosso fuoco nel tramonto,
lo porto negli occhi
e nel cuore.
Nell’etrnità (Il
colore del mare).
Poesia
nitida, chiara, semplicemente complessa, dove il verso con tutte le sue
movimentate articolazioni cerca di rendere visivo il pathos che l’anima traduce
e con cui concretizza gli slanci emotivi del
memoriale. E sembra proprio che la
versificazione lo faccia con generosità, ora ampliandosi, ora
accorciandosi in una narrazione ampia e articolata, tanta è la forza del
sentimento che preme. Sì, un vero realismo narrativo, o realismo lirico, dacché
le immagini covate e decantate in seno della poetessa si tramutano in reali
visioni: le case, i giardini, le spiagge, le conchiglie, il profumo delle rose,
il vento, l’albatro, la luce accecante, il cielo, il libeccio, il maestrale, la cara sposa. E dacché la stessa si serve di luci e colori,
della luna splendente, dei mari e delle correnti, della nave bianca, dei confini
del mondo per dare corpo ai suoi moti interiori. E quello che trapela alla fine
è il grande amore che l’autrice nutre per la
vita, per gli affetti familiari, le tradizioni e per quel vasto azzurro
che li rappresenta. Tanto che questo
grande spazio la prende per mano e la conduce nei suoi più intimi segreti fino
all’immancabile ritorno:
Infine tornai alla mia casa,
sulla terraferma
dove neppure più
sapevo camminare,
poiché il mio passo
era oscillante
come durante
i quarant’anni a bordo delle
navi.… (Il ritorno).
La
casa, la famiglia, e l’amore: un amore delicatamente sfiorato, di memoria
guinizzelliana, un amore che provano e sanno cantare i poeti ed i naviganti
nelle loro lontananze:
… L’ho amata per tutta la vita
e lei ha saputo aspettare
(…)
Le donai un anello
del colore del mare:
uno zaffiro blu
in cui si rifletteva
la pallida luna (La
donna amata).
Nazario Pardini
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