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venerdì 4 luglio 2014

ROBERTO MESTRONE SU "IL FIUME", DI N. PARDINI


Roberto Mestrone collaboratore di Lèucade

               A CURA DI ROBERTO MESTRONE COLLABORATORE DI LEUCADE


Il fiume... un caro conoscente, un amico, quasi un fratello!
La forma colloquiale scelta da Pardini per intrattenersi col corso d'acqua della sua giovinezza è illuminante ed assume contenuti e immagini pervasi di lucida sacralità.
Il “viaggio” del fiume – dal timido rigagnolo della sorgente alle tortuose e lussureggianti anse della valle, fino al perdersi tra l'acque salse del mare alla foce – è il percorso di vita dell'uomo, che sprona e adopera la fantasia seguendo “immagini di sponde in spazi senza fine”, trastullandosi, nel fior degli anni, come “il bisbigliare rampollante dei gorghi”. Giunto poi al tramonto del proprio destino, “alla riva che più non gli (ti) appartiene”, si accorgerà “di finire amaramente dentro voragini sì avare”.
La lirica ci propone con impeccabile maestria un duplice messaggio: dietro le immagini della Natura Nazario sfiora il pensiero  illuminato di Friedrich Holderlin, il grande poeta tedesco che riusciva a scorgere nei palpiti del Creato terrestre i simboli dell'umana esistenza, e nella personificazione del fiume realizzava la propria visione dell'esistenza:
una forma in movimento della Natura come creatura concretamente (e quindi ancor più poeticamente) tangibile.
Nel clangore dell'irruente mare” ove “i panni scoloriranno in cuore”, ci viene invece presentata la riflessione leopardiana sull'amaro destino dell'umana specie corteggiata dal “profumo allettante” della gioventù ma mestamente cosciente di giungere presto al “vorticare del nulla”.
In un quadro idilliaco di rara bellezza  il volto della natura fluviale è garbatamente dipinto coi colori della nostalgia e saggiamente offuscato dall'ombra discreta di un pessimismo timido che non induce alla malinconia ma ci aiuta ad allineare il nostro percorso terreno all'agile scorrere del fiume.

Pregevolissimo lo schema scelto: tutti endecasillabi con rime ben disposte nei primi quattordici versi (racchiudono un sonetto, pur se non canonico nelle quartine) ed equilibrati gli enjambements, a favorire un ritmo non cantilenante.


                                                  Roberto Mestrone







      IL FIUME
         di Nazario Pardini


                 Acqua, che riflettesti i miei canneti
con le quaglie sui cimoli, e le torri
di grigie chiese e i tremuli felceti
delle sponde, lo sai tu dove corri?
Ti perderai tra poco nel clangore
dell’irruente mare, ed il tuo salce
ti guarderà sparire. Già il rumore
dell’ampio piano in file d’alba calce
ora vicine ed ora più lontane,
come vie di paese, si confonde
all’aria dei pinastri. Non t’inganni
il profumo allettante; presto vane
saranno quelle immagini di sponde
in spazi senza fine. Ed i tuoi panni
scoloriranno in cuore al tanto vasto
vorticare del nulla, finché a volte,
ormai sepolta preda alle ritorte
ed iteranti corse, sarai volta
alla riva che più non ti appartiene.
Avresti mai pensato, al rampollare
bisbigliante dei gorghi tra le fresche
chiazze sorgive di finire amara-
mente dentro voragini sì avare?






9 commenti:

  1. Tantissime grazie a Roberto Mestrone per questa sua analisi puntuale e analiticamente perspicace. Une vraie expication du texte, da cui emerge un ermeneuta di grande sagacia interpretativa e potenzialità introspettiva. Giusto e azzeccato quel riferimento al panismo di Friedrich Holderlin, poeta a me caro.

    Nazario

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  2. Una versificazione sempre tersa, un colloquiare raccolto e fidente, immagini precise tra cui corrono, "con rumore...d'alba", acque che segnano anse ampie e tortuose, come i palpiti della vita, ravvicinate o distanti. Un fluire di profumi che il fiume propone nella sua corsa (come giustamente commenta Roberto Mestrone) fino all'annullamento -come la vita-. Nazario Pardini, fra l'altro, non è nuovo a questi coinvolgimenti dei sensi del lettore, come non è nuovo a provocare immaginarie visioni, tanto che sembra che d'improvviso possano apparire Alfeo e Aretusa, Peneo e Dafne, nei boschi e lungo le acque dei fiumi e delle piene, colmi di freschezza e d'amore, per invitarci sugli scogli di Lèucade a vivere, "tra chiazze sorgive...e dentro voragini...avare, lo scorrere del tempo.
    Umberto Cerio

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  3. Ringraziare è veramente poco per questa analisi pertinente e generosa. Vi si legge la maestria del grande Cerio, scopritore e rielaboratore di un mito nuovo sempre vicino alle vicissitudini dell'umano vivere. Chi avesse voglia e tempo di conoscere la sua potenza creativa si vada a leggere le traduzioni di Rimbaud da poco pubblicate sul nostro blog. Artifex additus artifici, con figurazioni e intensità epigrammatiche su versi di solida tenuta a concretizzare il rapporto del nostro essere col tempo.

    Nazario

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  4. Roberto Mestrone, da grande e fine intenditore di poesia, pone giustamente in rilievo la relazione colloquiale che l'insuperabile Pardini pone tra la natura e l'uomo. "Relazione" che è un valore tanto arcaico quanto inedito e nuovo, dopo tanto irrazionalismo che ha tentato in tempi recenti di "fondere" i due termini tra di loro, ma anche dopo tanto razionalismo che, al contrario, ha tentato di "separarli" radicalmente in passato, per fini di supremazia. L'acqua del fiume di cui parla Pardini è quella medesima di cui parla Eraclito, che non è mai la stessa perché scorre veloce verso il mare. Paradossalmente, tuttavia, è identica a se stessa nel riflettere "i canneti / con le quaglie sui cimoli, / e le torri / di grigie chiese e i tremuli felceti delle sponde". Allo stesso modo, tanto mutevole quanto immutabile è la vita dell'uomo. Complimenti a Nazario ed al suo recensore.
    Franco Campegiani

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  5. Mi congratulo con Roberto Mestrone per la sua lettura de "Il fiume". Ne condivido appieno l'esegesi, che coglie la rilevanza dell'aspetto metaforico ed anche la "timidezza" del pessimismo, una timidezza (interessante l'uso di questo aggettivo) leopardiana nel senso più positivo del termine, come ripiegamento - voglio dire - e dunque non disperante condizione esistenziale quale erroneamente, a parer mio, viene considerata.
    L'accostamento ad Holderlin, poi, mi sembra quanto mai efficace parlando di un poeta come Nazario Pardini che palpita ad ogni palpito della natura.

    Sandro Angelucci

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  6. E voce meno tonante, ma cristallina e ricca di gioia, giunge ultima la mia...
    Ho letto una lirica , che è parabola del percorso terreno, che racchiude le fasi dell'umano divenire, ne sono rimasta affascinata, rapita... E a incatenarmi ai versi dell'immenso Nazario, ha contribuito l'analisi di Roberto, con il suo riferimento al poeta Holderlin, legato ai simbolismi del Creato. Altrettanto attinente mi è sembrato il riferimento del caro Franco al filosofo eracliteo e al suo assioma : "non ci si bagna mai nello stesso fiume"...
    Amici tutti, leggervi è crescere, arricchirsi, divenire altra ....
    M'inchino dinanzi a tanta conoscenza priva di vanità... E vi abbraccio!
    Maria Rizzi

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  7. È, quello di Nazario Pardini, un poetare che procede limpido e ispirato in versi metricamente molto ben costruiti, caratterizzato, come è stato evidenziato dagli altri commenti, da una tematica di fondo: la precarietà dell’esistere, simboleggiato dall’acqua del fiume che, quale divenire eracliteo, scorre verso l’ineludibile e reale irrealtà della morte. I primi quattordici versi costituiscono un sonetto, che prosegue senza soluzione di continuità con gli endecasillabi sciolti. Questa scelta però, dal punto di vista formale-stilistico, mi lascia un po’ perplesso perché è un’imperfezione. Chiedo al prof. Pardini: perché non ha messo il punto alla fine del sonetto? Forse l’ha fatto di proposito (e ciò che può sembrare un difetto in realtà non lo è) in quanto facendo “confluire” il sonetto negli endecasillabi, non ha voluto interrompere lo scorrere, anzi il vorticare dell’acqua verso la sua foce?
    Vittorio Verducci

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    1. Illustre collega,
      la ringrazio per l'acuto profilo e soprattutto per la richiesta del chiarimento sul rapporto tra sonetto e il prosieguo del componimento. Carissimo Verducci nella sua domanda è insita chiara e lampante la spiegazione che lei ha perspicuamente intuito. E proverò ad ampliare il discorso:
      non è che la forma debba costringere gli impulsi emotivi a seguire le sue regole, ma l'inverso. Sono gli abbrivi emozionali, gli intendimenti interiori e meditativi a suggerire alla forma di adattarsi al loro sentire per quel sacrosanto equilibrio di buona resa poetica. E qui tutto corre verso il mare. Ci si serve persino di una tmesi - sforzo non indifferente per il mio modo di far poesia -, al fine di accentuare il senso di questo doloroso sperdimento in una immensità che ci rapina. Tutto è costruito in base a questo inarrestabile fluire, anche l'omissione, come lei giustamente osserva, di una parte di interpunzione che la metrica canonica del sonetto esigerebbe.
      La ringrazio per la sua generosa e competente analisi.
      Nazario

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  8. Le nostre dita nel fiume sono bagnate da acqua sempre nuova, e l'acqua
    che passa e scorre non finisce né si ferma, ma si unisce ad altra acqua
    in una grande pozza dove il sale la trasforma. Io non conosco l'acqua
    che verrà e non inseguo l'acqua che passò, sfioro solo quella che passa
    qui ed ora tra le mie dita, perché qualunque cosa io faccia per me sarà
    sempre e solo un qui ed ora.
    Grazie Nazario per questa fonte di dialogo interiore.

    Claudio Fiorentini

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