Michela Vitturi: La tempesta dell'amore Biblioteca del Leone. Castelfranco Veneto. 2014 Prefazione di Sandra Evangelisti |
Come
acutamente rileva nella sua autoptica prefazione Sandra Evangelisti (La
poetessa riesce a percepire e a tradurre in versi quel quid che appartiene alla
realtà quotidiana e visibile, ma che solo chi è dotato di una particolare
sensibilità e di un talento autentico e naturale per la scrittura, può tradurre
in versi come quelli che compongono questa nuova raccolta…), Michela Vitturi parte
dalla quotidianità, dalle realtà ridotta ai minimi termini, per traslarla in
ambiti di plurale spiritualità. Sì, da una realtà di polisemica significanza,
in tutto il suo dispiegarsi per le nostre facoltà sensoriali ed emotive; da un
susseguirsi di fatti che, con turbamento, si donino all’anima a che li tramuti
in immagini di effettiva e visiva potenza creativa. Parlerei proprio di un realismo lirico, lo
stesso che aveva contaminato tutta la
metà dell’altro secolo soprattutto con Aldo Capasso. Quel realismo che si fa,
qui, motivo ispiratore focale, materia portante degli abbrivi che si declinano
in sostanza fonica e cromatica. La
tempesta dell’amore: questo il titolo. Ed è proprio l’amore a fare da primo attore nella vicenda spirituale
della Nostra. Un amore di perspicua sapidità disvelatrice, un amore di una
plurivocità tale da coinvolgere la totalità dei gradi di espansione di tale
sentimento:
amore erotico, amore panico,
amore familiare, amore per il tutto, insomma. E si sa che l’amore è frutto di
un percorso doloroso da conquistare spesso con tappe da via crucis:
… In questa tempesta d’amore
guardo ora
le luci saettanti
di un cielo scuro
come la notte.
Com’è possibile
che rispunti il
sole?
(Tempesta d’amore).
Un
percorso che in questa lirica eponima rivela tutta la complessità di proteiforme
valenza: notte e luce, Eros e Thanastos, gioia e dolore. Quegli elementi di
diacronica contrapposizione che sanno tanto di esistenza, di vicenda irrequieta e tormentata. Ed è
dalla simbiotica fusione delle contrarietà, dal mélange del polemos degli opposti che si snocciola la varietà tanto umana di
queste pièces. D’altronde lo stesso
Vinicius De Morales, amico di Ungaretti, affermava che la vita è l’arte dell’incontro e che vita e
poesia sono la stessa cosa. E qui c’è la vita, il suo perpetrarsi, che si
protende da bonacce di venti e di mari a tempeste furiose d’amore. Una vita
plurale, di prodromico conturbamento esistenziale, che sa, però, anche,
approdare a giacigli di piume soffici e caldi di serena intensità erotica:
La mia anima
riposa tranquilla
sul giaciglio di piume
soffice e caldo
che tu
hai scavato
nella roccia per me…
(Quiete),
con la coscienza della
precarietà del nostro esserc/ci, della fugacità del tempo, della fragilità della
vicenda umana e dell’inganno delle sue promesse:
…
Impazienti e nervosi
sfidano tempeste,
geli, lavori e mali
come se la Vita
fosse un’eterna Estate
con divertimentificio,
fatta di oggetti inutili (Sera
d’Autunno).
Il tutto in un linguismo di
una metaforicità fonosimbolica di arrivante forza comunicativa, dove la sera,
le stelle, le piante, gli animali, la luce… non sono semplici connotazioni
naturistiche ma tanti segmenti di un’anima volta a concretizzare il suo pathos
in corpi visivi, e di generosa naturalezza. Ed è sempre la luce a vincere in
questa silloge. Quella luce verso la quale è direzionato il sentire di una
poetessa che ama la sua non sempre facile storia, e che sa evidenziare, con una
profonda diagnosi introspettiva, e con accostamenti disvelanti luci ed ombre,
psicologie tese ora ad una pace di un benedetto silenzio:
La montagna
è calma e silenziosa.
M’infonde pace.
Distesa sul letto
ascolto
questo benedetto silenzio… (La
montagna),
ora
ad un tunnel cupo e silenzioso:
Come una mosca cieca
di luce impazzita
sbatto
contro il vetro
ma non trovo
la via d’uscita.
Sono entrata
in un tunnel cupo e silenzioso;…
(Mosca);
ora ad un deserto
pietrificato:
Esausta.
Il
vento dell’Amore
ha
soffiato
asciugando
ogni lacrima,
lasciandomi
sola
in
un deserto pietrificato… (Deserto),
ora ad una mestizia che pervade e che rende cupi
come lupi:
… Il cupore
ha
il sopravvento
sul
cuore;
ci
rende cupi,
cupi
come lupi (Mestizia),
ma che sa anche inventarsi
gondole con remi possenti rigeneratori, dai paradisiaci poteri:
… Dondoliamo
e remiamo
insieme ora
verso il paradiso
(Gondola).
Un susseguirsi di pesi e contrappesi,
che garantiscono l’equilibrio della verticalità della composizione. Ed è la
memoria, il ritorno ad antiche primavere, a giorni splendenti di luce e di
orizzonti illimitati a cospirare a che la liricità si intensifichi di vis
creativa, e che il verbo si faccia
ricerca per bilanciare l’esplosione dei ritorni:
… Oceano di tranquillità
risplende
la luce del sol leone.
E’ dolce
come in una remota notte
di luna di miele.
Celebrava le mie nozze
cariche
di notti d’amore…
(Plenilunio).
E
anche se la morte cova negli occhi di Michela Vitturi, e anche se:
Dentro di me
trovo croci e sepolcri
e
posso vedere chiaramente
quella bambina trascinata
dal mare
lontano,
per sempre
(Morte),
nella
fragilità di cristallo del suo cuore c’è pur sempre il sacro amore per la vita:
una fragilità che riflette raggi di luce:
… Casomai,
sono un vaso
di puro cristallo,
atto ad accogliere
e rifrangere
la luce
e i suoi mille e mille colori
(Pozzo).
Nazario Pardini
30/07/2014
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