Nel mio primo libro di
poesie “Ho detto alla luna” scrissi, presentando il libro: “La poesia è per me
quel tempo interiore che riesce a volare”. Partirei da queste parole
per riflettere con voi sull’idea del tempo. Parlai di tempo interiore
non a caso, essendo fortemente convinta che il “tempo” della poesia è il tempo
dell’uomo, della condizione umana e il poeta che si ascolta e si guarda, vive
del proprio tempo interiore. E’, volta a volta, il tempo
del ricordo, della memoria, del futuro; è l’istante che si fa eterno. E il
poeta contempla e fonde il passato e il futuro riconducendoli al tempo in cui
scrive. Ogni poesia è un viaggio nel
tempo. Ma il poeta che viaggia non parte mai veramente, dato che in ogni
istante del suo divenire - in ogni parola, in ogni verso della sua poesia -
egli in realtà rimane sempre presso di sé. La poesia nasce fuori da
ogni tempo condizionato, fuori da vincoli e da obblighi. E’ un trasferirsi altrove, a
cercare, a costruire il senso delle cose. E, nel farlo, è essa stessa a creare
il tempo, il “suo” tempo, in ciò quasi proponendosi come l’equivalente profano
della scommessa divina, della scommessa che Dio fa sull’uomo. E’ nel tempo, infatti, che
l’uomo deve agire per meritare la vita eterna, a lui promessa. Ed è nel tempo
creato dalla poesia che l’uomo cerca la conciliazione con se stesso e con la
vita. Sembra che in ciò il poeta
faccia tesoro anche della lezione della filosofia. Era Kant a definire il tempo
come senso interno, come condizione di possibilità dell’esperienza umana, della
conoscenza di sé e del mondo. E la poesia si fa forte di
questa facoltà, ma a modo suo, plasmando il tempo a suo piacimento. Cos’altro è il tempo della
poesia se non, in fin dei conti, un’arena dove lo spettacolo della vita, di
quella vissuta e di quella desiderata, si mostra nella sua essenza più intima,
ignorando le parvenze, i dettagli del reale che ai suoi fini risultano
insignificanti. E’ perciò, il tempo della
poesia, un tempo reinventato di cui il poeta ha bisogno per costruire paesaggi,
dimensioni, luci, significati che egli mette insieme in un nuovo orizzonte di
senso. In quello che, finalmente - direbbe Proust - è un tempo ritrovato, e
perciò amico.
Il tempo interiore di cui parla Sonia Giovannetti è quello che ogni uomo può sperimentare, in quanto più gli è consono. E' il tempo vissuto e non il tempo subito, il tempo di cui si è padroni e non il tempo di cui si è succubi. Non il tempo dell'orologio, pertanto, dei minuti o dei secoli, che tutto travolge nella sua corsa vorticosa, ma il tempo di cui si è consapevoli e che si assapora lentamente, arricchendoci e facendoci maturare. E' il tempo che passa proficuamente, nella certezza di non perdere tempo, ma di usufruirne per la propria evoluzione. Fa bene Sonia, pertanto, parlando del tempo, ad introdurre un discorso che direi paradigmatico sul "tempo della poesia". La parola poetica nasce dal silenzio, ovvero dalla non-parola, così come il tempo nasce dal non-tempo. Entrambi si riferiscono alla sfera più profonda ed essenziale dell'essere, avulsa dalle contaminazioni spaziotemporali. Quella sfera che si dispone all'esperienza del viaggio, ma che "rimane sempre presso di sé", giacché solo non smarrendosi nei labirinti esistenziali, essa può realmente fare esperienza del mondo da cui è circondata.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Alle originali riflessioni di Sonia Giovannetti sul “tempo della poesia” mi piace accostare le parole del poeta greco Vaghenàs, secondo il quale la poesia costituisce una delle forme superiori in grado di “sospendere il tempo” e che, a tal fine, si costruisce un universo a parte - il tempo della poesia, appunto - che ha modalità e misure tutte sue. La poesia è capace di condurci alla vera esperienza vitale, quella che si avvicina più di tutte al tempo della natura, ormai lontano anni luce da noi stessi, e, come la religione, nella sua dimensione metafisica, “ci porta al divino”.
RispondiEliminaGiovanni Diana