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venerdì 21 novembre 2014

FRANCO CAMPEGIANI: "OPERA CHIUSA, OPERA APERTA”

Franco Campegiani collaboratore di Lèucade


Opera chiusa, opera aperta
(riferimento a"Scrittore/Ascoltatore/Lettore, di Patrizia Stefanelli e a
Autore/Fruitore di Claudio Fiorentini)




Il termine inglese happening ("avvenimento") vuole indicare una forma d’arte non contemplativa, ma attiva e capace di coinvolgere lo spettatore fino al punto di farlo partecipare all’evento creativo stesso, in una sorta di azione teatrale comune. Se vogliamo, è uno sviluppo delle poetiche futuriste della velocità e dell’azione, passate attraverso il clima avanguardistico dell’"opera aperta", ossia delle tendenze essenzialmente cinetiche ed informali.
Il concetto di "opera aperta", come ben evidenzia Patrizia Stefanelli, è stato elaborato da Umberto Eco, con riferimento all'ambiguità dell'opera d'arte, in particolar modo di quella contemporanea, dove una pluralità di significati convive in un solo significante e dove l'intervento del fruitore è fondamentale. L'opera aperta, secondo il noto filosofo, è da intendersi "come proposta di un campo di possibilità interpretative, come configurazione di stimoli dotati di una sostanziale indeterminatezza, così che il fruitore sia indotto a una serie di letture sempre variabili".
Apparentemente trattasi di forme d’arte non riconducibili alla tradizione, se per tradizione (in modo improprio) si intende un retaggio aristocratico di comunicazione artistica, inadatto alla cultura popolare. In realtà, la tradizione gestuale dell’arte è sempre esistita: si pensi ai menestrelli, agli aedi, ai rapsodi, agli artisti di strada, ai giocolieri, ai giullari, agli illusionisti, ai clowns, ai commedianti di piazza, che si sono sempre attenuti al principio coinvolgente della spettacolarità.
Il coinvolgimento del pubblico nella rappresentazione scenica dell’arte non è una novità. C’è sempre stata la performance, l’improvvisazione che tende ad accostare artista e spettatore, facendo del risultato estetico una sorta di environment, con danze, pantomime e parodie più o meno destinate ad esaurirsi in se stesse. L’happening degli anni Sessanta/Settanta si distingue tuttavia dalla tradizione, perché eredita la lezione delle avanguardie storiche e della cultura “alta” del Novecento, marcatamente segnata dall’ideologia rivoluzionaria del tutt’uno, della fusione dell’uomo con il mondo, che finisce nella dispersione dell’io fra le cose.
E' la storia tutta contemporanea della massificazione, giunta dal furore avanguardistico all'aridità postmoderna dell'omologazione, della globalizzazione, dell'univocità. In tal modo l'opera aperta non si arricchisce realmente del contributo altrui, giacché lo considera in funzione di una somma, o di una sintesi comunque univoca della varietà, della diversità.
In pratica si passa dal soggettivismo dell'Io al soggettivismo del Noi, ma pur sempre di soggettivismo si tratta, e non di pluralità, ovvero di universalità, di rispetto dei singoli, agli antipodi di ogni fagocitazione. Per giungere a ciò si devono superare i concetti di massa che abbiamo creato e tentare di ristabilire un più sano concetto dell'individuo e della comunità. Occorre all'uopo una teoria della comunicazione diversa, e trovo molto appropriata quella dei linguaggi artistici, dove il fruitore sia chiamato a riscrivere (o a ridipingere) l'opera per proprio conto, attuando una sorta di transfert e specchiandosi nell'opera stessa.
La quale, come ha detto Proust ne Il tempo ritrovato, permette al fruitore "di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Gli fa eco Davide Rondoni che ne Il fuoco della poesia ha scritto: "Ciò che interessa realmente, attraverso la lettura, è di capire chi siamo noi, non colui che scrive". Sta qui l'universalità dell'arte, qui la capacità di evocare gli archetipi, di cui parla Claudio Fiorentini.
Quando ci si avvicina all'arte, i parametri dell'universalità si trasformano, perché l'arte non parla a tutti, come un messaggio pubblicitario, ma al cuore di ognuno. A partire da quell'"ognuno" che l'autore stesso è e che attraverso l'opera entra in relazione con se stesso, con la propria essenza, con la propria universalità. L'opera è genuinamente aperta quando possiede queste valenze speculari.
Concordo con Patrizia, pertanto, sull'esigenza che il lettore sia attivo, coinvolto nell'opera fino a riscriverla di proprio pugno. Purché non si scriva in due la stessa opera, ma ciascuno scriva la propria, giacché è nell'individualità più profonda, e non nel sincretismo, che risiede l'universalità. La comunicazione autentica nasce dal dialogo interiore, per cui lo scrittore deve puntare tutto sul dialogo con se stesso.
Egli deve scrivere per se stesso e per la propria festa spirituale, perché è quello il primo anello della catena relazionale. Saltando quello, va in pezzi l'intera catena e la comunicazione diviene inautentica. Attivando invece quello, tutta la catena si pone in movimento perché ogni lettore viene chiamato a svolgere un identico lavoro coscienziale, giungendo per autonome vie all'universalità.

Franco Campegiani



9 commenti:

  1. Ringrazio vivamente Franco Campegiani per il suo prezioso intervento che mi porta a considerare l'arte quale dono che si dona. Il suo senso per me, che tento di farne una professione nell'ambito teatrale, è pari alla vita. Mi collego per un attimo a quello che anche la fisica quantistica ci insegna e cioè al ruolo della coscienza nel processo di osservazione: diversi punti di vista, infinite possibilità in una visione olistica della realtà. In quest'ottica filosofica, la soggettività assume un ruolo fondamentale. Siamo tutti particelle di un processo creativo dalle infinite possibilità, nell'atto percettivo. Così, un testo (qualsiasi atto creativo) è un continuo divenire di ipotesi, plausibili verità. In teatro, passa dall'autore al regista che lo trasporta al suo sentire e lo trasmette agli attori che, attraverso la favola del testo e dei personaggi, giungono a trasmetterlo alla propria coscienza. Ancora, l'atto creativo prosegue, attraverso un'empatica e dunque efficace comunicazione, alla percezione di un pubblico attivo fatto di individualità che lo fa proprio. Molte volte mi è capitato di osservare lo stupore dell'autore primigenio nel ritorno a sè, della sua creazione.

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    1. Chiedo scusa per l'omissione della firma: Patrizia Stefanelli

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    2. C'è da distinguere tra soggettivismo e soggettività. Combattere l'individualismo non significa combattere l'individualità. Ci sono infatti individui generosi ed altruisti, che nulla hanno a che fare con l'egocentrismo e che sono aperti all'universalità. La visione soggettiva (non soggettivista) dell'arte è quanto di più democratico e pluralistico possa esistere. Anche perché non c'è un soggetto che sia sempre uguale a se stesso, pur essendo paradossalmente identico a se stesso nell'insondabile inseità.
      Franco Campegiani

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  2. Faccio i miei sinceri complimenti a Franco per questo prodotto di qualità che ci ha offerto, del quale condivido in pieno il contenuto. Solo laddove il testo recita "Concordo con Patrizia, pertanto, sull'esigenza che il lettore sia attivo, coinvolto nell'opera fino a riscriverla di proprio pugno" io avrei interposto un "magari" tra "opera" e "fino", perché il lettore può pure riscrivere l'opera (è chiaro, in modo diverso), ma questa riscrittura non deve essere conseguenza necessaria al coinvolgimento. Detto in altri termini, si può essere coinvolti, anche profondamente, senza per questo essere spinti, o sentirsi costretti, a riscrivere. Pure perché l'atto poetico nella sua specificità creativa non appartiene a molti.
    Pasquale Balestriere

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    1. Ringrazio Pasquale per questa osservazione giustissima. L'omissione è stata una svista molto probabilmente generata dal fatto che io pensavo al "coinvolgimento" come ad una potenziale "riscrittura" dell'opera, non necessariamente trasferita sulla pagina, ma compiutamente svolta nell'inconscio, o nell'interiorità.
      Franco Campegiani

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  3. Mi permetto interferire sulla commistione scrittore/ascoltatore/lettore che ipotizza una sinergia tra i vari ruoli. Se non vado errata, si auspicherebbe un atto comulativo di interessi, di appercezioni, di sensazioni, (per dirla più semplicemente una "comunione di amorosi sensi" e anche filologicamente e filosoficamente risulterebbe apprezzabile un lavoro cognitivo "simbiotico" attraverso le fasi eterogenee di un linguaggio proteiforme a più "voci". Ma temo non si possa realizzare in concreto per l'effettiva e innegabile individualizzazione di ogni - distinguo - a fronte delle stesse tematiche. Il collettivismo e l'individualismo sono esattamente agli antipodi e non s'incontrano di frequente, perché va considerato il diverso grado delle conoscenze, lo sviluppo intellettuale ed emozionale di ogni soggetto, il suo valore quantistico della vita, che attraverso l'empatia entra in circolo con l'atto creativo che deve essere unico e irripetibile. Perciò si parla di opera d'arte. I vari stadi della conoscenza potrebbero interferire sull'obiettivo finale e sulla realizzazione di ogni opera siffatta. Mi presto a dubitare un po' sulla possibilità di una realizzazione promiscua, che è lontana e fondamentalmente distanziata dall'opera in sé. Se da una parte il testo richiede un visione d'insieme soggettiva, dall'altra s'impone per una differenziazione di questo processo stesso, all'interno di una individualità che non è mai paritaria e si qualifica nella coscienza e nell'atto creativo tra individui e individui. L'interpretazione interferisce sulla comunicazione: il rischio è che ciò che è bianco sia nero per un altro, rendendo perciò quasi impossibile l'omologazione dei singoli soggetti all'atto unico e irripetibile del capolavoro che deve essere di sua necessità un'elaborazione che possiede la valenza autentica di trasfert che giunge al fruitore/lettore dopo aver percorso l'inferno della sua genesi interiore. Vi sfido a dirmi di due persone che hanno la stessa interiorità e indivisibilità. Potrebbe essere un tentativo di ottenere l'opera "aperta" ovvero rivoluzionare, programmata sul sistema dei vasi comunicati, nell'ambito di un inspirato impianto olistico di una materia inerte che si fa creazione nell'atto stesso della sua origine. Siamo pertanto all'idealizzazione del processo di conoscenza, che potrà avvenire solo se l'uomo aderirà ad uno sviluppo universalizzante del pensiero che è proprio della filosofia olistica.
    Ninnj Di Stefano Busà

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    1. Sono d'accordo: non esistono "due persone che hanno la stessa interiorità". E mi spingo oltre: non esiste un individuo che sia sempre uguale a se stesso, pur essendo identico a se stesso nella profondità. Quindi concordo con la Busà, che ringrazio per questo prezioso intervento: l'atto creativo è individuale e indivisibile, unico e irripetibile. Ciò non significa che la comunicazione sia impossibile, ma solo che essa pretende nel fruitore il coinvolgimento di tutto se stesso, della propria unicità e indivisibilità.
      Franco Campegiani

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  4. Come sempre, foriero di ampi approfondimenti l'intervento di Franco.
    Non starò, qui, ad indagare ulteriormente: l'ha già fatto prima e con competenza chi mi ha preceduto.
    Vorrei, tuttavia, fermare l'attenzione su quello che considero il punto focale del discorso (tema, sul quale, a lungo ci siamo confrontati e continuiamo a farlo con l'amico). Per farlo, ritengo impossibile non rifarsi al concetto di "transfert": tanto felicemente esplicato nel testo.
    Il fruitore, e reciprocamente l'autore - anche se in modo inconsapevole - mettono in pratica questa tacita e diversa comunicazione. L'opera, allora, diventa appunto il termine, non massificato e stereotipato, di un autentico confronto (se volete - rivisitando la posizione romantica - il tramite di cui si è già reso partecipe l'artista). Ma meglio citare testualmente:"(L'opera) permette al fruitore 'di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso' (Proust). Gli fa eco Davide Rondoni che ne Il fuoco della poesia ha scritto: 'Ciò che interessa realmente, attraverso la lettura, è di capire chi siamo noi, non colui che scrive'. Sta qui l'universalità dell'arte, qui la capacità di evocare gli archetipi, di cui parla Claudio Fiorentini.
    Quando ci si avvicina all'arte, i parametri dell'universalità si trasformano, perché l'arte non parla a tutti, come un messaggio pubblicitario, ma al cuore di ognuno. A partire da quell'"ognuno" che l'autore stesso è e che attraverso l'opera entra in relazione con se stesso, con la propria essenza, con la propria universalità. L'opera è genuinamente aperta quando possiede queste valenze speculari.
    Concordo con Patrizia, pertanto, sull'esigenza che il lettore sia attivo, coinvolto nell'opera fino a riscriverla di proprio pugno. Purché non si scriva in due la stessa opera, ma ciascuno scriva la propria...".
    E' questo - e non potrebbe essere altrimenti - "il primo anello della catena relazionale", quella genuina, ovviamente.

    Sandro Angelucci

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    1. Il concetto di "transfert" dovrebbe a parer mio riguardare non soltanto la fruizione delle opere d'arte, ma essere esteso alla stessa attività critica, che altro non è che una fruizione più attenta, e se vogliamo professionale, della creatività. So in questo di trovare nell'amico Sandro un grande sostenitore, nemico com'è della critica cosiddetta "scientifica", "oggettiva", che fa del critico uno sparasentenze borioso e superficiale, incapace di immedesimarsi nell'opera e dunque di leggere in profondità.
      Franco Campegiani

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