Sulla notte
A molti piace scrivere e
diversi di loro amano farlo durante la notte tentando di interpretare quei
lampi, quei fermi immagine che sembra vogliano uscire da lì, per assumere una
dimensione reale. Io li trascrivo su piccoli fogli che poi infilo sotto il cuscino
in attesa di scartarli al mattino, quasi fossero una confezione regalo. La
notte è la principale ispiratrice di molte poesie, ma anche di embrioni
decisionali che verosimilmente prenderanno forma nel corso della giornata. La
notte non è sempre l’oasi dei sogni che improvvisamente spuntano come palme,
nel deserto dei pensieri. E’ lo spazio temporale in cui l’uomo è più indifeso,
specialmente quando è malato. Quando gli occhi si chiudono s’allenta
l’attenzione, si smorza il dominio dei pensieri. S’interrompe il filo del
dialogo aperto con le parti di noi che non conosciamo, con quelle che a volte
sanguinano perchè non le abbiamo amate abbastanza. Prevalgono i sogni, castelli
di un mondo parallelo, dove tutto appare straordinariamente reale: gioie, desideri,
fatiche, sofferenze. Eppure sembra non appartenerci perché la volontà è
assente. Sembra un film girato da un regista che ci conosce alla perfezione e
la cui strategia s’innerva fin nelle trame più sensibili che non abbiamo mai
percepito. Ci troviamo soli, pervasi dallo smarrimento, dall’insicurezza.
Avvertiamo l’infantile bisogno di protezione e l’oscurità diventa la coperta
morbida che ci avvolge, ci sottrae ai dubbi, ai vuoti entro cui temiamo di
cadere. E quando la veglia cessa, tutto sfugge, niente più ci appartiene. La
notte prorompe come un puledro selvaggio che si libera dal morso della volontà.
Prende a correre sfrenatamente, finalmente libero, verso confini inesplorati.
La notte è il volto girato della luna affacciata s’un oceano di buio senza orizzonte.
I vascelli dei pensieri, ormai alla deriva, solcano onde di tormenti e le vele
flappe s’agitano sotto raffiche di passioni sfuggite al timone del controllo.
La notte è uno tsunami della coscienza che irrompe travolgendo ogni inibizione,
ogni remora. Spazza e sommerge ogni ostacolo, abbatte ogni barriera logica e
morale. Ci spinge contro il muro dei nostri limiti, da cui prendono corpo,
all’improvviso, gli istinti primordiali, intrepidi e temerari dell’io più
ribelle, rimasto nascosto con gli atti eroici e le parole esaltanti, che da
sempre avremmo voluto dire, ma che ci muoiono in bocca non appena apriamo gli
occhi. La notte è il sipario nero sul teatro della solitudine dove anche i
risentimenti sono attori protagonisti, senza volerlo. La notte ha fame di noi.
S’alimenta di vulnerabilità, addentando le parti molli, intime e sensibili,
tenute relegate nel tunnel delle nostre paure. Si nutre di delusioni, di
tristezza, di dolore, ma anche di vendette, di passioni, di rivalse, di esami
di coscienza. La notte è un filo dei panni, teso trasversalmente, dove mollette
di silenzio appendono tutte le nostre diversità, fino a diventare un’unica
stesa. La notte è il buco nero dove la curiosità s’infila come attraverso una
porta. Al di là della toppa il mondo atteso è simile a quello di qua. Oltre il
nero della notte non c’è nulla, solo la coda di una curiosità umanamente
delusa. E’ quella che sguscia i dettagli quasi fossero grani di melograno,
rimasti a dormire sotto bucce di superficialità e che la notte stacca e spreme
in infusi d’emozioni asprigne e dolci. Sono le emozioni della notte, quelle che
fanno la differenza fra il terreno e il sublime, fra il mediocre e il
magnifico. E che tra le fessure dell’alba sfuma, come una nebbia a primavera.
Roberto Benatti
suggestione nel leggere quanta profondità esiste e si sviluppa nella notte. Noi viviamo nella scia di luce del giorno che nasconde la nostra notte che ci portiamo dentro, come una zavorra che rallenta il passo e smorza il suono del sorriso. Alla sera invece esce e conquista la scena senza vergogna e vive nei turbamenti delle nostre insonne notti, prive di sogni.
RispondiEliminaUna piacevolissima lettura!
Francesco
Grazie del commento Francesco, e della sua condivisa partecipazione.
RispondiEliminaGrazie per questa prosa poetica così suggestiva.
RispondiEliminaGrazie con una poesia di A. Merini:
I poeti lavorano di notte
I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
(A. Merini, da "Destinati a morire")
M.Grazia Ferraris
Roberto... dopo soli giorni dal bellissimo incontro a Roma, ti ritrovo 'di notte' sul blog del carissimo Nazario ad aprire spiragli sull'universo notturno, sui suoi misteri, le sue paure, le sue ispirazioni, il suo nero, che va oltre il colore del buio, è il riassunto di tutti i colori del giorno e dell'arcobaleno. Una disamina la tua, di prosa poetica, come l'ha definita Maria Grazia Ferraris, che aiuta a comprendere l'Artista in molte delle sue sfaccettature. Le liriche sono paesaggi esistenziali di rara profondità, le riflessioni sul potere delle ore notturne narrano con coraggio il lavoro che precede il dire poetico. Si frantuma la vita nelle veglie, si enfatizzano i pensieri e i versi divengono tele in fieri. Ti ringrazio infinitamente amico già antico, per questa lezione. Anche chi prova a esprimersi solo in prosa, come la sottoscritta, s'ispira spesso a " quel buco nero dove la curiosità s’infila come attraverso una porta.". Ma solo un Poeta della tua levatura può esprimersi con le metafore, le similitudini, la luce ispirata che ci doni in questo brano. Mi hai permesso di entrare in punta di piedi nel focus della tua parola e di rimanerne imprigionata come l'insetto dalla goccia d'ambra. Un abbraccio.
RispondiEliminaMaria Rizzi
Errata corrige: dopo soli sei giorni ....
RispondiEliminaMaria Rizzi
Maria, Maria Grazia, vi ringrazio sinceramente. Le vostre parole mi sono di grande conforto e mi aiutano nel mio cammino di ricerca e di approfondimento. Mi sforzo cercando di incontrare l’uomo al crocevia delle dimensioni verticale e orizzontale della sua esistenza. Talvolta basta affacciarsi al davanzale dei giorni e osservarli dentro e fuori di noi. Sono gli occhi della creatività con cui sono stati decisi e formati. Trasmettono messaggi, seguendo una logica, materiale e immateriale. Dove niente avviene per caso. Ecco che la vita allora ti appare come una confezione regalo, il cui involucro degenera presto come ogni esteriorità, e l’attenzione si concentra sul contenuto. E alla fine, le lunghe dita della speranza vanno a cercare le briciole rimaste incastrate negli angoli del fondo. Quei frammenti prima senza importanza e che conservano la stessa sostanza del tutto e ne danno testimonianza. E' cos' che la poesia diventa un messaggio privato, reso pubblico. Una dichiarazione, spesso una confessione. La poesia, infartti, non è un vuoto egoistico chiuso attorno all’autorefenzialità. Non si accontenta di una carezza…la poesia è un abbraccio. Non guarda gli occhi di chi incontri, legge ciò che è scritto dietro il suo sguardo.
RispondiEliminaMaria Grazia ci ha fatto dono della significativa poesia di Alda Merini sui poeti. Mi permetto di scriverne anche una mia, quantunque non ne valga il confronto.
I poeti
I poeti sono sonnambuli
dall’alito profumato di tiglio;
in equilibrio sul filo del buio,
tessono immagini
carpite al vento
fra i rami lucidi dell’ora blu.
In quegl’istanti in transito
sul velluto che scolora
la luce frange
le molecole di spirito
dei giochi e delle febbri
imprigionate nello sguardo.
Bluastre dissolvenze
del risveglio che s'incocca
nelle balestre dei platani,
s'amplifica in megafoni di guazza
e ricolora di senso l’orchestra d'aria,
posata adagio, su foglie di silenzio.
I poeti sono sonnambuli
seduti ad ascoltare
la giostra dei richiami
e il frullo chiassoso dei passeri
da cui spuntano germogli d’inchiostro
raccolti in versi su pagine d’alba.
Caro Roberto, mi permetto do commentare il tuo post con un mio inedito del 2013
RispondiEliminaNella notte, quando il soffio della preghiera si addolcisce
Ed anche il silenzio si appresta a tacere
Il mio respiro si fa gesto e traduce ansie nascoste
Poi la coscienza ormai rilassata abbandona la realtà
Per farsi sogno,
Altra coscienza che di giorno dorme.
Solo allora si aggrovigliano pensieri e paure
In tormentate lotte.
È l’anima che a luce spenta si libera dal pegno
Pagato da ogni uomo
In quel momento così astratto, così imprendibile, così fragile
L’uomo si avvicina a Dio, il suo Dio
Che vigile sorveglia
E che perdona.
2 aprile 2013
Claudio Fiorentini
Grazie Claudio per questo tuo inedito, prezioso che ci accomuna.
EliminaHo letto con grande interesse. Grazie.
RispondiEliminaA me di notte succede questo:
SILENZIO GIALLO
Questa notte è un cratere di silenzi
e non ci sono più parole. Solo
d’occhi sbarrati i sogni, alle finestre,
e guardo le ginestre
insieme ai girasoli dentro al vaso
sul tavolo di marmo, senza un prato,
il sole, il vento. Plastica inodore.
Ma giallo è il suo colore.
Come il tintinnio giallo di un pensiero
che scrivere non so. Danza perpetuo
sopra i dischi dei girasoli, e nudo.
Ho freddo, eppure sudo.
Lorena Turri
E' bello leggere versi...e quando questi toccano la parte più sensibile di noi, è gioia piena..." il tintinnio giallo di un pensiero
Eliminache scrivere non so".
Molto belle le sue considerazioni sulla notte che ho letto con interesse.
RispondiEliminaNotte
Nera
è
la volta della notte
che
le cortine stringe
sul lacrimare
dell’ombre e del silenzio
ma la notte
non porta più paura
a chi
trascesi i dubbi
senza speranza attende
Emma Mazzuca
Si Emma questi versi dicono molto. La notte è un percorso esistenziale, lungo la linea tratteggiata dai dubbi, dalle paure, dalle sofferenze, ma anche dai sogni e dalle speranze. E’ come transitare lungo i suoi viali senza avere la consapevolezza di ciò che sogneremo e di come ci sveglieremo. Così ci muoviamo con l’incoscienza dei sonnambuli, muti. Aleggia la speranza, lama lucida del vomere che si conficca in quell’ombra aprendone le zolle inesplorate entro cui seminare il nostro domani. La speranza è fiducia, è un’attesa, Attesa=la Espera espanola. Un’attesa involontaria. Non dipende da noi perchè sarebbe come dare corpo a ciò che vogliamo. Dipende da altri e da altro, imprevedibili conseguenze di gesti ed eventi inattesi. La speranza ci rende vomeri d’ombra che arano l’ansia e il timore dei nostri limiti, incluso il senso di solitudine, non intesa in senso fisico, ma in quanto astrazione, bisogno di stare con se stessi per dialogare con le parti più nascoste e per conoscerle meglio. Scrivere una poesia in fondo è parlare con se stessi, di se stessi. E per arare campi di solitudine…per poi gettarvi i semi luminosi della speranza.
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