Giorgina
Busca Gernetti: Amores
Youcanprint.
Tricase (Le). 2014. Pg. 52.
Un
crescendo verso un eterno che tradisca la precarietà del nostro esser-ci
Una
plaquette elegante, con in copertina l’Amor vincit
omnia di Caravaggio ed in quarta una delle poesie più contaminanti
sia a livello contenutistico che formale. Una plaquette che, con il suo
prodromico impatto, ci invita a sfogliarne le pagine per avvicinarsi alla
sostanza e potenzialità creativa di Giorgina Busca Gernetti. Amores, il titolo; richiamerebbe
all’opera di Publio Ovidio Nasone, considerando, per di più, la frequentazione
letteraria dei classici, e il saggio uso che la Nostra ne fa nel riattivare il
loro messaggio in chiave moderna. Originariamente l’opera dello scrittore
latino era composta da cinque libri, in seguito ridotti a tre, come il numero
delle sezioni di questa silloge: Eros,
Meminisse iuvat, Amores. Ma è necessario dire, da subito, che mentre in
Ovidio si tratta di elegie, poesie d’amore, d’occasione ed epicedi, privi di
pathos e di una figura femminile a dare unità all’opera (c’è una Corinna con
contorni molto vaghi e appena accennati), nei versi della Gernetti avviene il
contrario: c’è un lui e c’è una grande forza spirituale, umana e passionale a
fare da leitmotiv, a conferire organicità e compattezza all’ensemble del
“Poema”. Un amore plurale, di grande forza attrattiva. Quindi lavoro
personalissimo a livello strutturale e vicissitudinale, vissuto e ri-vissuto
con grande rendimento creativo. E proprio da qui, da questa citazione testuale
vorrei iniziare, da questa poesia che tiene in sé tutta la duttilità lessico-fonica
e euritmica; tutta la generosità semantico-allusiva dell’Autrice:
Eri di fronte a me; eri vicino
tanto da inebriarmi
con l’ardore improvviso del
tuo sguardo.
Ho tremato. Ho temuto
che le tue braccia mi
stringessero
come l’edera verde
s’avvolge al tirso, come il
molle acanto
recinge d’armonia
un’erma solitaria in un
giardino.
Perché ho temuto ciò che
anch’io volevo?
(…)
Nella penombra del viale
deserto
ti allontani in silenzio,
forse tremando ancora come io
tremo.
Forse anche tu rimpiangi
quell’istante
non còlto per la nostra esitazione
(Esitazione).
Una
poesia ampia, distesa, folta, i cui versi, con la loro eufonica armonia,
cristallizzano gli abbrivi emotivi della Poetessa. E lo fanno con la solita
architettura metrico-verbale con cui Ella si dona al canto; un intreccio di
endecasillabi e settenari tra loro legati da un inanellamento di Enjambements
che volge ad una narratologia di grande intensità umana; tutti motivi
ispirativi, tutte risorse poetiche che ho avuto il piacere di sottolineare più
volte nelle mie letture: memoriale, panismo simbolico, equilibrio fra dire e
sentire, versi dalla solida tenuta euritmica; e qui amore; Eros; dacché di un
canzoniere si tratta, di un canzoniere d’amore intriso di speranze, decisioni,
indecisioni, melanconie, timidezze, che, poi, alla fin fine, combinate insieme,
tanto hanno a che vedere con la vita, col suo consumarsi terreno fatto di
minuzie, e di grandi eventi, ma soprattutto di slanci verso zone inarrivabili,
verso azzurri indefinibili per il nostro essere umani. Per la nostra diatriba
ontologica, pascaliana fra rien et tout,
fra la nostra terrenità e la proiezione dello spirito oltre gli orizzonti
che demarcano la nostra vicissitudine. Quindi un canzoniere che si fa, con la
sua complessità esistenziale, foriero di una plurivocità emotiva che si
amplifica, e che si estende, pur personale, alla storia di ognuno di noi. Un
crescendo verso un eterno che tradisca la precarietà del nostro esser-ci. Questo
il grande merito. Di parlare a tutti, o meglio ad ognuno, con un messaggio di
perspicua sapidità disvelatrice. La Nostra ha covato nell’anima immagini e
sguardi di antiche stagioni; un volto che, decantato in alcove premurose, torna a vita rivestito di stati d’animo
nuovi, rinfrescati, ingranditi, anche, dacché l’immagine è sempre qualcosa in
più della cruda realtà. E la natura
occupa un ruolo determinante nella vis creativa della Nostra, facendo da
supporto concretizzante a una necessità di parlare; ad emozioni con cromie e
figurazioni che diano sostanza al sentire: l’edera verde, il tirso, il molle
acanto, l’erma solitaria in un giardino, il viale deserto, rappresentano
visualizzazioni di desideri, solitudini, esitazioni, rimpianti di una storia
mancata, sofferta. Afferma un poeta francese (Ronsard): “L’amour fait d’un
actime son eternité”. Ed è proprio quell’attimo fuggente, quel momento
sfuggito, a bussare al nostro cuore per dire che esiste con tutta la sua
potenzialità. Determinando rimpianti, anche, per una esitazione umanamente
comprensibile; nostalgie, melanconie che si tramutano in terriccio fertile pour
des fleurs de poésie in cui permane Solo
un’immagine a nutrire e saziare un
animo tutto vòlto a una celeste illusione; l’amore non teme barriere né spazi
infiniti; neppure la morte.
Un’aspirazione a spazi eterni, ad un Eros che può vincere con la sua potenza
rievocativa le sottrazioni di Thanatos. Un amore “che veglia lontano, che
soffre” e che arriva ad odiare le pareti “che incombono sull’animo,/ duro
carcere buio/ per una colpa sconosciuta/ da scontare per giorni inesorabili,/
grigi di piombo”. Dove l’animo stesso denuncia il bisogno di un metro più
libero, di un verso meno vincolato a canoni metrici, per esternare tutta la sua
intensità epigrammatica, tanta è l’urgenza di dire. E lo fa con picchi poetici
di rara bellezza:
Buia è la vita senza amore, è vuota
come guscio, in inverso, di
cicala
che con il canto l’estate
allietava
nell’ardente calura
(Senza amore),
lo
fa raffigurando questo stato emotivo ora in un’eclissi:
L’eclissi dell’amore
nuda riduce l’anima,
senza più speranza di foglie
tenere e verdi,
senza più fiori
né profumata primavera
(Freddo),
ora
in un’immobile Erinni
La disperazione,
muta ed immobile Erinni,
starà sulla soglia
della vita che spegne il suo
lume,
della morte che annienta
(Verrà la morte),
che
assume il significato di una contrapposizione, di un un polemos degli opposti
di sapore eracliteo fra vita e morte,
fra luce e buio, fra gioia e dolore; e si sa che sta tutta nello scandalo delle
contraddizioni l’anima della poesia;
ora
in un lago:
Il lago
fremeva e s’increspava
sotto lievi e sonore
folate di vento
(…)
Le tue parole
cadevano dolci nell’aria,
dolci a udirsi
per chi le bramava
e temeva
che non fossero vere,
che tutto fosse solo un sogno
labile e lieve
(Sulla riva del lago),
dove
la natura, umanizzandosi, freme e si increspa in un tempo imperfetto che sembra
dare perpetua continuità all’azione;
ora
in un tiglio:
Ricordi quel tiglio odoroso
dalle vivide foglie?,
dove
il memoriale si fa alcova, riposo edenico per un’anima alla ricerca di sé e del
suo bene.
Finché
tutto si fa presente, vita; tutto dà segno di forza ed immortalità;
un’ascensione spirituale che dal dolore giunge a quel dio eterno che è Eros:
E’ un dio immortale Eros, il
Fanète
che rivela ed illumina
l’immenso.
Non può morire la forza vitale
che l’universo genera e
sostiene,
perpetua dei viventi ogni
famiglia
ed anima lo spirito
(Non è morto l’amore).
Quel
dio che Lucrezio immortalò nel suo Inno a Venere:
Aeneadum
genetrix, hominum divomque voluptas,
alma
Venus, caeli subter labentia signa
quae
mare navigerum, quae terras frugiferentis
concelebras,
per te quotiamo genus omne aniumantum
concipitur
vitisque, exortum, lumina solis,
te,
dea, te fugiunt venti, te nubila caeli,
adventumque tuum, tibi suavis
daedalatellus
summittit flores, tibi redent
aequora ponti
placatumque
nitet diffuse lumine caelum.
Nazario
Pardini
Meraviglioso commento!. Gratias ago plurimas excellentissimo Nazario.
RispondiEliminaGiorgina BG