Editrice Ferraro. Napoli. 1998. Pg. 88
Luisa Martiniello: La
casa del sole
Editrice Ferraro. Napoli. 2003. Pg. 144
Luisa Martiniello: Il
verso della vita
Editrice Ferraro. Napoli. 2009. Pg. 88
Grande
sorpresa questa mattina (13/12): tre sillogi di Luisa Martiniello editate per i
tipi di Ferraro Editrice, Napoli. Libri ben fatti, di elegante presenza, per
copertina, carta, impaginazione, composizione. Ed è importante il primo impatto
con un testo. Fa da prodromico invito a sfogliarne le pagine, a individuarne i
lemmi, le costruzioni verbali, i guizzi emotivi; a farci immergere, alfine, con
grande partecipazione, nella totalità dei ritmi per assaporarne la caratura
estetica e non solo. E mi piace iniziare da una citazione testuale per evidenziarne
un aspetto non secondario nel percorso poematico: “convivio di morte/ oggi a
mensa si brinda di egoismi,/ ancora protervi sparvieri/ di stragi ecologiche…" (Vento e fuoco). Una poesia d’impegno, un rancore, un risentimento di forte
acrimonia per uno stato di cose; ma anche un procedere con animo e cuore rivolti
ad una Bellezza di cui l’uomo dovrebbe essere cosciente; dovrebbe tener conto
per la sua stessa sopravvivenza; una
Bellezza che viene sempre più martoriata da una società senza scrupoli, né principi
etici. Dove Eolo e Vulcano sogghignano e giocano ai dadi una tunica di sabbia
giallastra probabile cadavere del creato.
E quello che da subito salta agli occhi è lo spirito di una Poetessa
disposta a creare dicotomie, contrasti fra ciò che è male e ciò che è bene, fra
ciò che è buono e ciò che è cattivo, dacché è proprio dallo scandalo delle
contraddizioni che nasce l’input di una satira mordace e generosa di memoria
pariniana. Per questo si ricorre ad un panismo di grande urgenza emotiva, di
sensibile resa visiva. Ad una natura rievocata nella sua purezza con immagini
eternamente eterne nella loro palingenetica rinascita; a una natura riportata a
vita da un sentire, che, non di rado, si fa malinconia; gioco di tempi in cui a
dominare il tutto c’era proprio essa, la madre più antica, coi suoi interventi
ora zeppi di pulcritudini ora di malanni, perché, appunto, col suo insegnamento
potesse incidere sulla vicenda degli uomini; li potesse preparare agli eventi;
potesse loro trasmettere la preziosità dell’oro dell’alba, dell’aria linda, del
profumo di terra, della clessidra dei tramonti, e della genuinità dei suoi
frutti; ma anche quella delle piogge, delle gelate come avversità naturali che
temprano animo e carattere. Eppure l’arrivismo, la speculazione, il sopravvento
della materia sullo spirito, l’omologazione stessa, e l’azzeramento di una vicinanza
stretta fra gli uomini, hanno creato un falso progresso. Privo di quel
sacrosanto principio galileiano secondo cui “E’ tale solo e soltanto se va a
vantaggio dell’umanità”. E’ qui che i due poli sprizzano diatribe di grande
resa narratologica. Da un lato una pittura di virgiliana memoria, dove albe,
rondini, passeri in minuetti di danze, e nidi ancora tiepidi, esaltano un quadro di cromie e sonorità di
effetto georgico che potrebbe porsi come momento incipitario con valore
eponimo: “Sotto il doppiomento della
grondaia/ sostano le rondini sul filo/ nella linea marcata di scrittura/ - neretto in pagina del cielo -. Le rondini sul filo, il titolo della
silloge. E Disegno di facciata quello
della poesia iniziale. Dall’altro lato Affluenti vesuviani, dove “I vicoli come
braccia morte/ confluiscono in piazza/
come soldati a fazzoletti./ Qui si fugge ai primi dondolii/ come passeri
dai fili tesi/ sul seminato”; o Fiaba
domestica, dove “Rivendico cuore di nonne/ che celebra la poesia delle
culle. /…/ Il nostro batte/ nella borsa della spesa/ nell’angolo di scaffali a
scrivanie/ nelle penose ore d’ufficio/…/ spesso destinate al ripasso dei
conti”; o Parsimonia, dove “Signore,/
chi ignora la carità/ come un cane respinge la frusta del rimorso,/ sprofonda
la testa nella ciotola,/ distoglie lo
sguardo dalla febbre altrui,/ non riconosce diritti di gola”; o Alieni, dove “Nessuna donna si
riconosce/ nel nome di diritto: “mamma”;
o Il mago della pioggia, dove
“Nel seno il vomito del progresso/ raccoglie detriti a reliquia. / Sulle sponde
confuse/ cartelli di veleno segnalano/ tracce topografiche.”. Lo spartito è
complesso, come è complesso l’animo della Poetessa: la summa di un’intera vita
con tutti gli abbrivi di polisemica significanza: la memoria, l’inquietudine
del vivere, la speranza, l’illusione, la delusione, la tristezza, diluiti in
pièces i cui versi si donano con euritmica sonorità alla cristallizzazione degli
stati emotivi. Una ricerca attenta e meditata dell’architettura verbale; dell’impiego
di nèssi iperbolici che vanno oltre
l’uso della tradizionale stesura morfosintattica,
dacché la parola è un limite, nella sua entità, nei confronti delle espansioni
creative; dacché l’animo tende a ben oltre i significati, in cerca di
significanti che lo conducano alla Poesia, a quella parte di noi che più si
avvicina all’irraggiungibile. E il tutto in un realismo lirico di grande
configurazione ontologica; di arrivanti latebre di intensità epigrammatica che
volgono non di rado in parènesi di polimorfica metaforicità:
Sulle corde della speranza
mi aggrappo all’arcobaleno
che ogni sera ci unisce
guancia contro guancia,
occhi negli occhi,
alito nell’alito
sul muro del tempo,
fingendo morsi dolci al tuo e
mio mento.
Avremo, figlio,
un nido tutto nostro
per il prossimo inverno.
Vivo di sole (Sul filo del telefono),
e
in cui un canto d’amore e di lontananza raggiunge cifre di tale intensità lirica
da sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo.
“La
poesia è connaturata all’umanità: il vero poeta assimila e trasfigura, lo
scriba si limita a copiare”, affermava Eliot. Ed è quello che fa la Nostra con
la sua visione dell’Arte; per cui la Poesia è sentimento, rielaborazione,
realtà tuffata nell’anima e di essa nutrita, è fuga dell’essere verso una
natura disponibile ad accompagnarlo negli ambiti più segreti; ed è ritorno;
ritorno all’esistere a che l’anima stessa lo possa trasferire sul foglio
intinto dei suoi abbrivi vitali; o di una memoria, anche, che, mai fanciulla,
si sporca d’esperienza:
ora che rughe profonde
segnano il corso del pensiero
rammento chi giace
sotto
le pietre
- tappeto di frutti immaturi
sulla guancia della terra –
(…)
Ma non c’è candore
nella mente
nella morte
nell’inverno.
La memoria, mai fanciulla,
si sporca d’esperienza (Ricordi
adulti),
dove
vita e morte, memoria e realtà si compenetrano in una dialettica che tanto sa
d’inquietudine esistenziale.
Un
memoriale, che, sempre presente, viene accolto da versi di urgente duttilità e
di euritmica fattura, anche nella silloge, Il
verso della vita, dove malinconie,
senso di appartenenza, meditazioni, forza attrattiva delle proprie radici,
pensieri sull’essere e l’esistere, e sulle aporie del mondo, si alternano con
naturalezza ora col repêchage di lontane emozioni:
Dalla vecchia camicia
di cotone
striscioline di pezza
tagliavi e annodavi
ai ciuffi dei miei capelli
perché una bambola coi ricci
comparissi la mattina (Nonna);
ora
con la coscienza della precarietà del tempo e del luogo che induce la Nostra ad
un redde rationem di somme e sottrazioni:
Ora che siamo agli anta
ci guardiamo dall’orlo
del precipizio.
(…)
Facciamo somme e sottrazioni
ma i conti non tornano.
Troppo abbiamo dato, poco
ricevuto,
tanto sofferto, poco goduto (Ora
che siamo agli anta).
Una
malinconia che s’insinua nel sottofondo dell’opera facendosi terriccio fertile
per la crescita di fiori di poesia in cui Luisa grida ai quattro venti l’amore
totale, plurale per la sua terra. Per le salde radici ad un suolo, che
inducono, anche, a interrogativi, inquietudini, e questioni vicissitudinali sui
perché dell’esistere; dove versi brevi, liberi e apodittici, testimoniano una
urgente necessità di confessione:
Per quanto
ancora
avrò il piacere
di guardarti
con occhi innamorati
dall’alto
della mia bassezza
(…)
Mi palpiti dentro
sei nei miei pensieri
Rifammi erba
tra i tuoi capezzoli di sasso
refrigerio di fresca linfa (Per
quanto).
Palpiti
umani, che richiamano alla nostra condizione di fragilità e che ci impongono
riflessioni di memoria pascaliana, per cui l’uomo “C’est un milieu entre rien e
tout”. Quel tutto che la Poetessa sa trovare ne La casa del sole, in un ricordo che si fa realtà, tanto è forte in Lei;
un ricordo di cui va in cerca come riposo edenico, e come amore oblativo,
perché è là che corre, è là che la sua anima vola per ripescare volti, abitudini
e presenze incancellabili; sapori di vita; attaccamenti che traducono le
malinconie in immagini ritrovate:
La casa del vento narra
di mia madre al telaio
del pettirosso saltellante.
Un corredo di preghiere
accompagna i ricami
l’appuntamento d’ottobre
trasmigra dalla frasca
al dono delle molliche.
(…)
La casa del sole tramanda
la pazienza sulle carte
il pane
garantito
dal latino e greco
di
mio padre professore (Storie di speranza).
Ed è
così che mi piace chiudere: con questa citazione ultimativa. Dacché un critico
non è mai distaccato dal testo. Fa di un verso una sua vicissitudine; lo tuffa
nel suo animo e, emozionato, lo ri-dà alla pagina contaminato della sua sostanza.
Nazario
Pardini
Non conosco, mio malgrado, i testi di cui magistralmente ci parla il Prof. Pardini. Conosco l'autrice, figlia degnissima del grande Pasquale Martiniello, che con immensa passione prosegue l'opera paterna di promozione culturale improntata alla conoscenza e all'amore per il territorio, per le radici. Civiltà è mettere radici. Quanto si sbaglia a credere che questo sia un discorso da nostalgici, da reazionari, un discorso da passatisti!. Niente di più falso. Peculiarità delle radici è di rinnovarsi in continuazione, mentre chi le recide va incontro a morte sicura, non ha scampo. Dalle poesie e dal commento che qui leggo comprendo la matrice civile da cui l'autrice è animata, l'esortazione ai sani principi etici, il senso di appartenenza alla grande Madre che ci ospita e ci nutre, da noi ripagata purtroppo con un egoismo che non ha uguali.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Luisa Martiniello
RispondiEliminaIl verso della vita
La bella frase idiomatica “il verso della vita” è usata dall’Autrice come titolo del libro non soltanto per dare pregnanza di significato al fluire di eventi che riempiono la sua vita e il suo “cuore di poeta”, quanto per imprimere al titolo stesso una accezione metaforica che rimanda al verso poetico. Perché, in fondo, tutta la nostra vita, è poesia. Ogni componimento contenuto in questo testo si presta ad una doppia lettura: una immediata, l’altra interpretativa. Entrambe, nel loro insieme, rivelano il forte messaggio che l’Autrice vuol trasmettere al lettore. Lo stile asciutto e ricco di significati reconditi aiuta a trovare il doppio binario su cui si snoda tutto il libro, sapientemente disseminato di metafore e rimandi. La totale assenza (o quasi) di punteggiatura è, essa stessa, momento di pausa e di “intra-visione” per l’attento lettore.
Confucio diceva: “Per il saggio la sostanza è tutto. A cosa servono le rifiniture? Le rifiniture sono sostanza e la sostanza sono le rifiniture”. Dalla lettura degli scritti della Martiniello si evince una forte personalità pratica e concreta che si può definire sicuramente “sostanziale” nel senso dato da Confucio a questo termine. Le tematiche trattate sono vaste e complesse: l’ampio spettro spazia dal sociale all’intimista. Se pure poste in ordine sparso, le poesie della Martiniello danno un quadro chiaro del suo pathos. In nessun caso - sia che si guardi ai versi intimisti, sia che si guardi agli enigmatici frammenti -, l’Autrice cambia registro di stile, donando facilità di lettura.
Luisa Martiniello difende fortemente gli ideali per i quali i nostri avi hanno combattuto. Sebbene sembri estremizzare, in ultima analisi, l’Autrice difende la vita, la libertà così duramente conquistata. Ella si presenta, dunque, come una donna tutta d’un pezzo, ricca di valori umani. Con la sensibilità propria di chi fa poesia, resta attenta ai fatti di cronaca additando il male che, purtroppo, colpisce soprattutto i giovani di oggi (Ritorna il tempo, p. 47).
Vi è poi una Martiniello che mette a nudo il suo intimo, i suoi pensieri più nascosti; costei squarcia il velo sulla sua vita di donna e di madre. In alcuni testi poetici sono presenti frammenti della sua personalità, parte degli eventi della sua vita e la schiettezza del vivere quotidiano. L’Autrice non fa mistero di trovarsi a combattere contro le sue stesse paure (Ogni cambio di stagione, p. 36). La poetessa non si risparmia neppure di pensare al momento del proprio trapasso. Immagina quell’istante e ci dona il suo testamento spirituale : l’arte poetica. Solo la Poesia, infatti, oltrepassa la persona, supera il tempo e lo spazio e dona ristoro alle anime in perenne ricerca (Se dovessi, p. 48). All’attento lettore non sfuggirà che “sostanza del discorso” non significa assenza di Dio: una velata ma profonda religiosità, infatti, permea tutta la raccolta. Dai versi traspare la mai assopita ricerca di Dio che passa anche attraverso il significato delle piccole cose (materiali e non). Una ricerca di Dio che è rousseauniana e hobbesoniana insieme : questa, infatti, partendo dallo spirito, si sposta sulla investigazione della materia per scomporla, rimescolarla, riunirla, per poi tornare all’immateriale, arricchita di senso nuovo (In questo tormentato momento, p. 64). La ricerca di Dio si trasforma in acuta sofferenza per approdare, infine, alla riva della preghiera che raggiunge persone vicine o lontane, si immerge in frangenti di dolore geograficamente o temporalmente distanti, ma sempre al centro del pensiero e del cuore della Martiniello. E’ in questo quadro che trova sicuramente collocazione l’inclinazione dell’Autrice a sognare un mondo dove la cultura sia leva per la pace e il riscatto di tutti i popoli (Nel verso, p. 31).
Giocando, infine, sulla metafora interpretativa suggerita dal titolo della sua raccolta poetica, si potrebbe definire la poetessa Luisa Martiniello come “colei che ha trovato il modo di dare alla vita il suo verso”.
Filomena FURNO