Pagine

sabato 31 gennaio 2015

VERSANTE RIPIDO "N° 2 FEBBRAIO 2015"

Da questo momento potete trovare on line il numero 2 di febbraio 2015 della nostra fanzine Versante Ripido, con tema: fucina di utopie. 
http://www.versanteripido.it/?lang=it&emtrck=NzA3Mzd8NjZiOTdiNmY1OGUxOTcwOWYwMThiMDBjfGh0dHA6Ly93d3cudmVyc2FudGVyaXBpZG8uaXQvP2xhbmc9aXQ%3D
Questo e’   l’indice  del numero:
  • FUCINA DI UTOPIE, EDITORIALE O “ESCA” DI PAOLO POLVANI (editoriale)
  • LA POESIA, L’IMMAGINARIO E L’EVOLUZIONE SOCIALE, EDITORIALE DI DANIELE BARBIERI (editoriale)
  • LETTERE DAL MONDO OFFESO, INTERVISTA A CHRISTIAN TITO (intervista)
  • LA PAROLA NUMEROSA DI FLAVIO ERMINI (servizio)
  • L’UTOPIA, L’UNICA CHE PORTI ALLA POESIA DI MASSIMILIANO DAMAGGIO (servizio)
  • SAPORE DI PAROLE DI MARIA LENTI (servizio)
  • L’UTOPIA DELLA FINZIONE DI MARCO ERCOLANI (servizio)
  • POESIA FUCINA DI SPERANZA, DI FRANCESCO SASSETTO (servizio)
  • AZIONE SOCIALE DELLA POESIA, ALCUNE RIFLESSIONI DI ROBERTO MAGGIANI (servizio)
  • LA POESIA – COMUNICAZIONE, L’UTOPIA E LA DEVIAZIONE DELL’IMMAGINARIO DI SONIA CAPOROSSI (servizio)
  • UTOPIA E POESIA CIVILE DI PASQUALE VITAGLIANO (servizio)
  • FUCINA DI UTOPIE DI MARIA GRAZIA DI BIAGIO (servizio)
  • POESIA-UTOPIE DI SERGIO ROTINO (servizio)
  • NOI CHE FACCIAMO?* DI RAFFAELE NIRO (servizio)
  • PROBLEMA DI SCRITTURA DI VLADIMIR D’AMORA (reportage)
  • HO PENSATO CHE POI TI AVREI RISPOSTO. SILVIA SECCO SU GIANMARIO LUCINI (reportage)
  • FABRIZIO PITTALIS RETROSPETTIVA, SELEZIONE DI POESIE DA “MOLTO SPIACENTI SIR” A CURA DI FLAVIO ALMERIGHI (reportage)
  • PERIGEION DI FRANCESCO TOMADA (reportage)
  • TEL PARCHÉJO DEI CORPI, POESIE DI FABIO FRANZIN (poesia)
  • CIÒ CHE È IL MONTE DENTRO CHI LO VIVE, POESIE DI ANNA MARIA FARABBI (poesia)
  • USCIRE DA SÈ, SONETTI DI LUCETTA FRISA (poesia)
  • LA PORTA SI CHIUDEVA ALLA LUCE, POESIE DI ENRICO MARIÀ (poesia)
  • QUEST’ALA SPENNATA DI SALICE, INEDITI DI CLAUDIA BRIGATO (poesia)
  • VARIAZIONI SULLA SCRITTURA, POESIE DI RAFFAELE NIRO (poesia)
  • NELL’INCAVO DESERTO DI UN NIDO, INEDITI DI MARIA GRAZIA DI BIAGIO (poesia)
  • MANTRA DELLA SERA, POESIE DI FLAVIO SCALONI (poesia)
  • AVANT-GARDE! GIORGIO MANGANELLI: RETROSPETTIVA A CURA DI GIOVANNI CAMPI. PUNTATA 3 (rubrica)
  • RUBRICA POESIA DAL MONDO DI LUCA ARIANO: DAN FANTE (rubrica – I PUNTATA!)
  • RUBRICA TRE PREGI E UN DIFETTO A CURA DI R. GALBUCCI. SU “CONTRATTO A TERMINE” DI LUCA ARIANO (rubrica)
  • SEDIE RIMATE, RUBRICA DI POESIE PER RAGAZZI DI ALBERTO CINI – 5 (rubrica)
  • VERSI ALLO SPIEDO, RUBRICA DI CUCINA DI ROBERTO MARZANO (rubrica – puntata di chiusura)
  • RUBRICA VIAGGI E VACANZE: VERSI DI FABRIZIO BREGOLI (rubrica)
  • RUBRICA LA POESIA IRONICA – I POETI DI SPIRITO. VERSI DI PAOLO POLVANI (rubrica)
  • LA PÒLIS CHE NON C’È DI ENNIO ABATE, RECENSIONE DI LUIGI PARABOSCHI (recensione)
  • EMILE EDANG, LA SCRITTURA È UNA RELIGIONE. GABRIELLA MODICA SU “AQUILA D’AFRICA” DI E. EDANG (recensione)
  • PORTARSI AVANTI CON GLI ADDII DI FRANCESCO TOMADA, RECENSIONE DI CHRISTIAN TITO (recensione)
  • IL RACCONTO DEL MESE: “LA RETE METALLICA” DI UGO RAPEZZI (narrativa)
  • ROCK POETRY BY SF: DANCING BAREFOOT (rubrica musicale)
   
Buona lettura.
La redazione di VR
   
redazione@versanteripido.it    

venerdì 30 gennaio 2015

A PORTA PORTESE "IO PARLO JAZZ" STASERA E DOMANI SERA H. 21



Stasera e domani ci sarà lo spettacolo "Io parlo Jazz", al teatro Porta Portese. 
Musica e letteratura in un connubio ritmico, 
che non vi lascerà indifferenti!





CLICCARE PER INGRANDIRE

giovedì 29 gennaio 2015

ELPIDIO JENCO "POETA"

Elpidio Jenco

Nacque a Capodrise (Caserta) nel 1893 e morì a Viareggio nel 1959. La sua attività letteraria ebbe inizi precoci. Studente universitario faceva parte del gruppo della Diana  che annoverava fra i suoi collaboratori poeti come Ungaretti, Onofri, Valeri, Titta Rosa, Fiumi, e collaborò alla rivista italo-giapponese Sakurà. Il primo volume in versi Poemi della primalba, fu pubblicato a Napoli nel 1918; seguirono Acquemarine, Cenere Azzurra, Essenze. Vinse il Premio di poesia promosso dalla Città di Chianciano col volume La  vigna rossa. Studiò e tradusse liriche giapponesi. La raccolta Marsilvana fu pubblicata postuma nel 1960.
Nelle ultime composizioni, ha scritto Giulio Cogni, Jenco “ha voluto affrancarsi dalle forme classiche e dalle rime, a cui prima era fedele; concentrarsi in scorci sintetici che rasentano l‘ermetico. Ne è derivata, così, talvolta una minore musicalità e spontaneità, ma anche una maggiore immediatezza, concentrazioni visive e sensitive, veramente  magiche, istantanee, depurate da ogni allargamento caro alla poetica classica”.

Febbraio

Io son te, ciuffo pallido,
che al vento ti porgi dal ciglio del muro,
e col mio chiuso tremito aspetti
che sfiondi
come la rondine prima
la primavera del mare. 

martedì 27 gennaio 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "TRATTI IN CHIAROSCURO" DI ELENA MALTA

Elena Malta: Tratti in chiaroscuro
Edizioni ETS. Pisa. 2014

Silloge prima classificata con pubblicazione al Premio il Portone 2014





CLICCARE SULLE IMMAGINI PER INGRANDIRE


PREFAZIONE
di Nazario Pardini
Camminiamo su vie  buie la cui uscita ci è ignota

Come ogni donna, strega e un po’ gitana,
viaggio su meridiani paralleli
rammendo giorni a fil di ragnatele,
schivo dirupi come fa un capriolo,
sollevo i sogni in volo fino al cielo (Ritratto)

Poesia chiara, densa, stuzzicante, i cui versi, con euritmica armonia, concretizzano impatti emotivo-intellettivi di proficua vis creativa. Iniziare da questa citazione testuale significa, in gran parte, andare a fondo della poetica di Elena Malta. Dacché questi incipitari tatuaggi di generosa espansione umana disvelanti luci ed ombre, ci introducono, con impiego di costrutti figurativi, in quello che è il prosieguo dei risvolti esistenziali della silloge. Un momento di prodromica valenza ad uno spartito che ci dice di vita, di sogno, di amore, speranza, illusione, delusione. Insomma di tutti quei sentimenti che alimentano il nostro vivere e che si fanno anche motivo di inquietudine e malum vitae  per un senso di precarietà che attanaglia il nostro essere. Si vive coscienti dei dirupi che ci attorniano, delle perplessità che si inanellano sul cammino della nostra vicenda umana: quelle spirituali, quelle inquietanti  per le aporie di un mondo carente di umanità, di un mondo omologato verso spersonalizzazioni di una società liquida, o quelle dei tanti perché che non trovano risposte ai quesiti dell’essere e dell’esistere. E si ricorre al sogno, all’immaginifico, come alcove edeniche delle nostre insoluzioni; al memoriale, depositario di antiche primavere, di realtà macerate in un animo impaziente di riportarle alla luce. E il tutto con un sapiente accostamento a moduli ritmici, e prosodici, a contenuti di urgente resa poetica. Solo conoscendo le regole si è in grado di destrutturale per creare cospirazioni dall’intensità di un melologo. E qui la perfezione dell’endecasillabo, usato in tutte le sue varianti, distribuito in strofe rimate in ABBA, in ABAB e impreziosito da assonanze, allitterazioni, fonosimbolismi, metaforicità o rime libere, fa di questo verseggiare una romanza dai toni lirici:


Muse della poesia

Se fossimo rimasti a decifrare
le rune misteriose di un amore,
scaldandoci le mani a quel tepore
nessuno avrebbe osato derubare
le liquide speranze delle aurore… (Avremmo fatto meglio),

una romanza sapida di abbrivi erotico-emotivi che parla del rapporto della vicenda umana col tempo. Che riporta memorie, ripensamenti di cose non fatte o non dette, di amori lasciati all’abbandono, o di sottrazioni “di liquide speranze delle aurore”.
Il tempo fugge, ed il presente è irraggiungibile, non si può vedere in faccia per parlargli e chiedergli risposte alle nostre insoluzioni, al perché delle nostre melanconie:

La sera si avviluppa sui lampioni
schermando il giallo alone che ne piove.
E camminiamo al buio queste vie
e calpestiamo sassi ad ogni passo

ed inciampiamo sempre, ad ogni svolta.
E mai che ci si accenda dentro il cuore
di tendere una mano solidale… ( Pochi passi).

Quanta vicinanza alle ristrettezze dell’esser-ci in questo passo: camminiamo vie  buie la cui uscita ci è ignota; vie piene di inciampi e di curve che rendono incerto e problematico il nostro andare: ognuno di noi si dovrebbe rendere conto che la nostra permanenza non è altro che un tempo prestato dalla morte, per cui  dovrebbe tendere una mano a un gesto solidale. E  la Nostra si rifugia in quietezze di immagini di amore oblativo; di figure cariche di lontananze affettive, rimaste in petto, solide, a gridare amore per padri, per aquiloni colorati, per abbracci e strinte di mani su strade felici:

E, mentre noi così si camminava,
la voglia tua sentivo di narrarmi
degli aquiloni e come li pensavi
e li tendevi in aria colorati,

a un filo impercettibile ancorati.
(…)
 Anche se il tempo, ormai da tempo, padre,
decise di slegare a noi le dita” (Al passo tuo).

Un memoriale caldo, fortemente sentito, trascinante e abile nel dribblare il sentimentalismo con controllata effusività; un repêchage di giorni di sole e di verdi primavere in cui l’anima volava sicura appigliata a pilastri d’amore. È per questo che la Nostra vuole raccogliere con premura i suoi pensieri per paura di smarrirli dentro un vicolo randagio; per paura che la voracità dell’oblio ne faccia incetta; è così che vuole sprofondare in una sciarpa calda e protettiva “un ornamento al collo, una collana/ di fragili conchiglie della riva;”. D’altronde  la vita  è fragile come una conchiglia sbatacchiata dalle onde del mare; la vita è soggetta all’umore dei giorni, alle rocambolesche vicissitudini degli eventi; e l’anima non fa a tempo a correre dietro alle ingiustizie della quotidianità, ne resta afflitta, scossa, delusa; quella dell’Autrice ambirebbe ad un mondo migliore; ad un mondo in cui il sentimento di pace e di fratellanza potesse prendere il sopravvento sulle miserie della società. È questo che appare dal dipanarsi delle pièces della plaquette: non solo l’inquietudine esistenziale per l’impossibilità di scoprire l’anello mancante, ed entrare così nei misteri del tutto; ma anche quei problemi sociali che emergono con virulenza agli occhi di ognuno, colpendo i più deboli. Ma tanto spazio occupa il sentimento dei sentimenti, quello che si fa motore dei subbugli interiori: l’amore. Eros e thanatos. L’amore vissuto in tutta la sua generosa portata, più bella e meno bella. In tutto il suo climax. Dal desiderio di vincoli appassionati alla melanconica impossibilità d’intendimenti:


Albatros
Ci sono pochi passi a separarci,
appena un paio in tutto, li ho contati,
ma io non ho più voglia di chiamarti
e tu neanche quella di fermarti… (Pochi passi).

Forse, scrive la Poetessa:

avremmo fatto meglio a sparpagliare
il gioco delle carte dei destini,
restando ancora un poco sotto i pini
i sogni di un amore a interpretare… (Avremmo fatto meglio). 



Orfeo e Euridice
Ma c’è il dolore con il quale la fatica del mondo danza in armonia. Una malinconia che la Nostra prova e che confessa apertamente nei suoi versi:

Al vento che dà i brividi alla notte,
fra tegole sconnesse sopra i tetti,
ha fatto la mia anima un’alcova
e si concede al vezzo della luna

che prende a illuminarci nei recessi.
(…)
Nessuna grazia vince quel pudore
a far vedere chiaro il mio dolore… (Sui tetti).

E la natura, con tutta  la sua potenza cromatica, si fa incontro all’Autrice. Diventa attrice prima col suo potere identificativo, esemplificativo, paradigmatico, col suo potere concretizzante. Fino ad esplodere in un canto in cui la  vigna esuberante di profumi, i pampini, i moscerini, i raccolti, i mosti, i bei verdi, il sole d’ambra, le foglie smeraldo si miscelano in un bucolico afflato di vita rurale dal sapore di ovidiana memoria. Un canto in cui Elena Malta dà tutta se stessa, tutto il suo sentire, disseminandolo in una Danza d’autunno:

… Scorre più lenta nelle nervature
la vita di smeraldo delle foglie.

Lasciamoci inebriare dai colori,
usciamo a passeggiare nelle vigne
.
E mi piace chiudere questo mio scritto con smarrimenti di malinconie in naturismi storditi dallo spirito dei mosti; in naturismi ove “una vigna esuberante di profumi/ veste le trasparenze già mature/ che i pampini faticano a celare” 

Nazario Pardini
22/11/2014


lunedì 26 gennaio 2015

ESTER CECERE SU: "INTER CITY" DI LUCIA SALLUSTIO



Recensione 
Lucia Sallustio: Inter-city. WIP Edizioni. Bari. 2015
a cura di Ester Cecere

Ester Cecere


Questa splendida raccolta di versi di Lucia Sallustio è un ritratto lucido, critico, profondo, spietato quasi e, tuttavia, doloroso, della società attuale, che l’autrice percepisce come insieme delle solitudini dei singoli individui. E’ un’aperta denuncia dell’umanità perduta e, al contempo, un’invocazione accorata al suo recupero.
Il titolo, “Intercity”, richiama immediatamente alla mente il viaggio, tradizionale metafora della vita, che l’autrice rivisita abilmente, adattandola ai giorni nostri. E’ questo un “viaggio” caratterizzato da un’insuperabile incomunicabilità tra i “viaggiatori” che porta ad una solitudine profonda e disperata che priva di significato il viaggio stesso. Emblematica, quasi una sinopsi dell’intera opera poetica, è la prima lirica, STAZIONI:
Attraverso stazioni
e scorre una vita
che non m’appartiene.
Un cappuccio sul capo
un velo sugli occhi
un laccio asfissiante
non lasciano urlare
un cuore straziato.
La folla scorre,
mi guarda, non mi vede.
Attendo, forse invano,
un giorno migliore
ma ho perso di vista
il perché di ogni cosa
e il calcolo delle ore
non ha più ragione.
Nel fluire del tempo
s’arena in confusione.
Alienati, soli nella folla che non ci vede, impegnata a sua volta in una frenetica corsa verso una meta sconosciuta, la nostra stessa vita non ci appartiene più, non ne comprendiamo il significato, il fine, ci guardiamo viverla come se fossimo al di fuori di noi stessi, tanto che anche il portare il conto dei giorni che trascorrono convulsi perde di significato. E’ un treno lanciato a folle velocità, la nostra esistenza, che non ci lascia il tempo di chiedere aiuto, un treno in cui i viaggiatori “guardano ma non vedono un cuore straziato”. Quanta dolorosa verità in questi versi, se solo pensiamo ai quotidiani fatti di cronaca!
Eppure, l’autrice non perde la speranza: Attendo, forse invano, / un giorno migliore…
Ed ecco che viene introdotto l’altro tema fondamentale della raccolta, l’attesa. Del resto, non sono forse le attese alle stazioni gli altri elementi caratterizzanti di un viaggio? E cosa attendiamo nelle soste di questo frenetico viaggio percorso in angosciosa solitudine? Attendiamo pause in cui abbattere il muro dell’indifferenza:
Cuori di speranza
accendono sorrisi
in visi tesi d’incertezza.
Si serrano amicizie
in cordame d’acciaio
che imbraga fragilità
C’è, dunque, questa speranza pur nell’incertezza e nella fragilità della condizione umana, ma…vele ardite vengono lacerate da scossoni e restano ombre di sopravvissuti / sulla spiaggia indifferente. (da INDIFFERENZA). E non è forse vero che gli “scossoni della vita” attentano ai nostri rapporti interpersonali determinandone spesso il naufragio?
Il tema della vita frenetica, che priva l’uomo della sua umanità rendendolo simile ad un automa, Tapis roulant / di gente meccanica (da TAPIS ROULANT), è ricorrente nella raccolta ma è sempre esaminato, sviscerato da punti di vista diversi.
In ANCORA, con attenzione non comune, la poetessa affronta un argomento raramente oggetto di poesia, quello della tecnologia che può anche essere nemica dell’uomo, contribuendo al suo isolamento, allontanandolo da coloro che fisicamente gli sono vicini:Assorta dentro cellulari / la fiumana scorre.
E, tuttavia, si tenta sempre un approccio, in condizioni che magari facilitano l’incontro e il dialogo:
Tra i profumi invadenti
di croissants e cappuccini
e tintinnio di tazze al bar… (da ANCORA) ché l’uomo ha pur sempre bisogno dei suoi simili ma, quando sembra che ci si stia avvicinando, che si possano mettere le basi per un rapporto duraturo, si riparte ancora. Non c’è tempo per un sorriso, per uno sguardo di solidarietà, d’intesa, di comprensione… Eppure, raramente si viaggia da soli: A guardar bene, è semipieno (il bus) / non si è mai soli nel viaggio (da RAMINGA).
E ogni tanto ci sono delle soste; ogni viaggio è da esse caratterizzato, ma la sosta, ammonisce l’autrice, non deve essere momento preparatorio alla nuova partenza, bensì “pausa di riflessione”, perché è indispensabile fermarsi per capire dove siamo diretti affinché il nostro viaggio, quindi la nostra vita, abbia un senso:
… metto a fuoco il cammino.
E riprendo cognizione
del mio destino. (da PAUSA).
In verità, quanti di noi si fermano, creano volontariamente pause di riflessione per chiedersi se la nostra vita ha un senso e quale esso sia?
E il treno corre, corre e attraversa città, paesi, campagne che si uniformano in un grigiore desolante, dove è completamente assente qualsiasi presenza di vita, metaforicamente rappresentata dall’assenza del colore. E questa corsa folle in un mondo divenuto tutto uguale, ci ipnotizza e scuri pensieri emergono dal nostro inconscio:
…Ipnotizzati, scuri pensieri
sfogano rabbie inaudite
scatenate da appetiti.
Conflitti che non rallentano
al rallentare della corsa.(da GRIGI).
E, pur andando di corsa, siamo sempre in ritardo, nel rincorrere obiettivi che restano vaghi, ché abbiamo perso di vista i veri valori: l’amore, l’amicizia, l’accoglienza…
Richiama il ritardo perenne
d’una vita scomposta
che rincorre scadenze,
obiettivi dai contorni vaghi. (da ANNUNCIO RITARDO). Quanti significati racchiude in sé l’aggettivo “scomposta” riferito alla vita che conduciamo! Ci dice di un’esistenza priva di equilibrio, moderazione, correttezza, decoro…
La poetessa con i suoi versi ci mostra come questo modo di vivere, alienato e alienante, ci abbia incattivito, ci abbia privato di ogni briciola di benevola umanità. Preda dell’incomunicabilità e dell’incapacità di guardarci attorno, non riusciamo più a provare empatia, a vedere la sofferenza altrui, non siamo in grado di accogliere il bisognoso, il migrante disperato, il ragazzo afgano con profonda tristezza / nel volto smarrito (da AFGHANISTAN) e, di conseguenza, non siamo capaci di accogliere Cristo neonato, ché il rancore erge muri e divide. / Vuote sono ancora le culle nei presepi, nonostante siano tornate a suonare le campanelle (da SONO TORNATE A SUONARE LE CAMPANELLE).
Interamente concentrati su noi stessi, siamo ormai solo capaci di pretendere:
Tra diritti reali,
soggettivi, acquisiti…
…esiste ormai qualcuno
che reclami, o proclami,
i suoi doveri? (da PENSIERI IN CORSA).
E l’autrice vorrebbe gridare, urlare la sua ribellione (fiamme lancinanti / divorano dentro) contro un modus vivendi anomalo divenuto ormai regola:
Non c’è fine
alla vanità feroce
all’appetito che chiede,
all’ignavia che crea danno.
ma muto di stupore / l’urlo si dibatte (da CONTROVERSE VERITA’).
Avverte, Lucia Sallustio, la sua incapacità di sovvertire uno status quo che percepisce aberrante ma non trova in sé la forza sufficiente neanche per parlare!
E ovunque aleggia la foschia che impietosa divora il cielo del mattino apertosi in un angolo negletto (da FOSCHIA).
E’ un susseguirsi di alti e bassi, questo nostro viaggio, di effimeri sprazzi di luce e persistenti zone d’ombra (e non sono forse queste le caratteristiche della vita di ciascuno di noi?), zone d’ombra nelle quali tuttavia la “speranza” resiste, la speranza che riacquisti valore tutto quello che è ora denigrato, deriso:
Si scalderà infine il cuore
al colore dei frutti boicottati
nati dai grani persistenti.
Sbocceranno saperi ora bocciati. (da GERMOGLI).
Corriamo, corriamo, ci ammonisce la poetessa, sul nostro folle treno, senza voltarci indietro, e tutto diventa una amalgama grigia:
Rimpiango, delle immagini passate
la certezza del momento.
…………………………………
Suprema la bellezza
di attimi a malapena apprezzati,
a scudo protegge dagli assalti,
sbiadisce paure e defezioni. (da IMMAGINI).
Dimentichiamo così attimi vissuti, preziosi, che costituiscono il nostro passato, le fondamenta della nostra vita e che ci riparano dalle avversità future, dandoci la forza per affrontarle.
Quanto di grande e prezioso perdiamo in questo frenetico correre di formiche impazzite, sembra ricordarci amareggiata Lucia Sallustio! Ma siamo ormai vittime di una routine spietata, immutata e immutabile, che logora povere vite senza più annunci, logora l’animo dell’autrice incapace ormai anche di sognare, logora l’alba e la sera, ormai sempre uguali e, persino, il silenzio non è più tale, ma è coperta di feltro / stracciata dal passo del rientro. (da E…).
Tutto sembra essere ormai perduto, l’uomo pare divenuto un “pezzo” di una catena di montaggio, eppure durante il viaggio, c’è sempre qualche attesa, nella quale si fa strada, timida ma decisa, la speranza di qualcosa di meglio.
E attesa e speranza formano un binomio inscindibile in questa pregevole raccolta di versi, rappresentando l’altro grande tema dalla poetessa mirabilmente affrontato in liriche incisive ed arrivanti. E in questo andirivieni generale, io sono ancora qua (da SONO ANCORA QUA), ci rassicura l’autrice, con la voglia di abbattere le barriere e di ritrovare il mio prossimo, compagno di viaggio, perché è sufficiente avere discusso con passione / di arte, scrittura, enogastronomia che la carrozza prenda ritmo nuovo verso la meta. (da ANDATA E RITORNO). Solo se capiremo il valore della condivisione, individueremo la giusta meta e la raggiungeremo con passo rinnovato!
Ma quando imperiosa la stanchezza prende il sopravvento (chi di noi non l’ha mai provato?) attesa può significare anche aspettare la fine del viaggio, la fine della TRANSUMANZA (questa carcassa stanca di andare), può voler dire aspettare di giungere all’ultima meta: Resto, di speranza attesa / che finiscano alfine / i giorni del viaggio. (da DI SPERANZA ATTESA).
Ma la poetessa è forte e riesce sempre a trasmetterci un messaggio di speranza e, pur essendo preda della tormenta che è in lei, riesce a fuggire dalla polvere che soffoca e annebbia e si ferma
sotto l’ulivo contorto
dal secolare trambusto, sotto l’azzurro
squarciato da raggi d’oro e d’argento…
………………………………………………………
Mi aspettava
come quelli arrivati prima di me.
S’è fatto carta e intinto un ramo in linfa
mi ha detto: “Scrivi ora e non fermarti”.
E allora è svanita la tormenta
si è riversata sulle pagine la piena
l’occhio s’è colmato d’azzurro
e, voltata la pagina, è tornata la pace. (da PASSA LA TORMENTA).
E infine, quando ogni speranza sembra essere svanita, il tormento, la ribellione che erano in lei, l’incapacità di urlare il suo no, diventano Canto, Poesia. E cos’è dunque la poesia per Lucia Sallustio? Altro grande tema di questa composita raccolta. La poesia è terapia dell’anima, di chi la scrive e di chi la legge, è catarsi, è irrefrenabile bisogno:

E tornò irrefrenabile,
di colpo la parola,e si fece immagine,
pensiero e poi verso.
Esprimeva voglia
del perduto amore
di raccontare, di ricordare.
E fu incanto di un’ora sola
e ticchettare e recitare.
Con il silenzio che si riempiva
di note arcane in armonia. (da E FU POESIA).
E la poesia diventa riconciliazione, con se stessi, con il prossimo, con l’universo tutto, per mezzo di misteriose note in armonia. Ed è voce universale ché in INTERPRETAZIONI la poetessa afferma:
Ho colto poesia
a gerle intere
riempite di versi stracciati.
…………………………………….
Ho tenuto la gerla per me,
dei versi riserva di viaggio.
Sono qui, fedeli compagni,
svuotati di senso attendono
nuove interpretazioni.
E quella gerla di versi che la poetessa conserva può essere riserva di viaggio per ognuno di noi, chè ogni verso svuotato di senso si riempirà delle nostre sensazioni, delle nostre emozioni scaturite dal nostro personale vissuto.
Il poetare di Lucia Sallustio è sobrio, privo di ridondanze, asciutto, semplice ma non semplicistico, intenso. Nelle sue liriche, piuttosto brevi e, comunque mai esageratamente lunghe, la poetessa fa un uso sapiente delle metafore e delle allegorie, in grado di evocare profonde emozioni, suggestioni e riflessioni. L’autrice sceglie con cura le parole che, spesso, racchiudono molteplici significati. Si pensi al termine armonia, che pur se riferito alla poesia, richiama subito alla mente l’attributo “scomposta”, relativo ad una condizione di vita che “disumanizza” l’essere umano, con cui il termine “armonia” è in netta contrapposizione.
La raccolta poetica di Lucia Sallustio si legge come un romanzo, il romanzo che narra in versi la vita dell’uomo contemporaneo afflitto da mali subdoli dai quali non riesce a guarire perché spesso non ne è consapevole. Un romanzo che si legge con sofferenza eppure con la certezza di trovare spazio per la speranza e per l’amore, intenso, gioioso, vissuto lontano dal clamore in una felicità rinnovata (vedi BAGLIORI DI UN AMORE).

Ester Cecere
Taranto, 25 Gennaio 2015