Elena
Malta: Tratti in chiaroscuro
Edizioni
ETS. Pisa. 2014
Silloge prima classificata con pubblicazione al Premio il Portone 2014
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PREFAZIONE
di Nazario Pardini
Camminiamo
su vie buie la cui uscita ci è ignota
Come ogni donna, strega e un
po’ gitana,
viaggio su meridiani paralleli
rammendo giorni a fil di
ragnatele,
schivo dirupi come fa un
capriolo,
sollevo i sogni in volo fino
al cielo (Ritratto)
Poesia chiara, densa,
stuzzicante, i cui versi, con euritmica armonia, concretizzano impatti
emotivo-intellettivi di proficua vis creativa. Iniziare da questa citazione testuale
significa, in gran parte, andare a fondo della poetica di Elena Malta. Dacché
questi incipitari tatuaggi di generosa espansione umana disvelanti luci ed
ombre, ci introducono, con impiego di costrutti figurativi, in quello che è il
prosieguo dei risvolti esistenziali della silloge. Un momento di prodromica
valenza ad uno spartito che ci dice di vita, di sogno, di amore, speranza,
illusione, delusione. Insomma di tutti quei sentimenti che alimentano il nostro
vivere e che si fanno anche motivo di inquietudine e malum vitae per un senso di precarietà che attanaglia il
nostro essere. Si vive coscienti dei dirupi che ci attorniano, delle
perplessità che si inanellano sul cammino della nostra vicenda umana: quelle spirituali,
quelle inquietanti per le aporie di un
mondo carente di umanità, di un mondo omologato verso spersonalizzazioni di una
società liquida, o quelle dei tanti perché che non trovano risposte ai quesiti
dell’essere e dell’esistere. E si ricorre al sogno, all’immaginifico, come
alcove edeniche delle nostre insoluzioni; al memoriale, depositario di antiche
primavere, di realtà macerate in un animo impaziente di riportarle alla luce. E
il tutto con un sapiente accostamento a moduli ritmici, e prosodici, a
contenuti di urgente resa poetica. Solo conoscendo le regole si è in grado di
destrutturale per creare cospirazioni dall’intensità di un melologo. E qui la
perfezione dell’endecasillabo, usato in tutte le sue varianti, distribuito in
strofe rimate in ABBA, in ABAB e impreziosito da assonanze, allitterazioni,
fonosimbolismi, metaforicità o rime libere, fa di questo verseggiare una
romanza dai toni lirici:
Se fossimo rimasti a decifrare
le rune misteriose di un
amore,
scaldandoci le mani a quel
tepore
nessuno avrebbe osato derubare
le liquide speranze delle
aurore… (Avremmo fatto meglio),
una
romanza sapida di abbrivi erotico-emotivi che parla del rapporto della vicenda
umana col tempo. Che riporta memorie, ripensamenti di cose non fatte o non
dette, di amori lasciati all’abbandono, o di sottrazioni “di liquide speranze
delle aurore”.
Il tempo fugge, ed il presente
è irraggiungibile, non si può vedere in faccia per parlargli e chiedergli
risposte alle nostre insoluzioni, al perché delle nostre melanconie:
La sera si avviluppa sui lampioni
schermando il giallo alone che
ne piove.
E camminiamo al buio queste
vie
e calpestiamo sassi ad ogni
passo
ed inciampiamo sempre, ad ogni
svolta.
E mai che ci si accenda dentro
il cuore
di tendere una mano solidale… (
Pochi passi).
Quanta
vicinanza alle ristrettezze dell’esser-ci in questo passo: camminiamo vie buie la cui uscita ci è ignota; vie piene di
inciampi e di curve che rendono incerto e problematico il nostro andare: ognuno
di noi si dovrebbe rendere conto che la nostra permanenza non è altro che un
tempo prestato dalla morte, per cui
dovrebbe tendere una mano a un gesto solidale. E la Nostra si rifugia in quietezze di immagini
di amore oblativo; di figure cariche di lontananze affettive, rimaste in petto,
solide, a gridare amore per padri, per aquiloni colorati, per abbracci e
strinte di mani su strade felici:
E, mentre noi così si
camminava,
la voglia tua sentivo di
narrarmi
degli aquiloni e come li
pensavi
e li tendevi in aria colorati,
a un filo impercettibile
ancorati.
(…)
Anche se il tempo, ormai da tempo, padre,
decise di slegare a noi le
dita” (Al passo tuo).
Un
memoriale caldo, fortemente sentito, trascinante e abile nel dribblare il
sentimentalismo con controllata effusività; un repêchage di giorni di sole e di
verdi primavere in cui l’anima volava sicura appigliata a pilastri d’amore. È
per questo che la Nostra vuole raccogliere con premura i suoi pensieri per
paura di smarrirli dentro un vicolo randagio; per paura che la voracità
dell’oblio ne faccia incetta; è così che vuole sprofondare in una sciarpa calda
e protettiva “un ornamento al collo, una collana/ di fragili conchiglie della
riva;”. D’altronde la vita è fragile come una conchiglia sbatacchiata
dalle onde del mare; la vita è soggetta all’umore dei giorni, alle
rocambolesche vicissitudini degli eventi; e l’anima non fa a tempo a correre
dietro alle ingiustizie della quotidianità, ne resta afflitta, scossa, delusa;
quella dell’Autrice ambirebbe ad un mondo migliore; ad un mondo in cui il
sentimento di pace e di fratellanza potesse prendere il sopravvento sulle
miserie della società. È questo che appare dal dipanarsi delle pièces della
plaquette: non solo l’inquietudine esistenziale per l’impossibilità di scoprire
l’anello mancante, ed entrare così nei misteri del tutto; ma anche quei
problemi sociali che emergono con virulenza agli occhi di ognuno, colpendo i
più deboli. Ma tanto spazio occupa il sentimento dei sentimenti, quello che si
fa motore dei subbugli interiori: l’amore. Eros e thanatos. L’amore vissuto in
tutta la sua generosa portata, più bella e meno bella. In tutto il suo climax.
Dal desiderio di vincoli appassionati alla melanconica impossibilità
d’intendimenti:
Albatros |
Ci sono pochi passi a
separarci,
appena un paio in tutto, li ho
contati,
ma io non ho più voglia di
chiamarti
e tu neanche quella di
fermarti… (Pochi passi).
Forse,
scrive la Poetessa:
avremmo fatto meglio a
sparpagliare
il gioco delle carte dei
destini,
restando ancora un poco sotto
i pini
i sogni di un amore a
interpretare… (Avremmo fatto meglio).
Orfeo e Euridice |
Al vento che dà i brividi alla
notte,
fra tegole sconnesse sopra i
tetti,
ha fatto la mia anima
un’alcova
e si concede al vezzo della
luna
che prende a illuminarci nei
recessi.
(…)
Nessuna grazia vince quel
pudore
a far vedere chiaro il mio
dolore… (Sui tetti).
E
la natura, con tutta la sua potenza
cromatica, si fa incontro all’Autrice. Diventa attrice prima col suo potere
identificativo, esemplificativo, paradigmatico, col suo potere concretizzante.
Fino ad esplodere in un canto in cui la
vigna esuberante di profumi, i pampini, i moscerini, i raccolti, i
mosti, i bei verdi, il sole d’ambra, le foglie smeraldo si miscelano in un
bucolico afflato di vita rurale dal sapore di ovidiana memoria. Un canto in cui
Elena Malta dà tutta se stessa, tutto il suo sentire, disseminandolo in una Danza d’autunno:
… Scorre più lenta nelle nervature
la vita di smeraldo delle
foglie.
Lasciamoci inebriare dai
colori,
usciamo a passeggiare nelle vigne
.
E mi piace chiudere questo mio
scritto con smarrimenti di malinconie in naturismi storditi dallo spirito dei
mosti; in naturismi ove “una vigna esuberante
di profumi/ veste le trasparenze già mature/ che i pampini faticano a celare”
Nazario
Pardini,
22/11/2014
Splendido il tributo del Professor Nazario alla Silloge della carissima Elena Malta, che avremo la gioia di ricevere a Roma il 24 gennaio alla Libreria Arion Monti. E' una carissima Amica, una Donna di rara grazia e umiltà e, come tutti i grandi, vola sulle onde dei versi, trascinandoci in spirali di incredibili passioni. L'endecasillabo è il suo verso. L'espressione limpida del suo sentire. Elena pensa in endecasillabi e il fiorire dei suoi versi ne é la prova tangibile. Si respira il soffio dell'autentica vocazione artistica.Un'altra voce, la sua, che merita di essere annoverata tra i talenti puri di questo secolo. Sono onorata di esserle amicata e orgogliosa di leggere i suoi versi di raso commentati dall'immenso Nazario! Vi stringo entrambi!
RispondiEliminaMaria Rizzi