Sandro Angelucci collaboratore di Lèucade |
Nota
su una
recente raccolta poetica
di
Sandro Angelucci
Sandro Angelucci è poeta abitualmente attento
alla dimensione verticale del vivere;
ed è pertanto pronto a cogliere e idealmente valorizzare nella dinamica del
reale le spinte verso l’alto, le sollecitazioni ascendenti sulla base di una
salda convinzione circa l’insufficienza radicale di una nozione immanentistica,
esclusivamente orizzontale e
autogiustificata dell’ordine delle cose.
E la propensione spiccata ad “alzare lo
sguardo”, a “levarsi in volo” caratterizza altresì i versi del suo ultimo libro
Si aggiungono voci (LietoColle,
Faloppio (Co) 2014), costituendone un essenziale nucleo ideativo e compositivo,
uno spunto semanticamente polarizzante:
In volo./Tutti insieme./Da terra verso i
rami./E l’albero/torna con le foglie…(Da
terra verso i rami,vv.1-5);
Sono i nidi delle rondini./Sono le traiettorie/
senza nessuna logica apparente/ la
speranza./E non la linea retta/che si perde/nella sua stessa, vuota
inesistenza./ Non è la strada comoda e sicura/ che percorre/ chi non conosce
cosa voglia dire/ picchiare, risalire/ e poi planare./ E poi picchiare ancora,/
ancora risalire, fino a sera/finché c’è fede/ e amore e forza nelle ali (Saranno i voli,vv.1-16);
Era scritto/ fosse per noi un esempio/il
guizzo/ lo scatto verso l’alto delle rocce/quello di queste guglie/ di queste
cattedrali del silenzio (Dolomiti,vv.7-12).
Staccarsi da terra, volare è condizione
primaria di libertà (“Ma dove voli,
dove ti rifugi/ quante ali possiedi/ quanto sei grande? (…) Perché nella mia
carne/ con il tuo cibo/ penetri il volo, la libertà,/ l’immensità di un merlo”,
Merlo infinito, vv.9-11 e 21-24),
manifestazione di autenticità, empito vitalistico (“Non farti mai mancare/ la
visione/ di un cielo stellato”, Il
consiglio, vv. 2-4), visione luminosa:
Mi basta vederti affacciare/ tra una nuvola e
l’altra (…) Sei lo sguardo di un gatto/ che mi viene vicino/ e all’ultimo
istante/ spaventato mi fissa./ Solo quando lo ignoro/ si volta di scatto e
fugge lontano/ a portare la luce/ dove l’ombra è più fitta/ la siepe più folta
(Fuoco, vv.1-2 e 9-17)
Rispetto alla produzione lirica precedente
nella nuova raccolta si afferma nondimeno un punto di vista più complesso e più
completo che, senza contraddire il motivo dell’innalzamento, dell’elevazione –
e la ricca gamma dei significati correlativi -, non trascura di focalizzarsi
sul radicamento terreno dell’avventura umana, sul vasto e affascinante universo
naturale nel cui àmbito – determinato, circoscritto, “basso” – è iniziato e
ancora oggi prosegue il cammino arduo, contrastato e ambivalente della nostra
specie, la quale fin dall’inizio ha comunque inteso rivendicare la propria
incomparabile specificità rispetto a tutti gli altri viventi.
Se gli uomini inclinano potentemente al
trascendimento della naturalità, le loro radici biologico-istintive li
condizionano di necessità, sovente li costringono, generando una dialettica
permanente fra demone e angelo, fra basso e alto, fra tenebra e luce, fra morte e vita, situazioni che spesso agli occhi
del poeta appaiono reciprocamente presupporsi in un rapporto continuo di
stretta, profonda compenetrazione:
Un volo, una danza di farfalle/ sui fiori del
cespuglio./ Come se a lievitare/ non fossero le ali/ ma quella leggerezza
straordinaria/ che gonfia le caverne/ che viene su dal fondo,/ dal canto
soffocato della Terra (Intorno a un cespuglio, vv.1-8)
Nell’armonia sovrana della natura, nel suo
equilibrio ciclico è la condizione della stabilità e dell’ordine vero.
L’uomo, creatura costantemente e
contraddittoriamente percorsa da slanci e cadute, bilicata fra l’accettazione
dei proprî limiti e la tentazione della dismisura alimentata dalla “superbia di
Icaro”, lungi da far violenza al contesto naturale, alterandone pericolosamente
la sana fisionomia (“Ha radici l’asfalto/ che non conoscono gelate:/ nere come
la pece/invadono la terra/ togliendole la pace e il respiro” (Ai bordi della strada, vv. 3-7), può
attingere da esso – come ben ha messo in risalto Nazario Pardini nella sua prefazione, al solito lucida e
persuasiva – serenità contemplativa e quiete etico-esistenziale, nella
sicurezza di una visione globale:
Dialogare/ ecco che vorrei, / dialogare come
fanno i fiori:/ un sussurro alla terra/ ed uno al Sole,/ un bacio alle radici/
e un altro al cielo (Un sussurro alla
terra ed uno al sole, vv.5-11)
E’ stato detto assai autorevolmente che Dio
dimora nell’intimo della coscienza umana, che ne avverte perciò la presenza
dentro di sé; ma la divinità sa farsi riconoscere pure nel quadro della natura,
negli spazî immensi come nei particolari minimi (“Eppure il filo sottile,/ che
ostinato non vuole interrompersi,/ e continua a cadere (… )quel piccolo rivo/ è
l’unico fiume del mondo/ che ancora ci resta”, La vecchia fontana, vv.9-11 e 15-17), sostanza basilare della vita,
fondamento della verità e della speranza:
Vivere seguendo le tue orme/ sembra precluso
all’uomo/ma cosa siamo noi/ se non infinitesimi riflessi/ della tua luce/ del
continuo tuo rinascere nel mondo?/ Aspettaci. Non allontanarti/ più di quanto
noi ci allontaniamo/ - avrei voglia d’implorarti-/poi ricordo:/ da lì, dal
centro, tu non ti sei mai mosso (Meteore,
vv. 6-16)
Floriano
Romboli
Questa bella nota di Floriano De Santi ha smosso in me un'importante riflessione. E' vero: Sandro, con la sua poderosa poesia, ci spinge verso la verticalità, ma poi scopriamo che tale verticalità viene colta soprattutto nell'orizzontalità della natura. O meglio nel mistero della natura, nelle sue profondità abissali e telluriche, nelle leggi provvidenziali e intelligenti del pianeta che ci ospita e che noi purtroppo oltraggiamo. Mi chiedo allora: si potrebbero sospettare moventi panteistici in questa visione del divino e del sacro? Mi rispondo che non è così, come lo stesso Romboli mi sembra voglia dirci, aiutandoci a fare pulizia. Quella di Angelucci è a mio parere una "religio" cosmica che non toglie nulla all'unitarietà del principio divino. Il quale non è accentratore, né può esserlo, perché è amorevolmente diffuso in ogni angolo dell'universo ed in ogni singola esperienza creaturale. Quanti passi di questa felice silloge ricordano le emozioni del canto francescano!
RispondiEliminaFranco Campegiani
Errata corrige: FLORIANO ROMBOLI. Chiedo venia. Le mie distrazioni non sono proverbiali. Sono patologiche.
RispondiEliminaFranco Campegiani