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martedì 31 marzo 2015

PREMIO LETTERARIO "LETTERA D'AMORE" GRATIS

IL BANDO DELLA QUINDICESIMA EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE LETTERA D’AMORE
L’Associazione Culturale AbruzziAMOci e le Edizioni Noubs bandiscono, con il patrocinio del MUSEO DELLA LETTERA D’AMORE e del Comune di Torrevecchia Teatina, la quindicesima edizione del Concorso Internazionale Lettera d’Amore, la cui cerimonia di premiazione si terrà a Torrevecchia Teatina (Chieti) l’8 di agosto 2015.
REGOLAMENTO

Art. 1. Si partecipa stilando in qualsiasi lingua (se straniera o in dialetto, si deve accludere la traduzione in lingua italiana) un testo in prosa, non in poesia, inedito, configurato come lettera d’amore, della lunghezza massima di 3 cartelle (1800 caratteri per cartella) in 3 copie ben leggibili aggiungendo le dichiarazioni e le notizie richieste all’art. 2.

Art. 2. Non è dovuta alcuna tassa di iscrizione o partecipazione. Ai testi bisogna accludere un foglio contenente le generalità del partecipante (nome, cognome, indirizzo, età, numero di telefono, curriculum, e-mail) unitamente alla dichiarazione di autenticità del testo e all’autorizzazione alla pubblicazione gratuita della lettera, e all’adesione a tutte le norme del concorso.
Art. 3. Il termine ultimo per l’invio dell’elaborato, da effettuarsi al seguente indirizzo: Concorso Lettera d’Amore c/o Associazione Culturale AbruzziAMOci, Via Ovidio n.25, 66100 Chieti, è fissato al 30 giugno 2015 (farà fede il timbro postale di partenza). La giuria, il cui verdetto è insindacabile, è composta da: Vito Moretti, Massimo Pamio, Massimo Pasqualone, Giuseppina Verdoliva.
Art. 4. Saranno assegnati i seguenti premi: Euro 500,00 al primo classificato, Euro 250,00 al secondo, Euro 200,00 al terzo; altri premi ai segnalati. I vincitori dovranno ritirare personalmente il premio nella cerimonia, altrimenti lo stesso non sarà assegnato. I testi potranno essere pubblicati dall’Organizzazione.
Art. 5. Solo i vincitori e i segnalati saranno avvisati tempestivamente. I risultati verranno resi pubblicamente noti tramite la stampa e il sito internet www.noubs.it. Gli elaborati non saranno restituiti. La partecipazione al premio comporta l’accettazione di tutte le norme del presente regolamento. È tutelata la legge sulla privacy. L’Organizzazione non risponde della mancata ricezione dei testi.
Art. 6. La lettera d’amore consiste in una composizione in prosa mirata all’espressione del sentimento d’amore rivolta a un destinatario qualsiasi (persona reale o immaginaria, animale, oggetto, luogo o paesaggio).
Il vincitore dovrà ritirare personalmente il premio nella cerimonia, altrimenti lo stesso non sarà assegnato.
Per info: 0871348890 oppure noubs@noubs.it


lunedì 30 marzo 2015

A SONIA GIOVANNETTI IL PREMIO LETTERARIO "IL MOLINELLO"

Premio Letterario Internazionale “Il Molinello”
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“Il Molinello 2015” - Sezione opere inedite

Poesia inedita

1° premio
"L’approdo"
Sonia GIOVANNETTI
Roma

2° premio


"Io non ero quello"
Giancarlo INTERLANDI
Acitrezza (Catania)

3° premio


"Luci d’angolo"
Celestino CASALINI
Piacenza

Diploma d'onore Il Molinello per la poesia inedita


"Il grido della rosa"
Umberto VICARETTI
Roma

Diploma d'onore Il Molinello per la poesia inedita


"Fumo"
Ivana Maria Angela SCARZELLA
Torino

Diploma d'onore Il Molinello per la poesia inedita


"Ombre di luna sull’inquieto mare"
Filippo INFERRERA
Ravenna

Diploma d'onore Il Molinello per la poesia inedita
"Nel sorgere lento della terra"
Lina LOLLI
Roma

Diploma d'onore Il Molinello per la poesia inedita


"Renditi vuota anima mia"
Linda VIVIANI
Firenze

Diploma d'onore Il Molinello per la poesia inedita


"Per E. M. di C."
Joseph BARNATO
Gaiole in Chianti (Siena)

Narrativa inedita

1° premio
"Marchio verde"
Angelo VACCARI
Nonantola (Modena)

2° premio


"Mio cugino Leopoldo"
Bruno LONGANESI
San Giuliano Milanese (Milano)

3° premio


"Vorrei rincontrarti fra cent’anni"
Rita MUSCARDIN
Savona

Diploma d'onore Il Molinello per la narrativa inedita


"Il ritorno"
Maggie VAN DER TOORN
Montefiore Conca (Rimini)

Diploma d'onore Il Molinello per la narrativa inedita


"Qualcosa di te"
Mariarosaria RUSSO
Schio (Vicenza)

Diploma d'onore Il Molinello per la narrativa inedita
"Marco Cellulon"
Vittorio CIMINO
Bastia Umbra (Perugia)

Diploma d'onore Il Molinello per la narrativa inedita


"Theresienstad"
Armando GIORGI
Genova

cDiploma d'onore Il Molinello per la narrativa inedita


"Il secolo scorso"
Simone PARADISI
Follonica (Grosseto)

Diploma d’onore Il Molinello per la fiaba


"Pallottolino delle nevi"
Marina Mari Iosè
Castellana Sicula (Palermo)


sabato 28 marzo 2015

C. FIORENTINI: "L'UOMO CHE ASCOLTAVA LE 500" DI P. TANZJ





Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade




L’uomo che ascoltava le 500, di Francesco Paolo Tanzj, edizioni Tracce

A conclusione del libro c’è una dichiarazione di scrittura, dove Tanzj dice che tipo di lettore vorrebbe, e questo mi serve da spunto per chiedere: noi, che tipo di lettore siamo? E chiederei anche che scrittori siamo? Per chi scriviamo?
Il lettore o lo scrittore libero, a questo dovremmo ambire. Ma forse non è possibile, i condizionamenti, i modelli, i riferimenti sono sempre in agguato per deviarci… forse né il lettore né lo scrittore sono veramente liberi, semmai scrivendo o leggendo si cerca una certa libertà, e la si trova, spesso, quando la mente vola dietro o tra le parole, ma non la si trova per esteso, per intero… c’è sempre qualche macchia che ci impedisce di essere pienamente e intimamente liberi… 
Nella dichiarazione di scrittura si fa la differenza tra lettore illuminato e lettore ignorante (la stessa differenza la farei con gli scrittori), vediamo un po’ di cosa si tratta. Il lettore illuminato, a seguito di una lettura, forse si esprimerebbe così:
Evinciamo un segnale di protoletteratura stigmatizzata nelle scene di un quotidiano divenire, che si articola in ogni sintagma tendente a stilema fino alla sua totale espansione che dall’incipit evolve nel corpo detautologizzato del racconto. Durante la lettura si articolano in un susseguirsi incessante i vari neo-simboli della genesi aurea, segnale evidente che da queste narrazioni meta-criptiche si dispiega la vitalità bronzea delle ultime correnti anti-avanguardiste che intendono spigolare la realtà quale ignara palingenesi del movimento di cui noi oggi siamo fortunati testimoni. Risulta quindi evidente, a dimostrazione della certaldità neoclassica insita nella compresente raccolta, una vena d’ironia asburgica evoluta, che avvampa nelle scoperte del secolo d’oro rendendo con esse omaggio alla centralità dell’uomo nella natura. Per quanto abbiamo detto, questo libro va annoverato tra i classici e i preclassici che una volta storicizzati determinano la veste culturale di questo nostro mondo, e questo nostro Paese.
Per chi non lo avesse capito, si tratta di una parodia.
Tanzj prende di petto il critico che si parla addosso, simbolo di un equilibrio che va attaccato con tutte le nostre forze, perché il giusto sta nel mezzo!
Ma veniamo al punto.
Il lettore tipo è un ibrido (lo stesso vale per lo scrittore). L’uomo medio è un ibrido. Non è accettabile invece colui che si cataloga bianco o nero, ergendosi a modello di qualcosa che evidenzia solo la propria ipocrisia.
Il libro contiene uno spassoso attacco a Nanni Moretti (o meglio, al modello che incarna), che diventa un chiaro segno di ribellione ai cliché della nostra vita. I cliché vanno abbattuti, occorre un uomo libero per un pensiero libero.
Quindi la chiave di lettura va ricercata in questa parola: libertà.
Ma veniamo alle mie impressioni di lettura.
I racconti qui raccolti non vanno letti cercando la trama o cercando il personaggio, che purtuttavia sono presenti, e non credo che la traccia lasciata dallo scrittore sia da cercarsi nel linguaggio o nella forma. C’è molto di più.
Certo, siamo davanti a storie scritte con grande maestria, il libro è meritevole da tutti i punti di vista e si colloca nella fascia alta della letteratura contemporanea, il punto, però, per me, è: che cosa vuole dirci Tanzj? Se c’è un messaggio. Che poi Tanzj abbia voluto metterci un messaggio o meno non è importante, alla fine qualcosa passa lo stesso. D’accordo, ma allora, come va letto questo libro? Io inizialmente ho cercato di leggere i racconti come dei racconti, poi ho cercato di leggerli come dei resoconti, poi ho cercato il lato giornalistico, eppure mi rimaneva sempre qualcosa da decifrare.
Ragionando per immagini ho pensato alla panna montata, che va messa sul gelato come il parmigiano sulla pastasciutta, ma a differenza di questo, la panna non si mescola e non si fonde, rimane sempre sopra. Per creare una miscela con il gelato devi metterli in bocca, ci devi mettere il tuo impegno. Già, la panna montata, immagine ora poco comprensibile, ma si chiarirà alla fine.
Il narratore non entra nel personaggio né nell’evento perché li vuole lasciare liberi di esprimersi, rimanendo lui, il narratore, un testimone di un pezzo di vita. Questo perché gli eventi e i personaggi li si vuole liberi, non addomesticati dalla penna, non inseriti nella drammaturgia letteraria sotto forma di qualcosa di diverso da quello che sono realmente. Ma attenzione, non si tratta di iperrealismo né di cronaca giornalistica.
I racconti, sebbene abbiano un forte stampo autobiografico, lasciano al lettore il lavoro di immersione nell’evento e nel personaggio. Tanzj rispetta questa libertà e la condivide.
Una citazione, più di ogni analisi del testo, permette di capire il lavoro di Tanzj: Il gagiò lavora, lavora sempre, sperando di diventare qualcosa e, sperando così, muore. Poi ha fatto tante leggi, troppe. La libertà è bella, vai dove vuoi.
È stato proprio grazie a questa citazione che sono entrato nella narrazione ed ho inquadrato il lavoro di Tanzj, così come la sua persona, in questa ottica: la libertà è bella, vai dove vuoi…
Tanzj è un uomo libro, e rispetta la libertà altrui.
Quindi questo libro è un po’ nomade, un po’ zingaro, ma soprattutto vive nel rispetto delle storie che racconta e, privandoci di ogni considerazione, Tanzj ci insegna il rispetto per la libertà degli eventi. Ci dice (senza dirlo) che la sua libertà è riposta in questi racconti e, così come la vive, ce la restituisce.
Quindi mi viene da chiedere: l’anima, è zingara?
La zingaritudine dell’anima traspare anche in tutti i racconti. Tanzj la propone sempre, anche quando sembra di no. Troviamo questo suo modo di vedere la realtà anche nel j’accuse a Nanni Moretti dove non è la persona che viene presa di petto, ma il modello che propone. Statico come tutti i modelli, il modello è prigione, qualsiasi modello identifica il velo ipocrita che copre buona parte della nostra società.
Tanzj ce l’ha con quel velo d’ipocrisia.  
L’anima è zingara, si contrappone ai modelli, per questo ci sfugge e, come dice l’autore: ogni creazione, ogni azione dell’uomo resterà per sempre una incompiuta.
Eppure proprio questa incompiutezza ci arricchisce, perché si continua, sempre, si cresce, sempre.
All’inizio della lettura mi chiedevo: l’uomo che ascoltava le 500, l’eremita, Milka… sono dei pazzi o sono dei geni? Sono normalissimi esseri umani o sono manifestazioni della più profonda delle passioni? Cercavo, come ogni lettore medio, la risposta in ciò che leggevo. Ma il libro non ci dà risposte, l’autore non giudica: è a noi che spetta farlo con il nostro metro; a noi spetta capire che il profondo rispetto che Tanzj manifesta per l’altro deve guidarci durante la lettura del libro. Non cerchiamo, quindi, passioni che appartengono solo a noi e che vorremmo proiettare nei personaggi e nelle storie che leggiamo, non cerchiamo emozioni private e nostre da mettere negli occhi di questo o dell’altro personaggio… astraiamoci, cerchiamo l’essenza delicata della vita e posiamoci come panna montata sul gelato, lasciando che il gelato sia quello che è, senza trasformarlo in altro, leggendo questo ottimo libro con la leggerezza e la libertà che Tanzj ci trasmette e ci fa vivere.


Claudio Fiorentini, marzo 2015 

PREMIO NAZIONALE DI POESIA "L'ARTE IN VERSI"

Vi ricordiamo la IV edizione del Premio Nazionale di Poesia "L'arte in versi" che quest'anno ha ottenuto i Patrocini Morali della Regione Marche, della Provincia di Ancona e dei Comuni di Ancona, Jesi e Senigallia.
Come ogni anno, l'iniziativa concorsuale sposa la causa umanitaria e quest'anno si è deciso di devolvere a concorso concluso parte dei ricavi derivanti dalla vendita della antologia del Premio alla Fondazione Salesi di Ancona che si occupa delle problematiche relative al bambino ospedalizzato.
Come ogni anno la data di scadenza è fissata al prossimo 15 maggio p.v.; si potrà inviare le proprie adesioni a mezzo mail aarteinversi@gmail.com o in cartaceo (come si preferisce).
Le sezioni del premio sono due: a) poesia in lingua italiana e b) poesia in dialetto (con relativa traduzione).
E' possibile partecipare con un massimo di 3 poesie per sezione pagando la relativa quota di 5€ per ogni poesia presentata.

Nell'allegato è presente il bando di concorso dove si potrà trovare tutte le indicazioni in merito.
Chiediamo scusa a coloro che hanno già ricevuto l'invito in passato o che hanno già inviato la propria partecipazione, ma utilizzando un sistema di mailing-list è possibile che qualche indirizzo riceva la stessa comunicazione più volte.

Per qualsiasi richiesta, resto a disposizione e ringrazio per l'attenzione.

Lorenzo Spurio

Presidente del Premio Naz.le di Poesia "L'arte in versi"






venerdì 27 marzo 2015

BANDO PREMIO LETTERARIO "CINQUETERRE"





Il Cenacolo Artistico Letterario
“Roberto Micheloni” Aulla

Col patrocinio del
Comune di  PORTO  VENERE
                 Assessorato alla Cultura

         In collaborazione con
Centro Aullese di Ricerche e Studi Lunigianesi
Associazione “Amici di San Caprasio”
Pro Loco “Aldo Ruffini” di Aulla
Associazione FIDAPA Lunigiana
organizza
PREMIO INTERNAZIONALE
DI POESIA E NARRATIVA
                    CINQUE TERRE GOLFO  DEI  POETI
“Sirio Guerrieri”
XXVIII Edizione -2015

“ …voce modulante
accordo d’arpa vagamente tra le cavalle
sui miei crinali aperti alle marine.”
                                                                            Sirio Guerrieri
assorto,
come del vento, che gonfia mongolfiere
di pini e, pronubo incantamenti”


Il Concorso è articolato in 5 sezioni:

Sezione A Poesia Singola:

Inviare massimo 2 liriche edite o inedite
in tre copie.

Sezione B Libro edito di poesia:

Sono ammessi i libri editi negli ultimi cinque anni. Si prega di inviare 2 copie dell’opera.

Sezione C Libro edito di narrativa

Inviare 2 copie dell’opera.

Sezione D Romanzo inedito

Si prega di inviare 2 copie dell’opera.

Sezione E Narrativa inedita

Racconto o saggio inedito non superiore a quattro cartelle, si prega di inviare 2 copie.

Sezione Giovani.

Riservata a giovani da 10 a 21 anni

Inviare una sola lirica o un racconto in una copia firmata e recante i dati anagrafici, età, indirizzo, numero telefonico dell’autore o del genitore se minorenne.

Premio Speciale Trofeo “Porto Venere”

Per opera edita o inedita di narrativa per l’infanzia  Inviare 2 copie dell’opera.

Premio Speciale SIRIO GUERRIERI

Premio Speciale MASSIMILIANA
DE VECCHI

Almeno una delle copie delle opere inviate dovrà recare in maniera leggibile l’indirizzo, numero telefonico e la firma dell’autore.
Si prega inoltre di indicare a quale sezione si intende partecipare.

Il concorso avrà scadenza :
31 LUGLIO 2015

Il contributo richiesto per spese organizzative è fissato in euro 20,00  (Venti) per ogni sezione, da inviare tramite versamento sul c.c.p. 28008571 intestato a Cenacolo Artistico R. Micheloni Aulla  o in contanti nel plico.
È possibile partecipare a più sezioni, pagando le relative quote.
Il contributo per la partecipazione alla sezione Giovani (minori di 21 anni) è di 5,00€ .
Le opere dovranno essere inviate entro il termine indicato.  a:
Segreteria Cenacolo Artistico Letterario “Roberto Micheloni”
C.P. 61        54011     AULLA MS

La cerimonia di premiazione si svolgerà a Porto Venere (Provincia di La Spezia) presumibilmente nel mese di ottobre 2015.

PREMI
Primi Premi delle sezioni A, B, C  €.     300,00
Secondi Premi  delle sezioni A,B,C €. 200,00
Terzi Premi  delle sezioni A, B, C  €.  100,00
e diploma.
Primo Premio sez. D  è prevista la pubblicazione dell’opera presso Helicon Edizioni   di Arezzo.
L’autore avrà in omaggio 15 copie.
I restanti premi consisteranno in  targhe, quadri d’autore, testi in terracotta decorati a mano, pergamene.

Per la sezione Giovani: medaglie e diplomi

La composizione della giuria, il cui giudizio è inappellabile, sarà resa nota a graduatoria stilata.

Per informazioni telefonare ai seg.  numeri
329 2157181           -          Nello Maccani
328 3145215          -          Anna Magnavacca
3287136648           -          Marzia Zini
e-mail: cenacolo.micheloni@libero.it

Il Presidente del Cenacolo
Nello Maccani


giovedì 26 marzo 2015

N. PARDINI: PREFAZIONE A "ELOGIO DELL'IMPERFEZIONE" DI R. VETTORELLO




Prefazione
a
Rodolfo Vettorello: Elogio dell’imperfezione. LuoghInteriori. Città di Castello. 2015. Pg. 90  

Un ossimorico gioco di vita e morte, di rumori e silenzi che rende vitale, vicino e oggettivo il messaggio tormentato dell’uomo


  …Solo il cuore
la sua tachicardia disordinata,
dà il giusto ritmo al vivere una vita
di un’unica certissima nozione:
la meraviglia dell’imperfezione (Elogio dell’imperfezione).

Mi piace esordire da questa citazione testuale tratta dalla poesia che si pone come momento incipitario con valore eponimo per evidenziare, fin da subito, quello che è il focus alimentatore della silloge di Vettorello. Una poetica che guarda più al sentimento che alla ragione. D’altronde è proprio l’interiorità con tutta la sua forza emotiva a fare da pilastro ad ogni manifestazione artistica, a fare da nido, per ospitare, nutrire e riscaldare ogni modulazione ritmica; per animare quella sonorità che avvince e convince come lo può un intermezzo della Cavalleria rusticana di Mascagni o della   Butterfly di Puccini. Sì, dico proprio di quella musicalità indispensabile a che la Poesia possa dirsi tale: un valore aggiunto allo scorrere dello spartito di questa plaquette. È la passione, quindi, con gli impulsi di sostanza e potenzialità creativa, fonica e cromatica a creare la substantia del canto. La ragione, semmai, tende a frenare questo disordinato movimento, questo incontrollato subbuglio, queste grandi vertigini esistenziali, queste impennate iperboliche, per  richiamarli all’ordine, al freddo equilibrio della razionalità, che è agli antipodi del nutrimento estetico. E qui tutto prende il via dalle cose minime, dai piccoli fatti, dalle grandi questioni, dalla coscienza della pochezza del fatto di esistere per azzardare sguardi oltre gli orizzonti, oltre il tempo, oltre le siepi del nostro umano vivere: un percorso da via crucis che alimenta una poesia forte, nerboruta, e di perspicua intensità umana:

… Siamo fantasmi, corpi inconsistenti,
monadi sperse della stessa storia,
siamo gli avanzi dello stesso pranzo
o solamente come bolle d’aria.
Siamo le frasi, chiuse in un fumetto,
di personaggi
                 da fotoromanzo (Fotoromanzo).

        Dacché è nelle vene dell’uomo, è sua  natura, cercare di superare i limiti della terrenità, delle ristrettezze dell’esistenza, della gabbia in cui è vincolato. E allungare la vista verso spazi che superino la nostra precarietà significa agguantare la coda dell’inarrivabile, dato che non ci è consentito di essere tutto, e che questa diatriba fra il tutto e il niente, fra il giorno e la notte, fra l’umano e il divino, fra l’assoluto e il relativo costituisce il tormento del nostro esser/ci, a cui il poeta cerca di ovviare confondendo il suo pathos in “… frenate allegrie d’abbandoni/ a una musica dolce d’orchestra/ sulle molli lagune. // Sto pensando/ alla triste allegria di Albinoni”.  Una dicotomica fusione pascaliana che si fa inquietudine della nostra vicenda, della vicenda di un essere coi piedi a terra e con lo sguardo rivolto all’oltre, allo svincolamento dalla materialità; afferma in un celebre passo Blaise Pascal:

<<Quando considero la breve durata della mia vita, inghiottita nell’eternità passata e futura, l’esiguo spazio che occupo, e che posso vedere, inabissato nell’infinita immensità di spazi che ignoro e che non mi conobbero, io sono atterrito, sono sorpreso di essere qui piuttosto che altrove; giacché non vi è motivo al perché qui anziché là, oggi anziché domani. Chi mi ha messo dove mi trovo? Per ordine e istruzione di chi mi sono stati assegnati questo posto e quest’epoca? L’eterno silenzio di questi spazi infiniti mi terrorizza>>. 
       
        Forse è proprio nella varietà dei policromi affreschi naturali che il vivere trova un’analogia col  patema vicissitudinale ed è proprio col ricorrere ai lampi di Pan che il poeta riesce a dare concretezza alle sue intime nostalgie. Una risposta al fatto di esistere:

… Voglio cercare il sole dove c’è
e voglio avere un’ombra che mi segua
per farmi compagnia,
sola certezza mia
che sono vivo, esisto e lascio un segno (Un’ombra che mi segua).

Un ricorso alla natura per individuare la soluzione ai quesiti esistenziali, soluzione tanto dolorosa quanto problematica, per affidare a luci ed ombre il linguaggio del  poièin. Ed è così che l’autunno, la notte, il nulla, il mare, la sorgente, il fiume, il sasso, la neve, le stelle, i monti, le voragini non sono altro che frammenti  di un’anima che cerca di rendersi concreta, visiva mettendo in gioco tutti i moti ed i perché dell’esistere che non trovano soluzioni: melanconia, solitudine, Eros e Thanatos, e voglia di volare, di uscire dalle grinfie dell’inquietudine umana, troppo umana:

Andare via da qui, come d’autunno
la nube spinta al filo d’orizzonte
da un alito  di vento mentre il giorno
apre le porte a un brivido di luna.
(…)
Vorrei partire come l’aeroplano
che taglia il cielo col suo volo sghembo.
(…)
Voglio andar via in un attimo e sparire
come la nube ch’è trascorsa adesso… (L’insignificanza).

Un’inquietudine che va a braccetto con il pensiero della morte:

La temo così tanto la mia morte
che a volte spero si sia già conclusa
la tragica avventura della vita
e tutto sia finito
e d’essere già morto
                 a mia insaputa (A mia insaputa).

Un timore che torna spesso in questi versi a fare da leitmotiv, e dare compattezza al tessuto poetico:

Non ci sarà nessuno che si accorga
se griderò che non vorrei morire.
Il nostro pianto è nulla e si disperde
dentro il frastuono delle cose vive:
la musica lontana di un jukebox
e i canti e i gridi dei bambini al sole.

Si muore soli e senza far rumore (Così è morire).

Un ossimorico gioco di vita e morte, di rumori e silenzi che rende vitale, vicino e oggettivo il messaggio tormentato dell’uomo. Questa necessità di sottrarsi alle pene col “finire adesso”:

                      … Se si perdesse
e se davvero tutto si perdesse,

vorrei finire ma finire adesso (Porterò con me).

L’eterna diatriba fra la fine ed il sempre. Forse volgendo la prua verso ignoti mari o verso onirici spazi c’è la possibilità di rendere meno gravosa l’esistenza, meno pesante la routine quotidiana, o una tristezza di periferia:

Una tristezza di periferia,
in questi casermoni disumani
al  limite di un mare di binari.
(…)
Sono le otto ed è già buio fuori,
domani all’alba il buio è come ieri.
Le stesse case a ridosso dei binari,
le stesse luci alle finestre, accese,
le stesse storie, identiche le attese;
domani sarà un giorno come ieri (A Rogoredo).

D’altronde il sogno fa parte della vita, ne è una componente essenziale e serve a sottrarci alle aporie della monotona quotidianità o al pensiero di noi stessi:

Andiamo via di qui.
                    S’è fatto tardi
ed io non voglio stare dove stanno
le donne che patiscono in silenzio.
(…)
Non ti trattiene il bene che c’è stato
né le promesse e il pianto che mi scioglie.
Neppure un figlio,
                    la magia d’amore,
il segno di un legame indissolubile,
ti obbliga a restar.
                Tu rinneghi
qualsiasi cosa ti trattenga a terra.
Sciogli ogni ormeggio e salpi ad ogni sera
da questo approdo verso ignoti mari (In tanti porti ed in nessuno).

… Non ho mai smesso credo di sognare
e sono ancora qui che spero, a tratti,
per un’ultima volta di volare (Il sogno di volare).

Un volo lontano dalle sottrazioni che però ha breve durata:

… Si piomba giù di colpo nella vita
e si rimbalza a lungo
come una palla o come un sasso piatto,
sull’acqua troppo ferma di uno stagno… (ibidem)

        D’altra parte cosa è la poesia se non che uno slancio dell’anima al di fuori del suo abitacolo verso il cielo, o verso un passato che ci appartiene o verso quella natura che tanto simboleggia la nostra storia; un volo che, una volta  intinto di colori e profumi esuberanti o autunnali, rincasa per rovesciare sul foglio corpi a rivestire segmenti in cui l’anima stessa si è frastagliata. E che cosa se non che vita, in tutta la sua polisemica significanza, in tutta la sua plurivocità di illusioni, delusioni, sottrazioni, sogni, utopie, dolori, che, tradotti in canto di tanta energia classico-moderna come quella del Nostro, embricano indissolubilmente l’ieri l’oggi e il domani in una simbiotica fusione che tende a sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo: “La vita è l’arte dell’incontro”, affermava un poeta brasiliano, Vinicius De Morales, “e vita e poesia sono la stessa cosa”. 
        Questa è la Poesia, assieme al patrimonio delle nostre memorie che preme con urgenza per tornare a vivere dopo una lunga decantazione. Che preme dopo che si è tradotto in immagine. Ma anche il memoriale si tinge di tristi colori. Di accentuazioni aggettivali che ne fanno una rievocazione melanconica, sfumata nel tempo. Un sentimento di spleen e di malum vitae che si insinua nel substrato del “poema” senza mai raggiungere, comunque, punte di marcato pessimismo e che, in effetti, si traduce in terriccio fertile per una buona resa di ermeneutica fattura:

Come era triste la città nell’alba
e come, dai lampioni ancora accesi,
spioveva sul bagnato delle strade
una sottile polvere di luna.
(…)
Presto si sveglia e presto si addormenta
questo ritaglio grigio di città.
(…)
E’ sempre triste la città puttana
ma nel chiarore pallido di luna
una canzone sale dai binari,… (Porta romana).

Tutto pareva svaporato, al tempo
e tu svanita, come alla memoria,
la pallida parola che fu desta
l’attimo prima di finire.
                       Fanno
come le foglie quando arriva il vento
le tende alla finestra della stanza… (Fotoromanzo).     

Chimere vuole dire un altro mondo
promesse disattese,
profondità insondate della mente,
memorie cromosomiche irrisolte
e pura suggestione d’altri altrove… (Les chimères).

Le sottolineature delle aggettivazioni sono mie a rimarcare scene di ricordi melanconici che portano la loro bruma a disfarsi nel tempo.
        E tutto questo, evadendo ex abundantia cordis con grande eleganza e proteiforme simbolismo, fa del verso un intimo abbraccio di vaghezze semantiche dove la metaforicità fonosimbolica e i ripetuti enjammbements riescono ad evitare l’endecasillaba naturale cadenza e l’insidia dei luoghi comuni, dribblando, anche, quel sentimentalismo, che Contini definiva “pulizia del desiderio”, in un linguismo che assume valenza di realismo lirico.    
        Poesia dunque densa, classicamente impostata, infoltita di motivazioni attuali, ma pur sempre esistenziali, in cui i versi, alternando misure brevi a più ampie aperture (quaternari, quinari, settenari, novenari, decasillabi, ipermetrici), si predispongono ad accentuare importanti significanti metrici in endecasillabi che si succedono come cascate di vera musicalità. Che, in corrispondenze e punti fermi a metà del verso, convalidano ancor di più per classici questi testi, esemplificando una ricerca continua d’innovazione verbale e assecondando gli intrecci etimo-fonici dove la parola si vincola e si svincola, si accorcia e si amplia, si arrotonda e si smussa per combaciare, il più possibile, con gli abbrivi emotivi. Pur sapendo l’autore che non ci sarà mai un topos sufficiente a tradurre del tutto le espansioni dell’anima, dacché la parola è un segno terreno, e l’anima è di più, è qualcosa che supera ogni intenzione mortale:

Logora il cuore
quest’incapacità della parola
a dire l’indicibile,
                a tentare,
solo a tentare almeno
di cogliere in un verso l’incantesimo
di ciò che accade, a volte, in un istante
e che sappiamo
nessuno al mondo potrà più rifare… (L’incapacità della parola).

        Ma quello che risulta, alfine, dalla lettura contaminante di questa silloge, è che il poeta, con tutto il suo travaglio  esistenziale, col suo desiderare presto la fine, non fa che dichiarare tutto il suo amore per la  vita. E penso che la sua insofferenza derivi proprio dal fatto che esista lo spettro di Thanatos, come atto conclusivo a cui non si può sottrarre, cosciente di perdere il bene più grande, il dono più prezioso che fortunatamente gli è toccato. Ed è così che vorrebbe ingannare la sorte, togliendole la possibilità di scegliere sul suo destino con una poesia a cui affidare tutto se stesso; un futuro foscolianamente duraturo. Magari volando o rimpiazzando la sua malinconia con un sogno che lo porti in un lontano ipotetico azzurro:

e sono ancora qui che spero a tratti,
per un’ultima volta di volare.
                   
Nazario Pardini