Patrizia Stefanelli |
Prefazione a Patrizia
Stefanelli: Rosanero
RUPE MUTEVOLE. Bedonia. 2015. Pg. 78
Un
tappeto di velluto su cui scorrono i sentimenti
Abitami
nelle
sere d’estate
e
poi d’inverno, quando neve ghiaccia
e
le ferite mordono.
Abitami
i giorni a venire,
quelli passati,
abitami il dolore,
che d’Albatro ha il volo e non sa…
restare.
Poesia
intensa, zeppa di amore, di vita, di slanci oltre il comune senso
dell’esistere. Un connubio di grande intensità emotiva che riesce a scalare le
vette dell’anima, con passi di velluto.
Mi
piace iniziare da questa citazione testuale per entrare da subito nel focus
della poetica di Patrizia Stefanelli. Una poesia del dubbio, del sospeso,
dell’indefinito, della reticenza, di tutto quello che esiste fra una parola e
l’altra; una poesia in cui il verbo ha il compito del sublime; quello di
soddisfare le esigenze di tanto sentire; un verbo, che, mai compiuto
definitivamente, lascia spazi al soggetto perché divenga egli stesso parte del
tutto. Barthes auspicava che la poesia moderna dovesse suggerire al lettore un
campo di risposte emotive e concettuali legate alla sensibilità del singolo. Al
lettore va lasciata una parola che contenga simultaneamente tutte le accezioni
(motivo ripreso da U. Eco); il simbolismo classico faceva per ogni figura un
referente ben preciso, il simbolismo moderno è simbolismo aperto proprio perché
vuole essere comunicazione dell’ambiguo. Il lettore va lasciato libero
protagonista nell’avviare i meccanismi della conoscenza. Il poeta moderno è
solo un ispiratore, nel senso che la
poesia da lui prodotta si ponga come istanza non direttamente conoscitiva, ma
stimolatrice. Il poeta oggi si colloca solo sulla soglia del fatto
interpretativo, senza indicare rigorosamente una direzione. La poesia moderna è
rivolta ad una pluralità di fruitori e, quindi, alla più estesa pluralità
possibile di intuizioni fruitive: questo pare il valore fruitivo della poesia.
E qui sta la modernità della
poesia della Stefanelli, la modernità del suo canto. Un canto che stimola,
introduce, che si fa prodromico input nell’avviare quegli slanci
emotivo-esistenziali che toccano l’empatia del singolo lettore:
“abitami il dolore,/ che d’Albatro ha il volo e non sa… /
restare”. Un canto che tiene tutta l’intima dualità di Patrizia: da un lato lo
stato d’animo configurato in un inverno che cova stagioni mai finite e che
tanto sa di terrenità, dall’altro l’impellente bisogno di volare, di andare
oltre le nostre ristrettezze, oltre la siepe che demarca la nostra fragilità:
un’inquietudine che deriva dal fatto di essere umani e che tanto sa di vita, di
sogno, d’immaginazione, di voglie nascoste, di slanci iperbolici, grandi come i
voli degli albatri, o come emozioni che dicano del mare e dei tramonti senza
fine:
Vorrei, perché
non le so scrivere,
emozioni che
mi dicano del mare e di tramonti senza nome,
in descrizione
d'onde che si frangono
cercando
scogli come appigli.
Vorrei, perché non so scriverla,
una poesia che nel buio sia immagine di stelle
e luna di universi quantici.
Poesia Nuova, che imbrigli gli attimi,
perché, così, d'amore, io non so scrivere.
Rosanero, il
titolo della silloge. Un titolo di vitale armonia, dacché la vita è proprio la
risultante di contrapposizioni che nel loro diacronico succedersi ne
determinano la substantia: luce, buio; amore, odio; male, bene; Caino, Abele; spiritualità,
materialità; Thanatos, Bios; ed è dalla fusione dell’eracliteo polemos degli
opposti che nasce l’euritmica musicalità di questo poema. L’urgente forza
creativa di Patrizia Stefanelli che tanto sa di tempo, di realismo naturistico,
di passione, di barbagli e folgorazioni, di pienezza ontologica, di tutto ciò
che coinvolge l’uomo in quanto tale. Un crogiolo di emozioni estemporanee o
decantate in interiore homine che sentono il bisogno di guardare il sole, di
respirare aria pulita, di cantare ex abundantia cordis quello stato di erotico
stupore che dal reale decolla verso arditi approdi. E il tutto in una
versificazione di polisemica energia fonosimbolica e metrico-semantica che
niente ha di pleonastico né tanto meno
di epigonismo, considerando gli accostamenti inconsueti e i picchi poetici di
queste composizioni che evidenziano, tra l’altro, la maestria della Nostra nel
giocare tra classico e moderno, tra verso libero e metricamente combinato, in
una molteplicità di espressioni di genere vario. Di complessa intensità
epigrammatica, dove il sentimento la fa da padrone in questo voyage di scosse
elettriche, di voli atti a sottrarre la bellezza ai rapaci artigli di Cronos:
Quante albe ad accarezzare i sogni appena
toccati
e le mani si poggiano piano a cercare le parole
che sono, che saranno, in un inchiostro
indelebile, colorato dai giorni.
Su una musica che va, leggo di te, e scusami se a volte piango.
Non sono
le parole, ma le virgole mancate, i controluce e i sussurri (Quando ti
leggo poeta),
o atti a dire di amicizie plasmate da plurali
richiami di affetti, da vincolanti affinità elettive:;
Questa sera il mio maestro
porta sassi nelle tasche.
Sono per me
per ogni giorno che ho vissuto.
Ho pensato lo facesse
per paura del mio volo
e m'ha seguita attento
sulle scalze rive
di un sogno d'acqua (Sassi di vita).
porta sassi nelle tasche.
Sono per me
per ogni giorno che ho vissuto.
Ho pensato lo facesse
per paura del mio volo
e m'ha seguita attento
sulle scalze rive
di un sogno d'acqua (Sassi di vita).
Sinestesie,
metonimie, invenzioni verbali, in versi di ampio respiro a raccogliere tanto
sperdimento umano e disumano. O a raggiungere vette di tale impatto memoriale,
e di tale effusione lirica da lasciare di stucco, per la loro serica
spontaneità:
Ti ho visto morire ed eri salvo
in me, che ho contato sai, i minuti
del
tuo patire,
padre.
Lontano, voci restano sospese
come
la pioggia al vento a primavera
che va leggera a migrare nel sole (… e tu sorridevi).
che va leggera a migrare nel sole (… e tu sorridevi).
Niente
è eccessivo, niente superfluo, ma tutto in perfetta sintonia con quelli che
sono i motivi ispiratori della Poetessa. Ogni ambito del reale sembra farsi
onirico, aleatorio. Sembra farsi tappeto di velluto su cui far scorrere i
sentimenti. “Il cuore ha
le sue ragioni, che la ragione non conosce: lo si osserva in mille cose. Io
sostengo che il cuore ama naturalmente l'Essere universale, e naturalmente se
medesimo, secondo che si volge verso di lui o verso di sé; e che s'indurisce
contro l'uno o contro l'altro per propria elezione. Voi avete respinto l'uno e
conservato l'altro: amate forse voi stessi per
ragione?" (Pascal, Pensieri - - 1967. TO. Einaudi). Questa
citazione per mettere ulteriormente in evidenza quanto il sentimento giochi
nelle diverse attività artistiche. E soprattutto nella poesia dove la parola
assume la valenza dei colori nella pittura.
Una parola, qui, ri-elaborata e puntualmente combinata in nèssi creativi che concretizzino un animo tutto vòlto all’azzurro; al superamento del termine usuale, del verbo consueto, per poter abbracciare tanta spiritualità di un mondo/altro, plenitudinis vitae:
Una parola, qui, ri-elaborata e puntualmente combinata in nèssi creativi che concretizzino un animo tutto vòlto all’azzurro; al superamento del termine usuale, del verbo consueto, per poter abbracciare tanta spiritualità di un mondo/altro, plenitudinis vitae:
E'
la vita che va, che stinge rose
e poesie, fa cartocci di sogni
rubati a stelle, posandoli piano
sui muri a secco, del nostro giardino (È la vita).
e poesie, fa cartocci di sogni
rubati a stelle, posandoli piano
sui muri a secco, del nostro giardino (È la vita).
Sì,
quella vita che va e fugit senza tener conto di affetti e promesse; “posando i
sogni rubati a stelle sui muri a secco del nostro giardino”. Ma pur sempre di
un giardino si tratta, fiorito di amore e di sensi, di attimi fulgenti, e sacre
memorie, di Bellezze di cui la Nostra è cosciente, sprizzando nella sua poesia
la positività, sebbene inquieta e tormentata, del suo canto:
Hai visto i fiordalisi? Guarda qui:
lapislazzuli, gemme innamorate
di noi, ancora, cresciuti tra i rovi!
Splendidi, come allora, quando tu
un pugno ne mettesti tra i capelli
i miei, tra le tue lunghe dita d'attimi
che penso e sento sulle labbra adesso
dove posi i tuoi occhi, che poi baci (È la vita).
lapislazzuli, gemme innamorate
di noi, ancora, cresciuti tra i rovi!
Splendidi, come allora, quando tu
un pugno ne mettesti tra i capelli
i miei, tra le tue lunghe dita d'attimi
che penso e sento sulle labbra adesso
dove posi i tuoi occhi, che poi baci (È la vita).
Una vita in cui l’erotismo a volte meditato
altre più intenso la fa da nerbo portante; un erotismo che avvolge e sconvolge
per la sua pluralità, per la sua totalità spirituale che raggiunge le soglie di
edenico amore oblativo in un mistero di suoni
che si sfumano verso colli:
D'una sirena solo resta il suono
confuso a lungo nel vociare stretto
della valle che sale verso i colli (È un mistero).
confuso a lungo nel vociare stretto
della valle che sale verso i colli (È un mistero).
Una
vera melodia di voci indefinite affidata ad una cascata di endecasillabi di
estrema urgenza narrativa. Un melologo che fa della natura una compagna fedele
in questo percorso che si nutre ora di sonetti classici, ora marotiques, ora di
versi liberi, ora di canti in metrica; sì, un naturismo simbolico che dà forza
e colore ad un pathos di frequentazione psicologica, di passioni “perse di
nuove e pour vecchie”:
E schiudo al gesto sacro
della mano
quel che congiunge la mente
al divino
mi coglie lieve parola invocata
come una piuma che vola
s’imprime
qui, sulle labbra che ripetono:
ama
perse di nuove e pur vecchie
passioni
sempre, dei giorni felici, di
vita (Il tempo del ciliegio).
Ma anche di fatti e tragedie, che,
disseminate su questa terra dimenticata da Dio, colpiscono la sensibilità della
Poetessa:
Oh
David! La tua stella sanguinaria è ignominia
e a sud di Damasco
la strage degli innocenti continua.
Poni, Signore, ti prego, sulla mia fronte un sigillo.
Non ho pensieri di fede.
Tu, che sei pane, porta pane
dona, l'acqua del Battesimo
a fiumi da bere
e, delle mille fosse, fa meraviglie!
Muoiono ed io, Signore,
e a sud di Damasco
la strage degli innocenti continua.
Poni, Signore, ti prego, sulla mia fronte un sigillo.
Non ho pensieri di fede.
Tu, che sei pane, porta pane
dona, l'acqua del Battesimo
a fiumi da bere
e, delle mille fosse, fa meraviglie!
Muoiono ed io, Signore,
non ho pensieri di fede (Laudate Dominum).
Insomma un “Poema” a tutto tondo,
complesso e polimorfico, i cui versi non sono altro che tatuaggi di un’anima
che sente l’urgente bisogno di rovesciarsi sul foglio. E lo fa in uno stato di
grazia, in un momento in cui ora tocca il cielo, ora la terra, ora colline
sfiorate da soli calanti, ed ora da mani profumate d’alba; in versi che
sappiano, nella loro spontaneità, abbracciare gli abbrivi impellenti del cuore:
Se volessi, potrei, scrivere in
metrica,
ma non voglio.
Versi un po’ stanchi mi inseguono.
Sono liberi.
Sono strascichi informi di canzoni
tutte le canzoni che ho cantato
riverse ora, qui, in quest’inchiostro
che mi dileggia inutilmente (È così che va).
ma non voglio.
Versi un po’ stanchi mi inseguono.
Sono liberi.
Sono strascichi informi di canzoni
tutte le canzoni che ho cantato
riverse ora, qui, in quest’inchiostro
che mi dileggia inutilmente (È così che va).
Perché la Nostra ama la Poesia, e
affida ad essa tutto il suo esistere; tutta
la sua sostanza vitale nella speranza che illumini un cammino, che porti
un messaggio, o soltanto, con spirito foscoliano, che tramandi il suo canto ad
un mondo nuovo; che tramandi tutta se stessa, in piena libertà, ad una storia in
cui il rosa e il nero si avvitino in un verso che obbedisca ai ritmi dell’anima;
ai richiami di Eros a che porti un’emozione a distorcere un pensiero a notte
fonda:
È, poesia,
denuncia
è ciò che è
il lascito d’un uomo ad altro uomo.
È emozione che a brivido
porta la mente e distorce un pensiero
a notte fonda.
Se tutto questo può fare, il perfetto
poetare da lima e da fatica
allora è poesia
ma
seppure estemporanea... ah!
che versi in versi e dia! (Ma... che sarà mai ... poesia?)
è ciò che è
il lascito d’un uomo ad altro uomo.
È emozione che a brivido
porta la mente e distorce un pensiero
a notte fonda.
Se tutto questo può fare, il perfetto
poetare da lima e da fatica
allora è poesia
ma
seppure estemporanea... ah!
che versi in versi e dia! (Ma... che sarà mai ... poesia?)
Nazario Pardini
E' sempre come se la leggessi per la prima volta, questa pregnante prefazione. Mi prende l'emozione perché è come guardarsi allo specchio all'improvviso e vedersi contemporaneamente con le occhiaie e con uno sguardo fresco. Grazie Prof. Pardini, Nazario,amico oltre ogni misura, di un sentire fatto "di affetti, da vincolanti affinità elettive" Patrizia Stefanelli
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