Luigi Gasparroni: Stagioni. Teramo. 2015. Pg. 32; Profilo di donna. Teramo. 2015. Pg. 50
Il fascino di un terreno che
tanto sa di attrazione vitale:
Il nostro risveglio
nella luce incerta del
mattino:
come una coltre lieve si
distende
tra i miei capelli il tuo
caldo respiro.
Nei chiari occhi appare
il tormento dei giorni
dell’attesa
e un’amara dolcezza è la
memoria
del tempo fuggitivo.
Sta
in questo gioco di ossimorico sapore il distendersi delle composizioni di Luigi Gasparroni: l’amore, la
tristezza; la gioia del mattino, il tormento dell’attesa; il ritorno di
primavere come alcova di piacere, come “tempo fuggitivo”.
Ho
ricevuto stamani martedì 7 aprile due sue sillogi: versi che, con eufonica
sonorità, si fanno corpo incisivo e significante degli abbrivi emotivi. E
quello che colpisce da subito è il prevalere di un tempo all’imperfetto che concretizza memorie sedimentate di urgente liricità; rievocazioni
che, presenti nell’uno e nell’altro testo, alimentano un sentimento di
melanconica nostalgia utile alla resa del canto; lo stesso sapore odeporico; la
stessa voglia di ri-vivere tempi e paesaggi che hanno lasciato segni indelebili,
e dove rattenute metriche in funzione di cascate endecasillabe dànno vigore al
focus centrale. Ed è così che quel sorriso colmo d’allegrezza splende con dolce
vigoria sul resto delle immagini:
(…)
In quel tempo dell’anno,
attendevo con cuore logoro
di desideri e paure
il tuo sorriso colmo
d’allegrezza (Vestita di silenzio).
Stagioni e Profilo di donna i titoli. Ma c’è anche
il presente, reale e concreto, a confessare, con tutta la sua forza
rappresentativa, i quesiti del vivere:
l’amore,
(…)
Verranno anni
ma dai tuoi occhi
non sparirà quel lago
di tremolii
che solo io conosco (Verranno);
le
tante primavere, che, ora vicine ora lontane, dànno
consistenza a un simbolismo di grande efficacia visiva, e intimistica:
(…)
Noi andiamo, un attimo felici,
su verdi sentieri,
carezzando siepi di
biancospino.
Nel tuo sorriso la primavera (Primavera);
le
brevi estati che si disciolgono in meditazioni sul tempus fugit:
(…)
Nel suono di conchiglie
la nostra breve estate s’è
disciolta (Breve estate);
il
fascino di un terreno che tanto sa di attrazione vitale:
(…)
Non ditemi che tutto è
perduto.
Sereno voglio ancora
assaporare
questa goccia di miele che è
la vita (Voglio ancora credere);
il
rapporto problematico coi tanti perché dell’essere, del divino; la stretta di
mano di un amico, o il sorriso tenero della moglie:
(…)
Voglio ancora credere
alle parole di mio figlio
che mi parla di Dio
alla stretta di mano
dell’amico
al tuo sorriso tenero di
moglie
al miracolo della primavera (ibidem).
Insomma
una pluralità di affetti e di giochi interiori che rendono polisemica la
vicenda umana e il suo svanire. D’altronde c’è in questi versi il senso
profondo della caducità dell’esser/ci, del passaggio inderogabile del presente,
del fuggire impietoso della giovinezza. Ma c’è tanto pathos a dare linfa
lessico-fonica, ed esistenziale; a dare corpo a questi versi; c’è ben presente
un forte afflato, un forte attaccamento a questa irripetibile esperienza che è
la vita; ed è ad essa che il Poeta affida il suo inno di gioia e di speranza:
Già l’estate ha bruciato col
suo fuoco
l’erba dei fossi e il verde
dei canneti.
In pace ho bevuto
tutta la pace di questo
mattino (Estate);
un
inno che prende vigore da una natura policroma; dalla sua metamorfica
metaforicità; dalla voce pulita e totale di un uomo che ha navigato e continua
a navigare in un mare a volte sereno altre burrascoso; ma un mare il cui porto
è illuminato da un faro che non lascia mai all’oscuro quelli che sono i
principi saldi dell’esistere:
Una follia di sensi
in un mattino tenero d’azzurro
è l’impetuoso riso di fanciulla
che scopre il primo mandorlo
fiorito (Mattino).
Nazario
Pardini
Per quel poco di poesia che ho letto in questa pagina ne sono stato positivamente attratto. La trovo lineare, semplice ed immediatamente comprensibile pur preservando la musicalità verbale e la profondità del messaggio. Istintivamente sento complimentarmi con l'autore a me sconosciuto. Della bravura critica ( e poetica ) del Prof. N. Pardini non occorrono parole; oramai è più che consolidata e da tutti sperimentata. Pasqualino Cinnirella
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