Sandro Angelucci collaboratore di Lèucade |
Sonia Giovannetti collaboratrice di Lèucade |
DI SONIA GIOVANNETTI
È un’onda del mare la parola di Sonia
Giovannetti (e so, ad essa comparandola, di riferirmi al tópos a lei più caro
ed alla sua poesia).
Ritengo, tuttavia, che il moto ondoso al
quale, qui, mi richiamo necessiti di un’interpretazione che – come tale – non
può che essere soggettiva. Il mio punto di vista non si discosta dall’idea
prevalente che ognuno di noi conserva nel proprio immaginario: il ripetersi, la
ciclicità – vorrei dire rituale – di continue partenze e continui ritorni. Ciò
nonostante il pensiero – e vivaddio,
aggiungo, per la salvaguardia della
nostra unicità – il pensiero, dicevo, ha preso la sua strada, spinto dal
“grande vento che viene dal mare”, dal soffio vitale che annuncia sempre
l’arrivo di nuove stagioni.
Tenterò di farvene partecipi prendendo in
prestito l’incipit della lirica eponima: “Vedi come il tempo ci muta / e come
sprofonda per esso l’illusione / d’aver per complice l’eternità.” e,
apparentemente contrapposto, l’esergo che Sonia ha voluto in testa alla
raccolta: “Ogni poesia è un viaggio nel tempo, anche se un poeta non parte mai
veramente. Egli, in realtà, rimane sempre presso di sé.”.
Perché queste e non altre citazioni per
parlare di un’opera equamente animata dalla levità quanto dall’approfondimento
ontologico, dall’esigenza di dire il bello quanto il vero? “. . . Un percorso
di versi – sostiene Pardini – fuori da ogni epigonismo, da ogni armamentario
retorico, dove la vita, spesso, pur apparendo come uno spazio prestato dalla
morte, si ravviva di colori che coprono tutta l’iride dell’arcobaleno. . .”.
Ecco, allora, che disquisire di Un altro inverno significa entrare in
punta di piedi in un lascito, consapevoli della delicatezza del dono, del suo
rapido sfiorire ma anche dell’intenso profumo del fiore. Non è forse la stessa
cosa che la poetessa ci suggerisce scrivendo: “Tra sacro e profano abbiamo
riattivato la pendola degli anni / rimasta a lungo immobile nella stanza vuota.
/ Fu il dubbio a metterci in viaggio, a squarciare / le soglie del tempo,
colorando albe e stagioni.”; non è forse con la delicatezza cui s’accennava
ch’ella s’inoltra “giorno dopo giorno, nel mistero dell’esistere”?
L’onda: un’onda che, fragorosa, rompe
sugli scogli o, scivolando, si distende morbida sulla battigia; un’onda che
porta a riva gusci vuoti di conchiglie e plancton; che viene e va dal principio
alla fine, dalla fine al principio.
Siamo nel cuore pulsante di questa
poetica: al movimento diastolico e sistolico che ne determina l’origine; ed è
interessante notare come il tutto viene trasferito, sul piano formale, in una
accentuazione variabile del verso che rende il ritmo fluttuante, ondivago
appunto, completamente abbandonato alla risacca, che risucchia l’anima alla
ricerca della propria essenza.
C’è una lirica, tra quelle qui raccolte,
che mi sembra esemplare ed esemplificativa in proposito: mi riferisco a Il sentiero (p.26); testo in cui,
contenuto e sonorità si abbracciano così visceralmente da non potersi più
districare. Quando – in poesia – si verificano simili condizioni, bisogna
drizzare le antenne perché esattamente quello è l’attimo fuggente, che si è
lasciato sfiorare, ed ha impresso le tracce del suo passaggio sulla carta. Per
ovvie ragioni, non proporrò la lirica nella sua interezza ma l’incipit e la
splendida chiusa meritano l’ascolto: “E’ questo sentiero già percorso il mio
viaggio, / lo so per certo, ora che la meta m’appare come abbaglio”; e la
terzina finale: “Il sentiero che ho davanti / promette di essere questo infinito
ritorno / lì dove tutto è cominciato.”.
Sono versi che trasmettono una percezione
del metafisico inusuale, dotati di una forza attrattiva coinvolgente e
irresistibile. Rischiando di ripetermi – ma ne vale decisamente la pena – ho
incrollabile certezza nella capacità, che possiede il canto citato, di fare da
colonna portante all’intera costruzione poetica del libro.
Occorre scavare per trovare le
fondamenta, rinvenire nelle parole l’energia del pensiero poetante; e, qui, una
forza titanica si sprigiona, supera il muro del suono, generata – com’è – da
una vera e propria epifania.
Il sentiero è già stato percorso ma
rappresenta il nuovo viaggio, la meta è già stata raggiunta ma continua ad
essere abbagliante, si va verso il futuro perché si è sulla strada di un
infinito ritorno. Eccolo l’ossimoro degli ossimori; la verità più grande della
verità, e il sogno, il sogno più grande del sogno.
D’altra parte, da cosa dovrebbero
prendere abbrivo i primi passi se non dall’incertezza, dal non sapere che ci riserverà
il domani? Cullati, però – come l’autrice scrive in Carezza d’autunno – “ dalla memoria di un tramonto che un dì /
risvegliò in me le stesse sopite emozioni.”.
E non si pensi ad un dettato astratto,
ancorato soltanto alla speculazione psichica: certo, ogni aspetto del vivere è
trattato e traslato sul piano dell’interiorità, ma questo non inibisce né
esclude l’impegno, che da individuale acquista valenze sociali ed universali.
“. . . anche su quel mare – là
all’Idroscalo – nel lento ripetersi dell’onda, / galleggia la nostalgia per ciò
che non è stato. / E sempre va, sottobraccio al vento, la poesia che non muore.
. .”.
Il riferimento alla chiusa di Caro Poeta (la lirica, di p.49, dedicata
a Pier Paolo Pasolini) mi riporta immediatamente al concetto con il quale ho
aperto l’intervento: giunge e riparte, si spegne e rinasce dalla spuma, nel suo
infinito ritorno, l’onda-parola di Sonia Giovannetti.
Accomiatandosi dai propri lettori, così
si esprime in Non trattenermi: “Se un
giorno non scriverò più, / vorrà dire che la notte è arrivata.”.
Succederà: sta nell’ordine naturale delle
cose, ma siamo sicuri che esista davvero “l’ultima onda del mare” per un poeta;
per chi – come lei – ne sente il respiro, e tanto ne ama l’amore?
Sandro
Angelucci
Con infinita gratitudine ho avuto l’onore di ascoltare l’alto pensiero e le straordinarie parole, nel giorno della presentazione del mio ultimo libro di poesie, che Sandro Angelucci ha voluto dedicare a questa silloge”.
RispondiElimina“E’ un’onda del mare” anche la sua lettura dei miei versi, anch’essa cadenzata - mi pare - da quel “ritmo fluttuante” che dà origine a questo mio inverno e al mio viaggio nel tempo della poesia che così acutamente avverto come motivo del mio scrivere. E’ davvero un dono grandissimo che il poeta Angelucci mi porge e che io trattengo, insieme alla sua amicizia, nello scrigno delle cose che più contano. Grazie, carissimo, Sandro.
Sonia Giovannetti