Anna Maria Pacilli collaboratrice di Lèucade |
Poesia e psicologia. Amore e felicità
di Nazario Pardini
“…
Ecco, quindi, la Felicità come “amore” ma anche come “progetto”, non come
qualcosa di autonomo, che può accadere comunque, che si verifica
indipendentemente dalla nostra volontà, come un fato predeterminato, ma che va
cercata, costruita, e, possibilmente, anche imparata.
Con
un salto generazionale, leggo una frase di una mia ex alunna di Scienze
Infermieristiche, Alice Zucco, “La felicità è come un cestino da picnic: la
puoi portare dappertutto”. La Felicità per i giovani sarebbe “trasportabile”,
può contenere tutto ciò che serve avere, può addirittura essere “alimento” e
“alimentare” altra Felicità, anche qui, elemento collettivo e condivisibile,
contagioso, quasi”. Sì, contagioso, universale, totale, polivalente,
parenetico, olistico; amore, felicità: un binomio di valenza umana ed ultra. Ma
l’amore, purtroppo, non sempre ci rende felici: direi che è quel sentimento che
più si avvicina al fatto di esistere, dacché significa inquietudine, malessere,
saudade, tormento insicurezza, vita; e sono eros e thanatos i due ingredienti a
rendere il nostro essere vero, mortale, esistenziale; il nostro esistere patrimonio
di conturbazioni attuali e memoriali di grande carica poetica.
Un
saggio, questo di Anna Maria Pacilli di elevata caratura; di profonda vicenda letteraria, scientifica,
antropologica, filosofica, psicoanalitica, neurobiologica che, con un linguismo
tonico, saporoso e incisivo, riesce a metterci in sintonia con argomentazioni
che sembrano a prima vista estranee alla poesia ma che, al contrario, molto
hanno a che vedere con la sua polisemica valenza; con la sua multicorde
estensione e soprattutto con le sporgenze interiori che essa pretende, dacché è
confessione dei nostri sobbalzi intimi; degli accadimenti rimasti a macerare
per tempo nel serbatoio del subconscio;
in quel pozzo di immagini confuse, di ontologiche emotività, che trovano corpo
in memorie o in fremiti panici di polivalente cromia. Riattivarle, dare loro nuova lucentezza,
significa essere un po’ psicologi di noi stessi. Sottoporsi a autosedute;
leggerne i risultati in diagnosi poematiche, liriche, attraverso cui veniamo a
conoscenza di un altro noi sconosciuto. “L’inconscio è un particolare regno della psiche
con impulsi di desiderio propri, con una propria
forma espressiva e con propri meccanismi psichici
che
non vigono altrove”.
(Freud); e parafrasando Jules Renard, possiamo dire che nella casa della poesia la
stanza più grande è la sala d’attesa. Quella sala in cui restano a decantare
episodi scampati, che, tradottisi in immagini, attendono l’ora giusta per
tornare a vivere nella sonorità del canto. O come affermava Alda Merini:
“portiamo i nostri morti con noi fino a quando moriamo noi stessi”. Quindi
scavare nei nostri recessi significa cercare quella verità che unisce tutti noi
in un unico amplesso. Una verità etico-estetica che è nella parola. Nella
ricerca del Bello, che mai avrà fine, dacché il Bello è eterno, immortale e
abita oltre quegli orizzonti che delimitano il nostro sguardo di esseri
mortali. Noi possiamo solo avvicinarcisi il più possibile; arrivare a toccare
appena la coda del supremo; solo sfiorarla, in quanto limitati dalla precarietà
della nostra stagione. Possiamo fare questo, solo affidandoci al sentimento,
non di certo alla ragione; è il sentimento che si fa cospiratore di un’estasi
di sovrumana levatura. Sarà la psicologia, con tutto il suo potere diagnostico,
analitico-introspettivo, poetico, oserei dire, a rivelare a noi stessi quella
parte misteriosa e misterica del nostro essere imperfetti; la poesia non è che
una faccia di quella medaglia; quella che cerca di dare continuità, armonia, e
sopravvivenza ai tanti frammenti discontinui raccattati nel subconscio del nostro
esistere; un malum vitae, una malinconica natura poetica
che mi sembra di rintracciare nei versi di “O poeta é um fingidor” di Fernando
Pessoa, paradigma rivelatore della condizione del vero poeta: “Il poeta è un
fingidor. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il
dolore che davvero sente”. Leggere questo stimolante saggio significa mettersi a confronto con argomentazioni atte a
suscitare interesse per eventuali approfondimenti scientifico-filosofici,
nonché poetici, dacché il sentire del poeta (Mi piace il verbo sentire. Sentire il rumore del mare,
sentirne l’odore. … Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col
cuore. Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo
e si sente. [Alda Merini]) è tanto simile alla percezione che si ha della
felicità, sudando (Dunque potremo anche percepire e comunicare la Felicità
sudando. E ciò potrebbe essere messo in “comune” con gli altri, contagiando la
Felicità.). Un sentimento che presuppone l’aspirazione al completamento;
cosa improbabile, considerando la pochezza e la
ristrettezza dei nostri mezzi nei confronti del tutto (L’homme c’est un milieu
entre rien e tout. <Pascal>); o come scrive uno scrittore francese
“L’infelicità è quella parte di noi che più si avvicina alla felicità”.
“Sentire”
la Felicità: alcune riflessioni.
di Anna Maria Pacilli
Mi piace il verbo sentire. Sentire il rumore del mare, sentirne
l’odore.
… Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col
cuore.
Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena
del mondo e si sente. [Alda Merini]
Lo
spunto per quanto segue mi è stato dato da una riflessione di Gianni Di Quattro
sull’argomento “Felicità”, che egli considera qualcosa che non si può vedere ma
si può sentire, che non è uguale per tutti, può essere un fatto individuale ma
anche collettivo. Concetto, questo, che, a mio avviso, richiamerebbe quello
dell’Amore di Alberoni del 1979, inteso come “movimento collettivo”, o meglio
dell’Innamoramento, lo stato nascente di un movimento collettivo a due, che può trovare
la sua realizzazione se i due innamorati riescono a creare un progetto, ma che
è destinato a naufragare, invece, se i progetti individuali che loro hanno,
sono troppo diversi o incompatibili.
Ecco,
quindi, la Felicità come “amore” ma anche come “progetto”, non come qualcosa di
autonomo, che può accadere comunque, che si verifica indipendentemente dalla
nostra volontà, come un fato predeterminato, ma che va cercata, costruita, e,
possibilmente, anche imparata.
Con
un salto generazionale, leggo una frase di una mia ex alunna di Scienze
Infermieristiche, Alice Zucco, “La felicità è come un cestino da pic nic: la
puoi portare dappertutto”. La Felicità per i giovani sarebbe “trasportabile”,
può contenere tutto ciò che serve avere, può addirittura essere “alimento” e
“alimentare” altra Felicità, anche qui, elemento collettivo e condivisibile,
contagioso, quasi.
A
me, pensando alla parola “Felicità” è venuto in mente un vestito tutto colorato
che, però, nonostante i vari colori, sia, comunque, abbinabile con tutto. Non
“sdice” la felicità, non è mai “pacchiana”, non è mai troppa, non sono mai
troppe le tinte con cui riesce a colorare la nostra vita. Felicità, insomma, è
sentirsi in “sintonia” con la vita stessa. Anche se non si può non considerare
che la parola reca in sé, inevitabilmente, anche il concetto di caducità
“La felicità è
sempre e soltanto un istante. La felicità non è una cosa che dura. Non è un
tempo, è un istante o una serie di istanti. Un punto di contatto con qualche
cosa di straordinario” (in Gianni Bisiach, Inchiesta
sulla felicità, Rizzoli, 1987)
Per qualcuno la Felicità è questione di chimica, un fatto di
neuroni, di sinapsi. Per altri è l’appagamento immediato di un bisogno, fisico,
biologico. Per altri, ancora, è un desiderio più mirato e duraturo. Cioè può
avere partenza dalla chimica, ma si completa attraverso l’anima. La ricerca (scientifica)
della Felicità è un viaggio misterioso e appassionante attraverso le la
letteratura, la filosofia, le neuroscienze, la psicologia, la religione,
l’antropologia, un viaggio che non può finire se non conducendoci al centro di
noi stessi. Perché spesso, anzi molto spesso, ci si domanda se esista, per
ognuno di noi, una formula della felicità.
La Letteratura e la Felicità
Il tema della Felicità e dell'aspirazione umana verso di
essa è stato trattato da molti poeti, tra cui Eugenio Montale, che ritiene che
tale condizione sia raggiungibile solo per pochi attimi, in cui la persona
scopre un mondo di emozioni fino ad allora quasi sconosciute.
La poesia "Felicità raggiunta" fa parte della
raccolta « Ossi di seppia » del 1925: il tema dominante è l'esistenza
come una specie di corsa ad ostacoli, piena di difficoltà e di incertezze, in
cui l'uomo è solo e non può sperare nell'aiuto divino. Dio è indifferente alle
vicende umane e addirittura nella poesia "Spesso il male di vivere ho
incontrato", la Felicità viene vista consistere nel raggiungimento della
Divina Indifferenza, cioè di una condizione di assoluto distacco
spirituale dal dolore.
Solo eccezionalmente gli eventi della vita possono aprire
la porta ad uno spiraglio di speranza.
La Felicità è fragile, è "barlume che vacilla"
e "ghiaccio teso che s'incrina", quindi è un miraggio destinato a
svanire.
"Non ti tocchi chi più t'ama": secondo il poeta
proprio chi desidera maggiormente essere felice deve rinunciare a ricercare la
gioia, perchè essa svanisce presto e lascia il posto alla delusione; è
importante notare inoltre che le persone normalmente tristi provano un senso di
turbamento quando sperimentano la gioia, non essendo abituate a questo stato
d’animo.
Per Guido Gozzano nel 1909, la Felicità assume le
sembianze di una donna, la signorina Felicita, il cui aspetto è filtrato dalla dimensione
malinconica del ricordo e dalla sofferenza esistenziale:
"[...] Nel mio cuore amico | scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
| e Ivrea rivedo e la cerulea Dora | e quel dolce paese che non dico".
Il Piccolo Principe ( 1943) di Antoine de
Saint-Exupéry è un “racconto filosofico”
su un pilota che si schianta nel deserto ed incontra un giovane principe caduto
sulla terra dal suo piccolo pianeta. Il principe insegna al pilota il senso
della vita, la natura dell’amore e la bellezza di una esistenza felice.
Anche dopo molti anni il tema della Felicità rimane sempre
attuale: il “Progetto felicità. Aspetti psicologici di
un viaggio interiore” di Carmen Meo Fiorot e Marcello Andriola del 2010 sostiene che la
felicità dipende dall’autostima e dalla fiducia in se stessi.
Ancora in
“ Momenti di trascurabile felicità” (2010), Francesco Piccolo si chiede quali siano le
piccole gioie che ci colgono in modo improvviso e in momenti inaspettati della
vita e della giornata. Sono attimi, piccole parentesi in cui e grazie ai quali,
trovare il tempo di sorridere.
Stefano Bartolini, docente di
Economia Politica all’Università di Siena, in “Manifesto per la felicità. Come
passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere” del 2010, spiega
che siamo infelici perché siamo poveri di relazioni interpersonali.
Occorre, dunque, riorganizzare le nostre vite.
La “Lettera a mio figlio sulla
Felicità” di Sergio Bambaren (2010) è una
mappa per affrontare il viaggio più importante, quello verso la felicità,
in cui unici bagagli indispensabili sono l'ottimismo e il coraggio.
In “Progetto felicità. Aspetti psicologici di
un viaggio interiore” di Carmen Meo Fiorot e Marcello Andriola del 2010, gli
autori sostengono che la felicità dipenda da una forte autostima e fiducia in
sé stessi.
Dalai Lama (Gyatso Tenzin) e Howard
C. Cutler in “L’arte della felicità in un mondo in crisi” del 2013, sostengono
che viviamo in un mondo inquieto, segnato
da crisi profonde e non solo economiche, in cui sembrano prevalere impulsi
distruttivi che portano a guerre e conflitti tra individui e nazioni. In questa
situazione può ancora esistere la Felicità? Dalai Lama e lo psichiatra
americano Howard C. Cutler affrontano il tema partendo dall’assunto che l’uomo
è fondamentalmente buono e se coltiva le sue doti innate, potrà essere felice.
Tal Ben-Shahar ne “La
felicità in tasca. L’arte di vivere bene senza essere perfetti” (2014) sostiene
che una vita felice non è una vita perfetta. Una persona felice è una persona
che va incontro agli insuccessi, ma che, comunque, non ha paura di fallire.
Questo,
nonostante la società moderna ci imponga continuamente di essere perfetti:
apparire giovani e belli, guadagnare di più, ed essere sempre all'altezza di
ogni situazione. In realtà, secondo l’autore, dai fallimenti e dalle emozioni
dolorose si può imparare molto.
L’Antropologia
e la Felicità
Per l’antropologo Lévi Strauss, la Felicità
è equilibrio e l’alternanza degli opposti, che ne determina anche l’amore. Il
Sole e la Luna, infatti, assolvono, complementariamente, ma ognuno per suo
conto, due funzioni diverse, illuminante e riscaldante.
La Filosofia e la Felicità
Epicuro sostiene che non
si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità e che
a qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'anima.
Secondo
Aristotele ogni essere umano desidera essere felice, anche se i percorsi per
raggiungere la felicità sono spesso, in contraddizione tra loro: per alcuni
essa coincide con l’onore, per altri con la ricchezza, per altri con il
piacere, per altri ancora con la virtù. Dunque, anche se nessun uomo agisce per
essere infelice, in diversi casi qualcuno si inganna sul
modo
di esserlo. Anche chi si impicca, sostiene Pascal, lo fa perché ritiene che,
togliendosi la vita, potrà accedere ad una condizione migliore, il nulla o una
vita oltremondana. A partire dall’Illuminismo, si era diffusa nella mentalità
la convinzione di un diritto alla felicità, o, meglio, un “diritto a ricevere
la felicità”, che qualcuno ha il dovere di
procurarci:
se qualcuno non è felice è vittima di
un’ingiustizia, perché vuol dire che chi aveva quel dovere non lo ha assolto.
Questo atteggiamento che, in qualche modo è ancora presente nei giorni odierni,
determina un aumento dell’infelicità: poiché l’uomo ritiene di avere diritto a
ricevere la felicità, quando, per vari motivi, non la sperimenta, si sente
vittima di un’ingiustizia e questo accresce l’insoddisfazione. Da ciò,
l’aumento numerico dei suicidi, in parte dovuto al fatto che si è diventati
intolleranti alle frustrazioni, piccole o grandi che siano, la crisi delle
famiglie, l’aumento dei casi di patologie psichiche, soprattutto di tipo
depressivo, prodotte dalla delusione nei confronti della vita; il ricorso
indiscriminato, come surrogati della felicità, al sesso ed alle sostanze
stupefacenti.
L’infelicità, dunque, secondo Aristotele,
sarebbe determinata da una condizione di solitudine: “riteniamo che l’amico sia
uno dei beni più grandi e che l’esser privo di amici e in solitudine sia cosa terribile”
(Etica Eudemia, 1234b 32 - 1235a 2)
Non si
può, dunque, essere felici da soli, perché l’uomo è un essere sociale, ma non
basta neppure vivere con gli altri: bisogna essere in comunione con la loro
vita tramite l’amore, che ci fa sperimentare su di noi le gioie e i dolori altrui.
Nonostante ciò, i contemplativi che vivono da eremiti, non sono infelici,
perché non sono realmente soli, ma in comunione con Dio, che Platone chiamava
il Primo Amico.
Esisteva anche un nesso tra Etica e felicità:
l’uomo moralmente buono, che cioè esercita le virtù, è l’uomo che giunge
alla felicità più profonda possibile in
questa vita. Egli non è colui che è imprigionato in regole e divieti, ma colui
che vive motivato dall’amore.
Da tutto questo si possono comprendere le
ragioni dell’infelicità nella nostra epoca, connotata da stili di vita del
tutto
egoistici ed orientati al conseguimento della
propria felicità, mentre la felicità la consegue solo chi non la
cerca per se stesso, bensì chi la cerca per
gli altri.
Questo
“paradosso” lo troviamo lungo tutto il corso della storia della filosofia.
Autori come Bentham, Mill e Sidgwick (i
capostipiti di quella corrente di filosofia morale che è l’Utilitarismo), hanno
ritenuto che l’uomo agisca motivato solo dal proprio egoismo.
Bentham sosteneva che "per ogni granello
di gioia che seminerai nel petto di un altro, tu troverai un raccolto nel tuo
petto, mentre ogni dispiacere che tu toglierai dai pensieri e dai sentimenti di
un'altra creatura sarà sostituito da meravigliosa pace e gioia nel santuario
della tua anima” (Bentham Manuscripts, University
College, CLXXIV, 80, cit. da A. Goldworth, Editorial Introduction, in J.
Bentham, Deontology,together with a table of Springs of Action and Article
on Utilitarianism, in The Collected Works of Jeremy Bentham Clarendon
Press, Oxford, 1983, p. XIX).
Per Mill: “la capacità cosciente di
rinunciare alla propria felicità è la via migliore per il raggiungimento di
tale felicità”
(
J.S. Mill, L’utilitarismo, Sugarco, Milano, 1991, p. 33).
…“non ho mai dubitato che la felicità sia […]
lo scopo della vita. Ma ora
penso che quello scopo può essere ottenuto se
non lo cerchiamo come scopo diretto. Sono felici (io
credo) solo coloro che hanno le loro menti
fissate su qualcos’altro che la propria felicità; sulla
felicità degli altri, o nel miglioramento
dell’umanità, persino in qualche arte o occupazione, cercati
però non come mezzi, ma come un ideale scopo.
Puntando così su qualcos’altro essi trovano la
felicità lungo la strada”
Sidgwick parla dell’edonismo come di una
forma di egoismo, consistente nel fatto che “l’impulso al piacere,
se troppo predominante, viene a vanificare il suo stesso fine”… “i nostri
godimenti attivi [...] non possono essere conseguiti se il nostro scopo viene
consapevolmente concentrato su di essi” (H. Sidgwick, I metodi dell’etica, Il
Saggiatore, Milano, 1995, p. 84).
I piaceri della ricerca intellettuale, della
creazione artistica, della benevolenza “sembrano richiedere, perché li si provi
in misura accettabile, la preesistenza di un desiderio di fare il bene degli
altri per se stesso, e non perché così facendo ne deriva il nostro”. Perciò,
come principale ostacolo per il loro conseguimento Sidgwick indica l’egoismo:
“quell’eccessiva concentrazione dell’attenzione sulla propria felicità
personale […] rende impossibile all’individuo sentire un qualche interesse per
i piaceri e dolori degli altri. La continua attenzione rivolta al proprio io
che ne risulta, tende a privare tutte le gioie della loro intensità e del loro
aroma, e a produrre una rapida sazietà e la noia: all’uomo egoista manca […]
quella dolcezza particolarmente ricca che dipende da una sorta di complicato
riverbero della simpatia che sempre si trova nei servizi forniti a coloro che
amiamo e a cui siamo grati.” ( H. Sidgwick, I metodi dell’etica, cit.,
p. 527).
Buona parte della filosofia morale insegna
proprio che la felicità è la conseguenza e l’effetto di una prassi che non è
direttamente finalizzata ad essa.
Nell’età antica lo avevano compreso
Aristotele e Seneca. Per quest’ultimo virtù e saggezza consentono di
raggiungere la Felicità. In età medievale, Agostino, Bernardo di Chiaravalle e
Tommaso d’Aquino; nell’età moderna, oltre a Bentham, Mill e Sidgwick,
anche Leibniz, Shaftesbury, Hutcheson,
Smith, Palmieri, Genovesi e Ferguson; nel XX secolo d.C., tra gli altri,
Scheler, Weil e Frankl. Se, dunque, la Felicità è la conseguenza di una prassi
che non se la pone direttamente come obiettivo, allora essa è un dono, non
direttamente perseguibile. Lo aveva già intuito Aristotele, secondo cui la
felicità non sarebbe una scelta, ma un dono divino.
Per Shaftesbury, la ricerca appassionata del
piacere come della felicità portano alla sazietà e al disgusto, così come per
Scheler, l’uomo che vive secondo i principi della filosofia edonistica, tanto
più sicuramente non ottiene il piacere quanto più lo ricerca, mentre
partecipare alla gioia o alla Felicità degli altri è ciò da cui dipendono i più
grandi di tutti i nostri piaceri.
Si comprende, così, il nesso tra amore e
Felicità: l’uomo è aperto all’infinito, omnium
capax (Tommaso
d’Aquino, De veritate, q. 24, a. 10),
ovvero la natura umana è proiettata verso l’unione con tutto ciò che è altro da
sé. Perciò, l’amore è l’espressione e la realizzazione connaturale alla natura
dell’essere umano che è proiettata verso l’esterno, e che non si può realizzare
attraverso rapporti intersoggettivi superficiali, ma solo attraverso l’amore
autentico.
Così, la Felicità è gioia della Felicità
dell’altro, come ha ribadito anche Leibniz in età moderna, spiegando che essa è
delectatio in felicitate
alterius, o (nel caso in cui
l’altro non sia felice) gioia del cercare la felicità dell’altro ( G.W.
Leibniz Codice diplomatico di diritto delle genti, in Scritti
politici e di diritto naturale, UTET, Torino, 19652, p. 159).
Anche Kierkegaard sostiene che la porta della
felicità si apre amando e donandosi agli altri.
Esiste, però, la “felicità perfetta”? La delusione,
in realtà, è sempre in agguato e, secondo Tommaso
d’Aquino, tutti i nostri obiettivi suscitano una reazione comune: quando vengono raggiunti e
posseduti non li si apprezza più e si desiderano
altre cose, cioè il desiderio non viene mai
appagato. Come se, in qualche modo, nel fine a cui si anelava fosse insita la
frustrazione di averlo conseguito, perché, comunque, esso si rivela non
definitivo. Ogni bene finito è un’anticipazione simbolica del Bene Infinito:
l’uomo è perennemente insoddisfatto non perché ha conseguito questo o quel bene
invece che un altro, ma per la natura finita di tutti questi beni, incapace di
appagare il desiderio umano, che è un
desiderio di Infinito, che solo un Bene Infinito può estinguere:
solo la comunione con Dio, se esiste, può dare soddisfazione all’anelito del
nostro desiderio.
Fu solo tra il tardo Settecento e l'Ottocento che si osò pensare alla Felicità come qualcosa
di più che un dono divino o una ricompensa ultraterrena, meno casuale della
fortuna. Per la prima volta nella storia dell'uomo, ci si trovò di fronte
alla prospettiva di non dover soffrire
come per un'infallibile legge dell'universo, ma di potere e di doversi
aspettare la Felicità e provare piacere come un diritto dell'esistenza. Ad esempio, “Le Paradis est ou je suis”, dichiara Voltaire
all'inizio del diciottesimo secolo: “Il
paradiso è dove sono io”.
La Psicologia e la Felicità
Secondo
la letteratura psicologica-psichiatrica contemporanea, la felicità, è
conseguenza di un’attività vitale non
direttamente polarizzata verso di essa con
desiderio e ricerca intenzionali. Il clinico può osservare che il principio del
piacere è in realtà autodistruttivo, la ricerca diretta della felicità è
autodistruttiva. Quanto più ci si sforza di guadagnarla, tanto meno la si
consegue.((J. Cardona Pescador, La depressión, psicopatología de la
alegría, Ed. Cíentifico-Médica, Barcellona, 1983, pp. 106-107).
Sempre in ambito psicoterapeutico,
prevarrebbe l’idea che la felicità e il piacere non siano direttamente
“intenzionabili”: “il piacere non si lascia ricercare per se stesso, ma può
essere ottenuto solo quale effetto spontaneo, così, più l’uomo ricerca il
piacere, più questo gli sfugge. “Ciò di cui l’uomo ha bisogno non è il piacere
in se stesso, bensì una ragione per essere felice.” (V.
Frankl, Der Mensch auf der Suche nach Sinn, Verlag, Stuttgart, 1952, tr.
it. Alla
ricerca di un significato della vita. Per una psicoterapia riumanizzata,
Mursia, Milano, 1990, p. 55).
La Psicoanalisi e la Felicità
In realtà, a partire da Freud non è
stata elaborata una teoria
psicoanalitica delle emozioni,
quanto piuttosto degli affetti, o pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io. Le
prime sono stimoli interni che influenzano il comportamento dell’individuo e lo
spingono a determinate azioni, caratterizzate ognuna da tre elementi: una fonte,
una meta ed un oggetto. La fonte di ogni pulsione ha un origine interna
specifica, di natura biologica o biochimica, che provoca uno stato di tensione
interna che spinge l’individuo verso una meta, allo scopo di scaricare
la tensione. L’oggetto della pulsione,
invece, rappresenta sia il fine che il mezzo attraverso il quale la pulsione
raggiunge la sua meta; può trattarsi di una persona, di un oggetto parziale, di
un oggetto reale o fantasmatico. Delle pulsioni
dell’Io fanno parte la fame, la sete, l’aggressività e tutti gli impulsi
rivolti al controllo del comportamento altrui, come esercitare potere,
attaccare e fuggire. Successivamente Freud modificò la sua teoria introducendo
i concetti di pulsione di vita e pulsione di morte.
Sebbene la teoria di Freud sulle pulsioni non sia una vera
e propria teoria delle emozioni, fornisce delle basi per le interpretazioni
psicoanalitiche degli affetti, in particolare l’ansia e la depressione.
Un ulteriore aspetto
da prendere in considerazione è il riconoscimento delle emozioni negli altri. Per Freud nell’espressione di un’emozione
possono verificarsi vari spostamenti e trasformazioni volti ad impedire
all’affetto di apparire alla coscienza liberamente.
In questa prospettiva,
sogni, associazioni libere, lapsus, postura, atti mancati, espressioni facciali e tono della voce assumono particolare importanza come
indicatori di emozioni rimosse da un individuo. In tutti questi casi l’affetto
inconscio riemerge alla coscienza grazie ad un indebolimento dei meccanismi di
censura.
La Neurobiologia e la Felicità
La tesi a favore
dell’esistenza di un sistema per le emozioni nel cervello umano è, ancora oggi, oggetto di
molte discussioni. L’opinione corrente
è che ci sarebbero alcune strutture cerebrali più importanti di altre per
l’esperienza e l’espressione dell’emozione. Gli studi di Cannon
per primi hanno preso in considerazione le varie aree del cervello in relazione
all’evento emozionale. Nella figura 1. sono riprodotte le principali strutture
del sistema limbico, che rappresenterebbe un correlato cerebrale delle
emozioni.
Figura 1: Principali strutture del sistema limbico
Localizzato al di
sotto della corteccia cerebrale, il sistema
limbico, comprendente l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo,
riveste un ruolo importante in buona parte delle reazioni emotive, nella
motivazione, nell’apprendimento e in certi aspetti della memoria.
L’amigdala è un elemento critico nei circuiti del cervello che elaborano
paura e aggressività. Questa
struttura ha un ruolo specifico nell’elaborazione
delle emozioni, sia a livello anatomico che funzionale e riceve un’ampia
gamma di input relativi a stimoli presenti, ricordati o semplicemente
immaginati. Ognuno di questi input è capace di mettere in moto dei meccanismi
che integrano informazioni sia di tipo cognitivo che emotivo in altre parti del
sistema. Sebbene l’amigdala non è in grado di decodificare la qualità emozionale
degli stimoli, il suo ruolo consiste nell’ alimentare ed attivare l’intero
sistema emotivo. Numerosi
studi hanno esaminato l’effetto di lesioni all’amigdala che provocano danni
sull’abilità di riconoscere le espressioni emozionali del volto, riportando deficit associati a paura, rabbia, tristezza e
disgusto. La varietà di deficit
probabilmente riflette, in parte, differenze nelle lesioni, tuttavia l’inabilità
a riconoscere la paura nelle espressioni facciali sembra essere il più frequente.
L’ippocampo e
l’ipotalamo formano, insieme all’amigdala, il sistema limbico. Il primo è localizzato nella zona mediale del
lobo temporale e svolge un ruolo importante nella memoria a lungo termine e
nella navigazione spaziale.
L’ipotalamo,
infine, è la zona del cervello che coordina il sistema nervoso autonomo e
regola, tramite una complessa attività ormonale, funzioni diverse all’interno
dell’organismo, come l’equilibrio della temperatura corporea, il metabolismo
dei glucidi e dei lipidi, ecc. Molte di queste funzioni sono implicate nel
vissuto e nella manifestazione psicofisiologica delle emozioni.
Il sistema nervoso autonomo
L’esperienza emozionale è quasi sempre accompagnata dalla
mobilitazione del sistema nervoso
autonomo (che regola le reazioni corporee involontarie) attraverso le
sue due parti: il sistema simpatico e il sistema parasimpatico.
Il sistema simpatico ha il compito di attivare le risposte di sopravvivenza
alle minacce che vengono percepite; le ghiandole surrenali secernono gli ormoni
dello stress (adrenalina, noradrenalina,
cortisolo), il battito cardiaco aumenta, i muscoli si contraggono, le pupille
si dilatano e il respiro si fa più profondo e rapido. Un versione estrema dell’attivazione
del sistema nervoso simpatico è
conosciuta come risposta di attacco o fuga, che porta gli animali a
fuggire o attaccare in caso di pericolo. Quando il pericolo è passato, il
sistema parasimpatico prende il sopravvento su quello simpatico e riporta il
corpo ad uno stato di riposo pre-ansia.
I neurotrasmettitori
Un ultimo aspetto da prendere in
considerazione, che sono alla base non solo delle esperienze emozionali ma riguardano tutte le strutture del nostro
corpo, sono i neurotrasmettitori, responsabili della trasmissione sinaptica
chimica. Questi rientrano in tre categorie chimiche: aminoacidi, amine e
peptidi e la loro funzione è quella di trasmettere l’informazione dalla
membrana pre-sinaptica a quella post-sinaptica.
Tra i neurotrasmettitori aminoacidi
rientrano il glutammato (Glu), la glicina (Gly) e l’acido
gamma-aminobutirrico (GABA). Il glutammato è un neurotrasmettitore
eccitatorio e consente allo stimolo nervoso di propagarsi nel neurone
post-sinaptico. Un eccessiva presenza nelle sinapsi di glutammato può indurre
uno stato di ipereccitazione e insonnia con forti cefalee. Il
neurotrasmettitore GABA, invece, ha una funzione prevalentemente inibitoria,
sopprimendo l’attività del sistema nervoso centrale. Il sistema limbico è
particolarmente ricco di recettori per il GABA e si pensa che la sua funzione
sia quella di “calmare” il sistema limbico quando è sovraeccitato. Sui
recettori per il GABA agiscono le benzodiazepine, i farmaci più
utilizzati per ridurre l’ansia patologica. Questi farmaci si legano ai
recettori per il GABA e ne modificano la forma aumentandone l’affinità con il
neurotrasmettitore, determinando un potenziamento dell’azione del GABA.
La seconda categoria è rappresentata
dai neurotrasmettitori aminici: serotonina,
dopamina, acetilcolina e noradrenalina svolgono un ruolo
molto importante nelle manifestazioni comportamentali, nei processi cognitivi
e, soprattutto, nelle emozioni. La serotonina è implicata nella regolazione
dell’umore e del sonno, nella temperatura corporea e nella coordinazione delle
attività intestinali. La dopamina, invece, è il principale neurotrasmettitore
del cervello emozionale; svolge un ruolo importante nella regolazione di
comportamenti quali il mangiare, il bere, il riprodursi, avere successo nella lotta
o nella competizione o il fuggire da un pericolo. Una scarsa produzione di
dopamina sembra sia correlata alla depressione, mentre una iperattività nella
produzione pare connessa alla sindrome maniacale e alla schizofrenia. La noradrenalina,
infine, coinvolge parti del cervello dove risiedono i controlli
dell’attenzione e delle reazioni. Insieme all’epinefrina, provoca la risposta di attacco o
fuga (fight or flight), attivando il sistema
nervoso simpatico
per aumentare il battito cardiaco, rilasciare energia sotto forma di glucosio dal glicogeno e aumentare il tono muscolare.
I peptidi costituiscono la terza categoria chimica dei
neurotrasmettitori; essi comprendono le encefalite, le endorfine,
la sostanza P, la neurotensina e molti altri. Si tratta di catene
proteiche di lunghezza variabile la cui funzione è prevalentemente inibitoria;
per esempio le endorfine sono maggiormente concentrate nella parte del midollo
spinale in cui arrivano le fibre nervose sensitive che conducono gli stimoli
dolorifici nelle varie parti del corpo o nelle zone del cervello che hanno il
compito di ricevere, integrare e trasmettere le informazioni dolorifiche nelle
altre aree cerebrali.
I neuroni specchio
La scoperta dei neuroni specchio non
è la scoperta di un nuovo fenomeno clinico, ma solo dei possibili meccanismi
neurali che possono far luce su fenomeni clinici già noti, come sostiene Gallese nel 2006.
Essi sarebbero una popolazione di
neuroni visuo-motori scoperti nel cervello dei primati e dell’uomo che si
attivano sia durante l’esecuzione di azioni sia durante l’osservazione delle
stesse azioni compiute da altri.
Nel contesto emozionale, questi
neuroni assumono grande importanza in quanto regolano le strategie di
adattamento alle situazioni ambientali. Prove scientifiche hanno dimostrato che
l’attivazione di un particolare circuito neurale, che comprende la corteccia
premotoria ventrale e include l’amigdala e l’insula, assume grande importanza
nell’osservazione e nel , come paura,
felicità, rabbia, disgusto, sorpresa,
tristezza. Percezione e
produzione delle manifestazioni espressive ariconoscimento di espressioni (facciali)
emozionali di basevrebbero,
quindi, una base comune. Un ruolo importante in questo meccanismo viene svolto
dall’insula, che connette il sistema limbico con il sistema dei neuroni specchio ed è un centro di
integrazione viscero-motoria trasformando gli input sensoriali in reazioni
viscerali. Il meccanismo specchio risulta attivo anche nel riconoscimento del
dolore.
Freedberg
nel 2007 notò che anche
nello spettatore di un’opera d’arte vengono attivati gli stessi circuiti
neurali corrispondenti alle azioni o alle emozioni rappresentate nell’opera.
Dunque, i circuiti neurali di un’emozione:
1.
Sono geneticamente predisposti (innati) e
selezionati per il loro valore adattativo
2.
Sono organizzati per rispondere in modo
automatico agli stimoli salienti
3.
Modificano i comportamenti, attivando o
inibendo programmi motori, i pattern biochimici, l’attivazione fisiologica.
4.
Influenzano anche i sistemi sensoriali
5.
Interagiscono con i sistemi cognitivi
6.
Sono implicati nei circuiti alla base
dell’esperienza soggettiva cosciente
Secondo il Modello del sistema emozionale unico da
un unico centro sottocorticale per tutte le emozioni si passerebbe a un
circuito sottocorticale composto da diverse aree interconnesse per
l’elaborazione di tutti i processi emozionali. In realtà le
emozioni non sono solo sottocorticali e l’Emisfero sinistro sarebbe quello
maggiormente collegato alle emozioni positive, quello destro alle emozioni
negative
Inoltre, la
teoria del “cervello trino” di Mc Lean del 1970 composto da cervello emotivo (
sistema limbico), cervello razionale ( neocorteccia), cervello rettiliano ( tronco
encefalico, gangli della base), non solo sarebbe ancora valida, ma spiegherebbe
anche molti aspetti connessi alla Sessualità. E, dunque, anche alla Felicità.
.
Infine (perché no?)…Annusare la Felicità
Le
persone sarebbero in grado di comunicare la Felicità agli altri attraverso la
loro traspirazione.
Uno
studio condotto dal Prof. Gün Semin, psicologo
presso l’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, e pubblicato sulla rivista Psychological Science di quest’anno,
ha messo in evidenza che alcuni composti chimici “felici” contenuti
nel sudore, possono essere rilevati dagli altri, mentre studi precedenti
avevano dimostrato che siamo in grado di annusare e percepire la paura e il
disgusto tramite il sudore.
Lo studio ha osservato un mutamento delle espressioni
del volto dei soggetti che sono stati sottoposti: quando le donne ( che,
notoriamente, hanno un olfatto più sviluppato degli uomini), annusavano
del ‘sudore felice’, i muscoli della loro faccia si spostavano per
indicare un sorriso.
Dunque potremo anche
percepire e comunicare la Felicità sudando.
E ciò potrebbe essere
messo in “comune” con gli altri, contagiando la Felicità.
Anna Maria Pacilli
ANNA MARIA PACILLI
Curriculum vitae et
studiorum
Nata a San Severo (FG), il 30/01/65, ha compiuto nella stessa città gli studi classici.
Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università “G.
D’Annunzio” di Chieti, ha discusso con il Prof. Filippo M. Ferro la tesi dal
titolo: La psicoterapia di gruppo nell’età dell’adolescenza.
Specializzata in Psichiatria presso la Scuola di
Specializzazione dell’Università di Chieti, discutendo la tesi dal titolo:” Il
dialogo interrotto tra Mente e Corpo. Le disfunzioni sessuali di origine
psicogena: aspetti eziopatogenetici, psicopatologici e prospettive terapeutiche
di uno studio inter-regionale Abruzzo-Puglia”.
Dal 2003 è Dirigente Medico presso il Dipartimento di
Salute Mentale di Cuneo, referente per il Centro di Salute Mentale di Boves. Dal
2008 l’attività clinica si è ampliata con la cura dei Disturbi del
Comportamento Alimentare, presso la sede di Cuneo.
E’ membro della SIP (Società Italiana di Psichiatria),
della FISS (Società Italiana di Sessuologia Scientifica), della AISPA
(Associazione Italiana Sessuologia Psicologia Applicata) e della ASST
(Associazione Italiana Scuola Sessuologia Torino).
Ha partecipato e tuttora partecipa, in qualità di
discente e docente, a Corsi e Congressi di Psichiatria.
Ha frequentato “con profitto” il Corso di
Perfezionamento sui Disturbi del comportamento alimentare presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
Ha frequentato “con profitto” il Corso di
Perfezionamento in: Psicologia e Psicopatologia in adolescenza presso
l’Università di Chieti, presentando una tesi dal titolo: I Disturbi
del Comportamento Alimentare, aspetti eziopatogenetici, psicopatologici,
clinici e prospettive terapeutiche.
Ha frequentato il Master di primo livello in
“Criminologia”, con una tesi finale dal titolo “Psicopatologia delle madri
omicide”.
Ha ultimato il Master biennale in Consulenza sessuale
presso la sede di Torino ed ha ultimato il Perfezionamento in Sessuologia
Clinica presso la sede di Milano.
Dal 1998 collabora con la Scuola di Specializzazione in
Urologia di Chieti, diretta dal Prof. Raffaele L. Tenaglia, per la valutazione
testologica e il trattamento psicoterapeutico e psicofarmacologico di pazienti
affetti da Disfunzione Erettile su base psicogena.
Per lo stesso lavoro di ricerca scientifica è, altresì,
in collaborazione con l’Ambulatorio di Andrologia, Azienda Mista Università di
Foggia.
Ha svolto attività seminariali presso il Corso di Laurea
in Medicina e Chirurgia, partecipando agli esami di profitto per la disciplina
di Psichiatria in qualità di componente la commissione (Tutor e Cultore della
materia), ed inoltre ha collaborato alla programmazione ed allo svolgimento di
ricerche promosse dalla Cattedra.
Nell’attività di Perito ha svolto perizie per conto del
Tribunale di L’Aquila e di avvocati della provincia di Chieti ed ora per il
Tribunale di Cuneo.
Nell’attività di Docenza ha svolto e sta svolgendo
didattica per i seguenti corsi:
1.D.U. di Dietologia e Dietetica applicata, insegnamento di
Psicopatologia Alimentare
2.Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva,
insegnamento di Psicologia Medica
3.Scuola di Specializzazione in Pediatria, insegnamento di
Psicologia dell’età evolutiva
4.Scuola di Specializzazione in Fisiatria
5.Corso di Laurea in Scienze Sociali della Facoltà di Lettere
6.Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva,
nell’ambito dell’ insegnamento di Psicologia Medica
7.Corso di Laurea in Psicologia, nell’ambito dell’insegnamento di
Neuropsichiatria Infantile
8.Diploma Universitario di Scienze dell’Educazione
9.Diploma Universitario di Scienze Infermieristiche.
E’ autrice di più di novanta pubblicazioni scientifiche
su riviste nazionali ed internazionali, comunicazioni congressuali e alcuni
capitoli di libri :
1. La Sindrome del Burn–out e gli operatori
sanitari: una revisione(con Grimaldi M.R., di Giannantonio M.) in:
La Sindrome del burn-out, di F. Pellegrino, Centro Scientifico Editore, Torino 2000.
2. Le Disfunzioni sessuali: inquadramento diagnostico, valutazione e comparazione di due campioni di soggetti in uno studio inter- regionale (con di Giannantonio M., Ferro F.M.) in: Gestire la crisi emotiva. Una guida pratica per il medico di Famiglia di Pellegrino F, Mediserve Edizioni, 2003, Casoria (NA)
3. L’alimentazione come arte terapeutica: percorsi storici in:
Alimentazione e sistemi di cultura correlati, a cura di A. Cicchitti e C.Cotellessa, Casa Editrice Tabula-Fati, Lanciano, 2007
4. Pierced, tatuati e alimentazione: una possibile correlazione in un’esperienza clinica, in: Psicopatologie emergenti di Pellegrino F, Mediserve s.r.l., 2007 Milano
5. I disturbi dell’alimentazione tra psichiatria e medicina: uno sguardo clinico, in:
Disturbi Psichici e Patologie Fisiche di Pellegrino F, Mediserve s.r.l., 2007 Milano
6. Volume monotematico unico autore: L’Ansia nascosta. Ansia, Disturbi del Sonno e Patologie Geriatriche. Carocci editore, 2011 Roma.
La Sindrome del burn-out, di F. Pellegrino, Centro Scientifico Editore, Torino 2000.
2. Le Disfunzioni sessuali: inquadramento diagnostico, valutazione e comparazione di due campioni di soggetti in uno studio inter- regionale (con di Giannantonio M., Ferro F.M.) in: Gestire la crisi emotiva. Una guida pratica per il medico di Famiglia di Pellegrino F, Mediserve Edizioni, 2003, Casoria (NA)
3. L’alimentazione come arte terapeutica: percorsi storici in:
Alimentazione e sistemi di cultura correlati, a cura di A. Cicchitti e C.Cotellessa, Casa Editrice Tabula-Fati, Lanciano, 2007
4. Pierced, tatuati e alimentazione: una possibile correlazione in un’esperienza clinica, in: Psicopatologie emergenti di Pellegrino F, Mediserve s.r.l., 2007 Milano
5. I disturbi dell’alimentazione tra psichiatria e medicina: uno sguardo clinico, in:
Disturbi Psichici e Patologie Fisiche di Pellegrino F, Mediserve s.r.l., 2007 Milano
6. Volume monotematico unico autore: L’Ansia nascosta. Ansia, Disturbi del Sonno e Patologie Geriatriche. Carocci editore, 2011 Roma.
Una dissertazione sobria e accattivante , profonda ed esaustiva , ricca di citazioni e approfondimenti che rendono la lettura di notevole interesse culturale sotto varie angolature. Il tragitto segnato dalla collega ha valore conoscitivo estremamente lucido e proficuo. La ricerca della felicità purtroppo rimane audace desiderio degli umani , e la si rincorre ad ogni sospiro, tra le ansie di Eros , che la trattiene con luminosità. Antonio Spagnuolo ( http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com ) -
RispondiEliminaDesidero anzitutto ringraziare il Prof. Pardini per questa bella e prestigiosa opportunità. Per avermi permesso di essere qui, di poter esprimere i miei pensieri e le mie riflessioni, che spesso si allontanano ( ma non molto) dal mio lavoro di psichiatra-psicoterapeuta. Riflessioni che, già vedo, accolte e commentate da autorevoli pensatori. Questa per me è già "felicità" , "audace desiderio degli umani", come riflette Antonio Spagnuolo. Ecco, il tema dell'audacia, è interessante pensare come possiamo considerarla un sentimento che presupponga coraggio, rincorsa, timori. E invece, come, a volte, sia qui, più vicina di quanto pensiamo, quasi accanto a noi e che possa bastare allungare una mano e sfiorarla, per trarne forza.
EliminaUn discorso esauriente, molto ben argomentato quello di Anna Maria Pacilli per considerare cos'è e da che cosa può dipendere la felicità. Ci sono molte congetture, rispettabili punti di vista scientifici e filosofici su cui riflettere.
RispondiEliminaPer me la felicità è rappresentata da un subitaneo senso di soddisfacimento, di pienezza, Vale l'istante in cui si ottiene, e/o si prova una forte piacevole emozione, un non so che di desiderato, di super gradito. Esempio: ad uno come me che tende a considerare spesso il domani in modo inquietante; ecco, se si presenta qualcosa, al limite donato anche dall'esterno, che può dare speranza al futuro, allora si prova un senso dolce di benessere e chiedo cortesemente alla Pacilli se è corretto identificarlo con la felicità.
Sarebbe stato per me molto più semplice fare riferimento alla “Felicità come Amore”, per l'evidente nesso che corre tra i due sentimenti, ma come accade spesso negli ultimi tempi mi sono complicato la vita.
Ubaldo de Robertis
Carissimo Ubaldo, tutti prima o poi ci complichiamo la vita ( se non sono altri a complicarcela...). Il benessere, credo, sia uno stato molto più pacato della felicità, ma, forse per questo, se ne esistano i presupposti, anche più duraturo. L'esistere bene ( ben-essere) può derivare, come ritiene Ubaldo, da un dono esterno, che si intreccia con il nostro bene interiore, arricchendolo. O da noi stessi, che impariamo a trarre gioia dal bene esterno. La felicità, per sua natura caduca e transeunte, ci sorprende, ci illumina, rischiara i nostri momenti (più o meno lunghi) di buio interiore, ma per sua natura caduca e transeunte, la paragonerei più allo scoppio di fuochi d'artificio, che ad un faro sicuro nella nebbia.
EliminaVasto panorama interdisciplinare, percorso in lungo e in largo. Una molteplice interazione di punti di vista intorno al fenomeno della felicità e le sue radici nascoste e, forse, indicibili, non riducibili a contenuti convenzionali, massificati a scopo di controllo sociale e induzione a consumi vari. La felicità è quella di ogni-uno ed è, al di là del vissuto immediato di situazioni quotidiane positive, uno stato della coscienza.
RispondiEliminaIl termine "felix" riporta a "felis", e forse ad una assunzione simbolica del carattere felino. Ma sì, giochiamo con le parole.. Il felino preda ma non è predato, e sa cogliere l'istante in cui tutto il suo si decide. "Carpe diem", cogliere l'attimo fuggente in cui la verità dell'essere viene allo scoperto, un sentimento fulmineo di pienezza interiore che può essere erroneamente associato ad eventi abituali che la ripetitività fissa nei circuiti neuronali e rende così esclusivi di tutto ciò che da essi esula. Forse la felicità è l'istante di follia che ci sorprende aprendo un varco nello spazio chiuso dell'ormai maniacale circuito quotidiano - oppure la certezza che tale sconvolgimento passi lontano da noi. Oppure?
Vito Lolli
Interessantissime riflessioni...mi soffermerei sulla Follia che diventa quasi Felicità e libera dagli affanni, come voleva Erasmo da Rotterdam
EliminaSplendida la disamina della Dottoressa Anna Maria Pacilli sul senso della felicità. Ci illustra la possibile fonte di questo sentimento che rappresenta l'apice dell'umana ambizione e ci coinvolge in una serie di ipotetici sentieri per arrivare a sperimentare lo stato di felicità.
RispondiEliminaPer quanto mi riguarda coltivo una tesi alquanto bislacca, quella della doppia felicità. Da passionaria della vita mi sono convinta che esiste la possibilità di sperimentare la 'felicità facile', ovvero quella che ci consente di sperimentare emozioni purissime e uniche e 'la felicità difficile', relativa ai momenti di dolore, che rappresentano una sorta di stanza d'accesso alla gioia. Soffrire può divenire il metro di misura per valutare esattamente la gioia. Dovendo sposare una corrente mi attrae l'epicureismo, secondo cui il la felicità é il fine e il principio di una vita beata, l'obiettivo verso cui ogni individuo orienta la propria azione. Epicuro distingue tra il piacere effimero , con il quale identifica la gioia e quello stabile, definito, per via negativa, assenza di dolore. Il secondo fine, a mio umile avviso non si identifica con il lampo abbagliante della felicità, ma come l'obiettivo del saggio. Non appoggio Epicuro quando sostiene la necessità del 'razionalismo etico, ossia di un sapiente controllo sulle emozioni, perché mi sembra che attui un calcolo della felicità. E se esiste un sentimento scevro da calcoli é proprio la felicità. Grazie per avermi fatto riflettere su questi principi... Un caro saluto a tutti!
Maria Rizii
Ringrazio sentitamente la dott.ssa Rizzi per le belle parole dedicatemi ma soprattutto per avermi fatto riflettere sulla "doppia" felicità...è proprio vero che i cassetti della mente e del cuore ci rimangono per lo più inesplorati.
EliminaPenso che la felicità sia uno stato soggettivo, il quale dipenda molto dal vissuto personale. Dalla quantità delle volte in cui il termometro individuale abbia toccato e oltrepassato la soglia del dolore. In questo momento, all’età di 65 anni, io, posso affermare: intanto, che la serenità sia l’anticamera della felicità, che per il suo raggiungimento, sia opportuno aver maturato un discreto equilibrio. E che essa sia l’elemento indispensabile per affrontare e superare nei limiti del possibile, gli ostacoli onnipresenti nel nostro percorso.
RispondiEliminaE che il nostro incontro con la felicità avvenga proprio nello spazio temporale, che intercorre, tra un ostacolo e l’altro.
Una pausa, un momento di respiro, in cui, superata l’angoscia, ha inizio la fase del “sentire.”
Quella fase preziosa in cui riusciamo a mettere in moto tutti i sensi
e “sdraiandoci sulla schiena del mondo” ci apriamo ad esso.
Pronti ad essere inondati da questo breve ma intenso flusso benefico che ci ritempra e ci ricarica.
Mi complimento con l’autrice Pacilli per questo interessante ed esauriente saggio.
Serenella Manichetti.
Grazie dott.ssa Menichetti. Imparare a "sentire" non è così scontato, come evidenzia Lei, ma spesso lo si acquisisce con l'esperienza
EliminaAnna Maria Pacilli ci fornisce uno stimolante e ricco riepilogo delle principali correnti di pensiero che si sono interessate della "felicità" nel corso della storia dell'uomo, e lo fa riportando con acribia e levità di scrittura le voci più significative che se ne sono occupate a livello letterario e filosofico, antropologico e psicologico, psicoanalitico e scientifico, mostrando una competenza davvero sorprendente. Il suo non vuole essere tuttavia un arido elenco e percepisco gradevolmente l'intento di favorire una linea di pensiero costante: quella che identifica la felicità con l'amore e l'amore con un progetto, con una ricerca, con una sfida, se vogliamo, che punta alla pienezza facendosi carico della limitatezza, della mancanza, dell'insoddisfazione. Si potrebbero e dovrebbero dire molte cose sull'amore, a partire dalla considerazione che esso è innanzitutto "amore di se stessi": la "filautia" degli antichi filosofi (che non è l'amor proprio dell'egoismo), confermata dal detto evangelico: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Ha ragione Lévi Strauss a sostenere che l'amore è equilibrio. Esso è felicità, ma al tempo stesso sacrificio, sofferenza. Le due cose non sono mai scindibili tra di loro, mentre la storia della civiltà, vuoi nei suoi aspetti materialistici vuoi nei suoi aspetti ascetici, non ha fatto altro che costruire artifici e tecniche per tentare di sfuggire al dolore. Sta qui l'uscita dall'Eden, in questa discriminazione tra il Bene ed il Male che invece sono e dovrebbero restare strettamente uniti tra di loro. Ricordo di avere letto e presentato molti anni fa un libro che mi impressionò tantissimo del Senatore Antonio Bolettieri: "La felicità assente", edito da Armando nel '95. Scopo del libro - uso le parole dell'autore - era "di riportare dall'inconscio alla luce della coscienza una legge della natura umana provvidenzialmente equitativa, tale da produrre nel tempo un perfetto equilibrio tra il sentimento della felicità e il sentimento dell'infelicità". Il Bene ed il Male sorgono dal medesimo ceppo. Unica è la radice del tormento e del gaudio. Il bimbo che nasce urla di gioia e di dolore. Ringrazio Anna Maria Pacilli per queste benefiche riflessioni.
RispondiEliminaFranco Campergiani
Ringrazio il dott. Campergiani. è assolutamente così: gioia e dolore hanno radici uniche: anche anatomicamente le fibre nervose che li trasportano sono le stesse. Quella che varia è la nostra soggettività del percepito e l'intensità della sensazione stessa
EliminaUn apprezzabile lavoro compilativo-divulgativo di introduzione al tema, affrontato sia sul versante filosofico-letterario che su quello neurofisiologico.
RispondiEliminaUn ottimo punto di partenza per dialogare sull'argomento.
Complimento alla dottoressa Pacilli.
Luciano Domenighini
Grazie di cuore.
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