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venerdì 9 ottobre 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "ECHI E SUSSURRI" DI G. BUSCA GERNETTI




Giorgina Busca Gernetti: Echi e sussurri. Edizioni Polistampa. Firenze. 2015. Pgg. 120. € 10,00




Il respiro e il silenzio della notte
pervadono il mio animo,
m’inebriano di musica celeste
ignota alla mia mente, ormai lontana
dall’assordante musica terrena. (Il respiro e il silenzio).


Iniziare da questi versi significa andare a fondo da subito nell’arte poetica di Giorgina Busca Gernetti: inquietudine, meditazioni educate dai silenzi, rapporto con il tempo, misura del terreno, invocazioni alla sera, vacillare nei dubbi, interrogativi sulla sorte, solitudini, pietre tombali dell’uomo sofferente ed incompreso. Un excursus che  dalle dolci illusioni foscoliane si dilata fino alla poetica negativa degli Ossi di seppia montaliani; che si lega alla più  feconda tradizione nostrana dove stilemi, zeppi di insoluzioni su questioni terrene e metafisiche, fanno della natura un corpo simbolico di una concatenazione di stati d’animo di carattere olistico; universale:

(…)
Scendi serena, ombra della sera;
restami accanto nel mio meditare
sulla mia sorte, nel vagar sull’orme
che vanno al nulla eterno. (Alla sera).



Poesia tonica, generosa, ampia; poesia che scava e che con azzardi iperbolici e potenza iconica ascende a mondi lontani, verso l’alto per sottrarsi alla materialità del quotidiano; a mondi che sanno di classicità rivissuta o di riposante rêverie.  Giorgina Busca Gernetti è adusa ad un verseggiare complesso ed armonico dove l’endecasillabo, potenziato da rattenute di settenari o di versi di misura minore, dà voce alla pluralità ontologica  della sua interiorità. Un verseggiare che, da vera cascata musicale, abbraccia intenti epigrammatici profondi e polimorfici; un mondo fatto di azzardi verso l’oltre; verso un’aria dove la sonorità euritmica del canto e il repêchage di odissaici ritorni, possano alleviare le inquietudini di una vicenda di dissonanze che il vivere, con tutta la sua portata, crea in noi piccoli mortali incapaci di un viaggio vòlto a completarci. Sì, si possono sfiorare le soglie del tutto, ma solo sfiorare, dacché il nostro essere, impastato di terrena fragilità, non ci permette di allungare il tiro fino all’eccelso:

(…)
L’animo fragile nel buio,
nella penombra del solstizio
d’inverno, vacilla nel dubbio
della sua luce. (Solstizio d’inverno).

           Ed è così che si soffre del nostro stato; si soffre del fatto di esistere in frammenti di cielo; e il mondo che ci circonda è foriero di sottrazioni impensabili, di volti e azioni che noi pensavamo eterni. E’ allora che si ricorre al memoriale che, solo, ci può rinfrancare col suo potere rievocativo:

La stretta del tuo braccio
sulla mia spalla che forse tremava
calore e protezione
infondeva in una fragile foglia
travolta dalla furia
impetuosa del vento che rapina. (Ieri).

Ci creiamo una vita fittizia dove sbocciano fiori di cristallo, prati di giada o tramonti di pesca a rinvigorire l’onirico; anche se tutto ciò crea una saudade ed una melanconia di sperdimento esistenziale; un senso ancora più netto del nostro breve soggiorno, a renderci coscienti della rapacità del tempo:

(…)
I granelli di sabbia non si fermano.
Non c’è parola magica
per interrompere quel flusso tragico
della vita che fugge inesorabile
verso un baratro oscuro, un nero abisso.

Abisso che sprofonda in un abisso. (La clessidra).

Tutto questo nella massiccia opera in cui la Nostra fa un resoconto della suo esistere culturale e umano.  Una robusta e meditata immissione di sapore odeporico e riposante; una arrampicata  verso le vette della classicità; andata e ritorno;  volo verso tempi, autori, ambienti, e misure che del classicismo rispecchiano momenti di alta poesia; e ritorno ad un quotidiano arricchito del sapore della sera; sta qui la ricchezza del poema della Gernetti; nel suo viaggio terreno, mai pleonastico né parenetico; spontaneo e equilibrato sorretto dalla plasticità di un verbo disposto a concretizzare tanto sentire, dacché il retroterra culturale dell’Autrice si fa motore di arte e vis creativa, lei laureata in lettera classiche, e innovatrice di soluzioni linguistiche, scarti semantici, e atmosfere che ricordano  Il canto di Orfeo, Il canto nell’Erebo, l’Acropoli d’Atene o la rocca di Corinto:

Bianche rovine giacciono silenti
nel vetusto sacerrimo santuario
d’Eléusi misteriosa nei suoi riti
per Demétra, gran madre della terra
bionda di grano,rossa di papaveri
sbocciati in primavera, quando torna
dall’Ade oscuro e lugubre Perséfone
(…) (Eléusi candida e silente). 

 Con ciò non vogliamo assolutamente dire che in queste pagine si ripete pedissequamente l’anima di quella grande storia di cui, fra l’altro, tutto l’occidente e non solo è debitore. Anzi la Poetessa porta in sé un substrato storico-vicissitudinale che, formatosi in giovanili tempi, e rinvigorito continuamente da una fervida passione per una poesia esistenziale sorretta da argini di robusta tenuta, si fa chiara corrispondenza della sua filosofia; di una cultura che lievitata in un animo ricco di terriccio fertile, si affaccia rifiorita, con luce propria, con nuova vitalità; condita ora di saudade, ora di memoriale, ora di cospirazioni paniche, ora di un certo pessimismo sulla rapacità di Thanatos (… Resta una via soltanto, senza amore/ né luce: muti scendere nel gorgo) diviene portatrice di una poetica nuova, intensa, vitale, moderna e di polivalente significanza; di versi che agguantano il nostro spirito e ci rendono felici:   

Echi da Lesbo

                     a Saffo dalle trecce viola

Ecco nel prato le viole che parlano:
dolci parole sono per gli amanti.

Cogli l’aulente anéto
o l’apio verdeggiante sul pendìo;
intreccia una corona
con timide violette.

Nell’armoniosa brezza
si fondono gli aromi dolce-acuti:
profumo di parole
nel dialogo d’amore
(…)

Nazario  Pardini








3 commenti:

  1. Sono commossa di fronte a una lettura così profonda ed empatica del mio tormentato libro "Echi e sussurri".
    Infinite grazie, grande Nazario Pardini!
    Giorgina

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  2. I versi di Georgina Busca Gernetti, come ben evidenzia Nazario Pardini, agguantano il nostro spirito. Sentiamo dentro prodursi il riverbero anche delle cose che appaiono balenanti, o che sono nascoste nelle più riposte pieghe dell'animo.
    “L’animo fragile nel buio, /nella penombra del solstizio
    d’inverno, vacilla nel dubbio/ della sua luce.
    Complimenti.

    Ubaldo de Robertis

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    1. Gentilissimo Ubaldo De Robertis,
      il tuo commento è prezioso poiché mi conferma che ho saputo esprimere nei miei versi ciò che avevo nell'animo e nella mente. Raggiungere l'animo del lettore è una grandissima soddisfazione per chi scrive poesie.
      Grazie infinite
      Giorgina Busca Gernetti

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