Facevo gli aquiloni a
primavera,
(…)
Vestivano veline colorate
sottili come l’aria e
trasparenti,
(…)
Tre splendidi aquiloni, a
primavera,
vanno nell’ampio cielo
veleggiando.
Non vista, resto in basso, qui
a guardare
e il cuore prende il volo,
dietro a loro. (I miei aquiloni) .
Poesia
fluida, gentile, il cui ritmo, di eufonica armonia, accompagna con visiva
icasticità gli abbrivi vitali. Sì, la vita in tutta la sua problematica vicenda
fatta di solitudine, pensamenti, sogni, saudade, memoriale, e volo; volo verso
l’alto, verso l’azzurro, con la leggerezza di un aquilone sorretto dal refolo
della primavera. Mi piace iniziare questa mia esegesi dalla citazione testuale.
Perché vi sono già presenti gli elementi costitutivi che segnano il marchio di
fabbrica della poetica di Elena Malta: spicca, fin da subito, l’umano impulso a
sottrarsi alle aporie del contingente; alla materialità precaria e futile che
ci tiene; al condizionamento del giorno che fugge. Tentare tali azzardi oltre
l’orizzonte che circoscrive e limita il nostro essere, farsi ala leggera per
trasferire il cuore sulla rotta degli aquiloni significa per Elena varcare le
inquietudini del quotidiano. E sa, la Nostra, quanto sia difficile, per non
dire impossibile, per noi umani traversare quei confini, dato che, in quanto
tali, guardiamo l’orizzonte con una fitta miopia, impotente di fronte ai grandi
spazi. Tutt’al più possiamo stare là, da parte, in un angolino, a meravigliarci
delle giravolte di due stecche alate, che tanto simboleggiano le nostre aspirazioni
alla libertà, all’apertura. D’altronde lo stesso Pascal riconosceva questa
posizione scomoda dell’uomo di fronte al tutto, definendola “un milieu entre
rien e tout”. Da ciò deriva il tormento, la insoddisfazione, il nostro malum
vitae, in quanto esseri pensanti e coscienti della nostra fragilità; esseri
unici, consapevoli della sorte dell’iter intrapreso; e per questo bramosi di tornare
all’eccelso delle radici, di toccare il cielo con un’anima che tenda a
svincolarsi dalla palude. Un odeporico intendimento, quindi; da nostos e
nostoi; da viandanti di ritorno, che, dopo un lungo tragitto, incontrano colori
di un tramonto color pesca. Il tema del viaggio, del redde rationem costituisce
il cuore di tanta poesia antica e contemporanea; d’altronde è estremamente
facile identificarlo con le tappe della vita; come in questa silloge che fa del
titolo Lungo questo fiume un simbolo
quanto mai appropriato e quanto mai simbolico della nostra vicissitudine
terrena e non solo. Come è tanto facile, d’altronde, smarrirsi in questa
ricerca di ontologica valenza; perdere la nostra identità come la perde il
fiume nella secca, o immergendosi nell’immensità di un piano senza fine:
…
Ha perso adesso l’acqua di portata,
così asciugata e tutta
riassorbita…
Ma
l’erba riesce a sopravvivere, verdeggiante, e tanto sa di speranza in questo
letto secco e ciottoloso:
… Ma
l’erba si mantiene a verdeggiare,
ancora le radici hanno vene
da cui pescare umidi sentori,
ancora i fiori si aprono ai
colori
e vestono sorrisi sotto il
sole,…
Un
senso di sperdimento coglie, infine, la Poetessa: mentre prima c’erano esseri a
spegnere l’arsura, ora tace il bel rumore delle acque; ed è facile annullarsi
lungo le sponde “ se non ci sverseremo come vene/ di liquida sostanza che
alimenta,/ ricrea nuovamente un po’ di vita/…/ un polo di richiamo, una
radura,/ per noi, cavalli bradi alla sorgente”.
Una
silloge piena, matura, fortemente intimistica, che sa tradurre il corpo degli
input emotivi in realtà fenomeniche; in una natura dai molteplici aspetti che
si fanno corrispondenza paradigmatica degli stati d’animo dell’Autrice; e il
tutto si dipana su uno spartito musicalmente audace, dove l’endecasillabo, con
la sua sonorità, accompagna l’opulenza verbale e iconografica delle immagini. Comunque
un andare vario e articolato, fatto di diverse misure metriche a seconda dei
sobbalzi epigrammatici della vicenda: settenari quando si vuole trasmettere la
spigliatezza di un’azione; come ne La partita dove “… il battitore è Vita
/…/ ricevo delle carte/ dispari e disparate/…/ Ed è sempre la Vita/ che vince
la partita.” novenari, versi di un’unica parola, quinari, alternati a
quaternari o ottonari in una poesia libera da costrizioni stilistiche dedicata
alla madre:
Alla tua morte,
madre, anch’io
come morta me ne andai
vagando senza perno…
(Madre, anch’io),
dove
un patema di forte esistenzialità tende a trasferirsi in urgente liricità; in
un realismo affettivo che non di rado si traduce in sassi dilavati, in memorie
svanite, in terra bagnata, in gocce nel vento, nel mare, in rivoli di pianto:
E gocce un lungo giorno
piovve dentro quell’altro,
e poi nell’altro ancora,
a rivoli di pianto,
ad annacquare al cuore
i sogni, ad uno ad uno,
a svellere memorie
di fiori ed erbe nuove,
lasciando bene in vista
i sassi dilavati
aguzzi e inariditi
spezzati, sotto il sole. (E
piovve un giorno).
Sembra
che, al fin fine, siano i sogni ad essere annacquati dalla vita; ma che in
qualche maniera, intervengano le scintille di aromatica legna a richiamare
antiche memorie; antichi incontri a galleggiare Lungo questo fiume:
Adorno i miei giorni d’inverno
(…)
di pane tostato alle braci
nel mio focolare di pietra
che brucia aromatica legna
di pino, di olivo e di quercia
e stilla preziose scintille:
essenze di antiche memorie.
(Giorni d’inverno).
Una
metaforicità di resa poematica scorre per tutta la silloge dando configurazione
significante all’opera che sottintende nel suo substrato un sentimento di vaga
melanconia; una riflessione sul gioco casuale della sorte, foriera di
solitudine:
(…)
E se c’è vento buono a mio
favore
o tramontana fredda e
spaccature,
non è per volontà, ma è puro
caso.
Ognuno è solo in mezzo alla
sua strada. (Dopo sere di buio).
Un
memoriale che si fa terriccio fertile per cromatici fiori di canto. Un ritorno
alla casa; a un un’alcova riposante; disposta ad aprire bei sorrisi su ogni
volto:
(…)
Nei semplici bicchieri da
cucina
Brillava trasparente e rosso
il vino,
sangue e sudore d’uomo, dal
mattino,
lodando il sole, chino sulla
terra,
sorsi di cuore forte e
generoso,
amari solo un po’, per dare forza
e dolci fino a svellere la
scorza
e aprire bei sorrisi su ogni
volto. (Nella cantina mi piaceva stare).
O
a inquietarci, una volta tornato alla luce, con patema di sottrazioni
incolmabili:
(…)
I passi
di mio padre
sono il vuoto
che piango
nel freddo
i mondi
che non ho
esplorato
l’assenza
che mai nessuno
ha colmato.
(Passi nel freddo).
E
quale metafora più appropriata dell’autunno, e delle sue foglie rubino ci può
dare l’idea della vita che scorre e che, inesorabilmente, volge alla foce come
l’acqua del fiume al suo mare:
(…)
Sembrava che bastasse una
bevuta
o queste mani a trattener le
lame.
Di foglie morte la mia strada
è piena. (Di foglie morte).
Un
concatenarsi di quadri e di cornici che confluiscono in versi amabili e
sonoramente convincenti; una confessione amara, sì, amara sulla vita e i suoi
intricati meandri; ma anche un profondo affetto per essa e per tutto ciò che ci
offre o che ci ha offerto, visto che proprio da ciò che più amiamo scaturiscono
rimpianti e risentimenti:
(…)
Così
sola
da sola
danzo
negli infranti
luminosi
frammenti
di un sogno.
(Attimi di luce).
Nazario
Pardini
Ringrazio l'Immenso Nazario per l'esegesi dell'Opera della nostra amica e consigliera Iplac Elena Malta. Questa Silloge é stata presentata all'Isola del Cinema e all'Enoteca di via Quattro Fontane, insieme alla Raccolta di racconti della carissima Valeria Bellobono.
RispondiEliminaIl Professore ha individuato gli aspetti vitali e vitalistici delle liriche che compongono "Lungo questo fiume". Un ponte tra l'uomo e la natura vissuta come madre -benigna e amata in tutte le sue molteplici forme. Mi preme dire che la Raccolta di poesie di Elena é stata tra le tre vincitrici della Golden Selection organizzata dall'Associazione Pegasus di Roberto Sarra.
E credo sia un autentico dono ascoltare l'autrice mentre declama i suoi versi. E' danza... lungo le anse del fiume dell'esistenza, danza di dolcezza piena, assoluta, che coinvolge e travolge. Una poetessa di rara maestria, ispirata come poche...
Maria Rizzi
Carissimo Prof. Nazario Pardini,un abbraccio di profonda e artistica empatia ricevo dalla sua preziosa recensione alla mia raccolta di versi "Lungo Questo Fiume"; sono onoratissima di avere avuto il suo sguardo così ravvicinato e disponibile a seguire quegli attimi di luce,
RispondiEliminacome scie nel cielo estivo delle Pleiadi. La sua paziente cura delle voci contemporanee, che si 'sversano' nel contesto culturale del nostro tempo, non è attenzione di poco conto; è un atteggiamento di grande forza, come fu il gesto di chi si chinò sulla polvere, ne impastò fra le sue dita e capì che essa poteva assumere una forma ed esistere per sé. A lei un immenso grazie, lungo ...questo fiume. Elena