Antonio Spagnuolo |
Antonio
Spagnuolo: Ultimo Tocco. Puntoacapo
Editrice. Pasturana (AL). 2015. Pgg. 78. € 12,00
Ho paura del rosso che alle
ciglia
racconta confusioni del
passato.
Ho paura del silenzio notturno
che avvolge le coperte e mi
annoda.
(…)
Ho paura perché rimango solo
verso la morte.
(XV).
Sta
qui la vicenda dolorosa del Poeta. In questi versi che ritrattano a tinte forti,
con potenza linguistica, l’ontologica vicissitudine di un canzoniere dedicato
alla moglie scomparsa. E confessare la solitudine, lo sperdimento, la
malinconia, la saudade, il ricordo di giorni felici, non è certo semplice, senza
cadere nel sentimentalismo, dacché lo stesso memoriale non fa che potenziare
quegli stati d’animo; non fa altro che creare un mondo fittizio dove le
immagini appaiono e fuggono; si assottigliano o si presentano con tale labilità
da dirci con chiarezza quanto la vita, al fin fine, giochi a suo piacimento sui
nostri sentimenti più forti. E qui si tratta di un amore senza fine, di un
amore che coinvolge, con tutta la sua sacertà, il fatto di esistere e di non
esistere, di esser-ci e di sparire. E il Poeta lo esprime senza mai cadere nel tramaglio della usualità; nella trappola dei luoghi comuni. A volte il memoriale serve da rifugio, da
alcova rigenerante dove potersi sottrarre alle menomazioni di una realtà
impietosa. Ed è così che non di rado nella poesia si ripescano colli
verdeggianti, primavere di luce, soli cadenti, tramonti di pèsca, sentieri
nascosti dove abbiamo fatto incontri indimenticabili e duraturi. E ritornare a
quelle immagini che hanno resistito alla rapacità del tempo; covare nell’animo
storie che hanno fecondato cromatici abbrivi, significa quasi rivivere; ridare
luce a impennate emotive atte a prolungare una vicenda; significa tenere con
noi fatti e volti, abbracci e baci, corpi e labbra, zeppi di realtà fittizia,
ma generosa di emozioni; capace di lenire patemi esistenziali con la sua coinvolgente
icasticità. Ciò che in questi versi non si avvera. Il ricordo per Spagnuolo è
motivo di sofferenza, di insostituibile mancanza, di tormento indicibile che lo
avvolge e lo addolora in ogni attimo del giorno, attanagliandolo nella paura di
rimaner solo verso la morte. Ultimo tocco,
il titolo della plaquette. Tocco che nel suo più pieno significato etimologico
significa vicinanza, significa affidare alle mani la soluzione di brame
d’amore, di desideri di fuoco; toccare significa: palpare, sentire, sfiorare,
premere… Ciò che è un afflato spirituale; ciò che è un abbrivo di netta valenza
epigrammatica si traduce sovente in un bisogno di carnalità; di erotica valenza
che ancora di più ci dice di ultimazione, di “ultimo tocco”:
(…)
Stranito in pause che non
fanno storia
sprofondo in sopraccigli
alla scommessa del sesso
dissociando l’ennesima
ischemia. (C).
Nemmeno
si può dire che Spagnuolo vada in cerca di un qualche rimedio al suo malum; ad
un visionario mondo di escatologica natura, dove poter incontrare il suo eterno
amore. No! Il Poeta vive la sua vicenda con paradigmatica soluzione; tutto è
terreno; tutto è spietatamente finibile; ultimabile e risolutivo in questo
nostro spazio ristretto di un soggiorno. Senza rimedi. Ed è così che il suo
malessere si accentua e lo chiude in un ambito prettamente umano: “Ripeto in un
accordo/ le tue parole prima di dissolvermi”. (F). Due i sottotitoli del testo:
uno, eponimo del titolo, di undici componimenti contrassegnati ognuno da una
lettera dell’alfabeto; l’altro di 47 da
numeri romani. L’opera, complessa e articolata, denota un linguaggio aduso alla
meditazione e ad una cultura ampia, frutto di conoscenza e di studio. Un
linguaggio che con un disarmante nitore concretizza i molteplici e polivalenti
stati d’animo non di rado dai risvolti di drammatica soluzione. Aiuta il tutto
una metaforicità di grande impatto visivo che spesso si fa vera e propria
allegoria. Ma al Poeta piace anche confessare in prima persona il suo
angosciante disagio esistenziale.
Mi hai abbandonato!
Nel letto che la morte ti ha
concesso
il tuo nudo è di marmo rosato,
ed il tempo sembra
interrompere
vibrazioni di luce già tradita…
(XLVII).
Nazario
Pardini
Una recensione attenta che introduce la lettura di un delicato tocco poetico. Buona lettura. Chiara .
RispondiEliminaE' inutile, la critica di Nazario Pardini da qualsiasi parte la si vuole intendere, qualsiasi chiave di lettura vi si voglia dare, è straordinariamente competente e disciplinata da un'attenta analisi dei contenuti, da una interpretazione sintattica e antitopeica di rara essenzialità critica. La ricerca avviene al presente, non va ricercata in prossimità o nei dintorni preposti alla verifica: l'apofonia è una sua rara virtù, una sua eccellente e significante rappresentazione sègnica. Complimenti all'autore per aver prodotto un tale piccolo gioiello, ma altrettanti vadano al critico che ne ha saputo in modo superbo intuire emozioni e commozioni, in assonanze e derivazioni sorprendenti.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
Grazie a Chiara e a Ninnj,
RispondiEliminaper la loro generosità, per la loro vicinanza emotiva e risolutiva...
Nazario
Mi unisco al coro, non per piaggeria, ma per constatazione effettiva di un dato di fatto. Le meravigliose poesie sono donate a noi lettori con il corredo dei lemmi di un critico letterario, che va oltre il proprio ruolo. Sente la sofferenza, la nostalgica malinconia, l'esigenza del Poeta di vivere il proprio malum con razionale lucidità e con la convinzione che non esistano rimedi per le perdite subite. Il caro Nazario si spinge nel territorio dell'intima condivisione, della pietas, intesa come 'compassione' nel senso letterale del termine.
RispondiEliminaPagina che ci concede di vivere due doni e di riflettere su entrambi. Grazie al Professor Spagnuolo e al nostro Nazario, traghettatore magnifico!
Maria Rizzi
Grazie all'infaticabile Maria, sempre presente e profonda nei suoi interventi.
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