Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade |
Pablo Atchugarry ai Mercati di Trajano (fino al 9 febbraio)
Ho
avuto la fortuna di incontrare Pablo Atchugarry, tra i più importanti scultori
contemporanei, e di ammirare le sue opere, esposte al museo dei Mercati di
Trajano a Roma.
Pablo
è un omone affabile e semplice che ti mette subito a tuo agio, e in mezz’ora di
libera conversazione ha espresso, con estrema semplicità, alcuni concetti, che
poi sono pilastri della sua vita. La semplicità, si sa, solo i Maestri possono
permettersela. Questi concetti sono diventati per me i temi conduttori della
mostra. Pablo li ha riassunti più o meno così: esporre qui esprime continuità
tra la storia e l’oggi; vivere come su di un ponte, un po’ qui e un po’ lì (mi
ricorda i versi di Facundo Cabral “no soy de aquì ni soy de allà”); nella vita bisogna
avere un sogno.
Lo
incontrerò di nuovo a febbraio per una intervista, forse anche per un brindisi,
e avrò modo di parlare con lui più a lungo, ma già da ora mi sento di delineare
alcune caratteristiche della poetica della sua opera.
Bene,
iniziamo e… come potrei esprimermi se non per metafore? Sarò chiaro, non mi
interessa cercare spiegazioni per le forme di queste sculture, non mi interessa
esprimere giudizi estetici citando filosofi e saggisti, questo lavoro lo lascio
ai critici. Per me l’arte non chiede spiegazioni e non può essere razionale,
perché se ne limiterebbe il senso. Quindi affronto una sfida: descrivere la
sensazione trasmessa da queste splendide sculture.
Immaginate
un libro antico e prezioso che si apre appena, le pagine esterne saranno più
aperte delle altre che, invece, pudiche, rimarranno vicine, come a proteggersi
dall’indiscrezione del lettore che, intimidito dal linguaggio della carta (in
questo caso del marmo), fissa l’istante e riconosce al libro, o alla parola, la
sua dignità: se chiuso non rivela alcun segreto, se aperto a metà si dà alla
luce, ma è solo quando lo si inizia ad aprire dalla copertina, solo quando si
lasciano le pagine libere dal loro peso che la luce può illuminarle tutte. Ecco
il punto: il segreto rimane segreto, non può essere svelato a chi non è pronto
a leggere la verità che nasconde. La luce può illuminare quel segreto per
intero se si lascia libero il libro, ma l’uomo non riuscirà a capirne il senso
se non diventerà luce egli stesso.
Le
forme slanciate, che tendono verso l’alto, richiamano il grido della roccia che
si ribella alla violenza del martello. Eppure si lascia addomesticare, e da
quella roccia, prima riassunta in un blocco insignificante, sorge la parola in
essa racchiusa, sorge in un grido che si apre a ventaglio, o si chiude in una
cuspide. Dal basso verso l’alto, sembra dire, o anche da dentro verso fuori. Il
dentro però rimane tale, senza raggiungere forme razionali, perché se sogno era
prima, sogno deve rimanere sempre, in quanto la natura di ciò che ci anima non
sarà mai contaminata da ciò che ci muove.
Il
gioco della luce e dell’ombra sulle superfici marmoree si traduce in poesia. La
luce viaggia spedita nel suo percorrere il cielo, e non c’è alleato migliore
per queste sculture che il sole novembrino di metà mattinata. Lui sì, il sole,
sa dove posarsi per rendere servizio all’arte. La bellezza della pietra, che in
certi punti appare trasparente, dialoga con il sole, si lascia accarezzare e il
gesto delicato del raggio luminoso trova il suo trampolino di lancio nel gesto
dell’artista che si è interposto tra i due con saggia precisione.
La
continuità tra storia e presente, tra arte antica e arte contemporanea, è uno
degli elementi fondanti di questa mostra, e i mercati di Trajano ben si
prestano ad accogliere queste sculture, ma in realtà la continuità non la dà la
mostra, ma la coscienza dell’artista di appartenere a questo flusso continuo di
tempo e di eventi che, come lava incandescente che si raffredda all’aria, da
liquido denso si solidifica per diventare storia. Pablo è parte della storia.
La storia non si è mai interrotta e continua a porci il suo messaggio di insistente
attualità grazie a chi cattura le mutazioni del suo linguaggio, e le esprime.
Così il presente accoglie il passato e si tramuta in un fiore che si apre a
ventaglio, unendo gli estremi di una vita e urlando, dolcemente, il suo canto
di materia e terra.
Pablo
Atchugarry vive da 35 anni in Italia, a Lecco, ma è nato a Montevideo (Uruguay).
Di proposito non ho scritto “è di Montevideo”, perché lui vive su di un ponte,
tra due culture. Infatti non ha mai abbandonato il suo Paese natale, dove ha
una fondazione che dà spazio ad artisti emergenti, ma non abbandona mai neanche
l’Italia. Ciò che mi ha colpito di questo breve incontro, è stata la serenità
che emana dai suoi movimenti e dal suo parlare quieto, la grazia del suo
respiro. Uomo di grande spessore, artista che si esprime in un linguaggio
attuale, e instancabile, inguaribile sognatore. Senza il sogno non si va da
nessuna parte, dice Pablo, e mi unisco a questo proclama ringraziandolo per
questo bellissimo momento, una pausa tra il suo vivere “un po’ qui e un po’
lì”.
"Dal basso verso l'alto... o anche da dentro verso fuori". Bella e centrata questa definizione che Fiorentini offre di Pablo Atchugarry, scultore uruguayano trapiantato in Italia. Sorprendente questa visione cosmica, per il suo farsi "ponte" tra tempi e luoghi diversi, tra l'interno e l'esterno, tra le altezze e le profondità. Affascina questo enorme fiore marmoreo, che rappresenta la totalità del creato, pronto ad aprirsi alla vita, esplodendo verso l'alto, verso il sole e la luce, verso l'immensità.
RispondiEliminaFranco Campegiani