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mercoledì 18 novembre 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "TESSERE ALLA DERIVA" DI MICHELE BATTAGLINO



Michele Battaglino: Tessere alla deriva. Genesi Editrice. Torino. 2015: Pg. 96



Una plaquette di grande impatto emotivo-esistenziale questa di Michele Battaglino, editata per i caratteri di Genesi Editrice e con prefazione di Sandro Gros Pietro. Tessere alla deriva, il titolo, distribuito in tre sezioni: Partenze e ritorni, Sillogismi, Haiku. E a finire una poesia di grande rilevanza simbolica sull’essere e l’esistere dal titolo quanto mai paradigmatico: Nel tempo dell’attesa. Non è difficile penetrare fin da subito in quella che è la poetica dell’Autore; il suo sentimento, la sua verità, il suo rapporto con il mondo, la sua meditazione sull’esser-ci e sulle questioni di un reale che ci plasma e ci condiziona a suo piacimento; su un andamento sociale per niente giusto di cui si rammarica, e si inasprisce. D’altronde non fa altro che tuffarsi nelle cose della vita, da osservatore, da Poeta, da buon artigiano che taglia, intaglia, pialla, e incide; e lo fa cercando il verbo giusto, la metafora adeguata, e tutti quei congegni stilistici che sono nutrimento del canto. Per Lui è la parola che conta; è essa che fa da impastatrice di tutte le sensazioni che ci vengono dall’esterno; e che scatenano il nostro pathos. Non esiste ispirazione divina, né musa che detti suoni e nessi, poemi e versi immutabili, e definitivi. Sta qui il compito che l’Autore sente suo: nella ricerca verbale, stilistica atta a concretizzare le emozioni del momento; e ancora  meglio quelle che derivano da una macerazione di fatti rimasti a lungo nell’animo a riposare. Si parla di immagini; e grande è la differenza tra immagine e realtà. Quest’ultima ha  bisogno di restare in una  morbida alcova a macerare per tradursi in nutrimento del bel canto: “... Il distintivo del genio è la memoria universale… L’inconscio è il tempo… La memoria rende atemporali le esperienze. Se non esistesse l’atemporale, non ci sarebbe alcuna intuizione del tempo” (Weininger). Sì, la memoria con tutto il suo potere evocativo, con tutta la sua energia vitale. E’ essa l’unico mezzo per vincere la morte. Ed il Poeta la cerca con l’intenzione di prolungare la vita, di riportare a galla quelle radici in cui presente passato e futuro si embricano in un tutt’uno per la resa del poièin. C’è la vita, insomma, con ogni suo spigolo, con ogni suo abbrivo: sogno, saudade, panismo esistenziale, coscienza del tempo, odeporico slancio verso orizzonti che superino le ristrettezze del vivere, quelle di una realtà contingente, di un minimalismo precario, di cui Battaglino, giocando le sue carte, fa un  trampolino di lancio per allungare sguardi oltre la siepe; verso mari che annullino orizzonti; che spalanchino aperture vaste e infinite che tanto sanno di aspirazione umana. D’altronde è proprio il mare a farsi simbolo di un’avventura verso porti indefinibili e indefiniti: burrasche, scogli, rotte di difficile comprensione che rendono arduo il viaggio  per cui non di rado solo al ritorno si scopre che il vero tesoro di cui andavamo in cerca si trova nelle nostre radici, anche se il tempo sfoltisce, impietosamente, l’albero delle sue foglie, la casa dei suoi abitanti:

L’albero perde foglie
inarrestato
             come
capelli intristiti e grigi.
Nel mare dell’essere
ogni nostra vita è vapore
che
apparisce appena e si dilegua (Nel mare dell’essere).

Una vera contrapposizione fra tutto e niente dove il Poeta si sente granello inesistente nei confronti del mare dell’essere, della totalità dell’universo che continua la sua strada imperscrutabile per noi mortali:

Anche gli angeli
                    staccata la spina
per protesta sono andati via
e ora siamo zattere abbandonate
tra flutti e vortici minacciosi (Spes ultima dea).

Tanti tasselli, tante occasioni di riflessione, di meditazione, tante di illusioni e delusioni, e tanti ripensamenti, in questo cammino fatto di stazioni. E il Nostro ce li racconta con un linguismo intenso ed esteso, aduso ad una cultura classica di alta levatura, ma non per questo inattuale; in uno stile sciolto e fluido, fuori da ogni epigonismo, dove le immagini appaiono chiare e distinte; dove la natura, coi suoi iconici ausilî, si fa traduttrice di input emotivo-intellettivi; rivelatrice di squarci preziosi di vissuto: “L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”, come affermava Ubert Reeves. Sono lembi di terra con bagagli di preziose radici, profumi di primavere di paesi appiccicati all’anima, di borghi aggrappati ai monti, di boschi e piane a perdita d’occhio a ri-svegliare nel Poeta un sentimento di dolore e di rancore per i novelli spregiudicati invasori che ne strappano le viscere:

(…)
-se la terra tramandata dai padri
con colline ondulate di vento
borghi aggrappati ai monti
boschi e piane a perdita d’occhio
difendi a denti stretti
da novelli spregiudicati invasori
che ne strappano le viscere
e ne deturpano il volto
(…)
allora sì che ti benedico.

Benedetto sii mio Sud
benedetto
 per sempre benedetto! (Mio Sud).

Amara invettiva nel ricordo di una malaterra, di cui Battaglino porta in cuore profumo di zagare.
Non meno hanno influenza sul canto dell’Autore le contrapposizioni ossimoriche fra luce e buio, fra rien e tout, fra l’Ulisse e i Nessuno, fra Eros e Thanatos che, facendosi simbiotica fusione esistenziale, offrono motivo di proficuo lirismo ontologico:

(…)
Ora è un gelido
fortunale imprevisto sbucato
dal nulla che schianta
questi alberi barcollanti.
Arriva la notte col nero
lenzuolo a coprire i festosi colori
i suoni i sapori dell’aria (Troppo flebile la speranza).

Dove ancora la natura fa da supporto, con i suoi simboli, al fatto di essere umani; al fatto che la vita è il tempo prestato dalla morte in questo viaggio in cui le stesse memorie sono divorate dall’oblio:

Scricchiolano al calpestio
le foglie secche della memoria
che seleziona e spazza via
inesorabile
e il vento le ghermisce e le disperde (Le foglie secche della memoria).

Tutto è in mano a un tempo inesorabile e implacabile;  tutto divora dandoci contezza del nostro esistere:

La traversata, che segna la nostra
esistenza e pare un’eternità,
è solo un battito d’ali
un granellino invisibile perso
nella sabbia del Tempo (Finito e infinito).

Un epigrammatico, e intenso cammino che il Poeta percorre cosciente della sua breve vicenda; ma pur provando ad ogni passo questo senso di umana sottrazione, sa sperare, fortemente sperare, in un futuro che squarcerà le tenebre:

Dalle tenebre ci salverà la mente
capace di dare senso      
e rigenerare la fredda e bruta
quotidianità che ci schiaccia.
Scintillante di luci variegate
e popolato di anime calde           
apparirà il mondo (Se no c’è luce).

Nell’ultima sezione di Haiku: schizzi di cielo, lastre di mare, fascio di luci, pavoni in festa, quaderni fioriti di luci e vita. Il trionfo di una natura loquace e  generosa.


Nazario Pardini 

1 commento:

  1. Flash sulle poesie di Michele Battaglino


    Michele Battaglino, poeta, narratore e saggista, è un cultore esigente della parola. Il linguaggio della sua poesia è accurato, incisivo, sempre attento al ritmo e alla musicalità. Impregnato di profonda cultura classica e in possesso di una forte coscienza critica, egli riesce a leggere con gli occhi della mente il mondo circostante (ambienti naturali, uomini, oggetti) e a scrutarne anche l’oltre, l’invisibile, seguendo il richiamo che viene dal di dentro. I suoi versi poggiano solidamente sulla realtà, su «un reale che ci plasma e ci condiziona a suo piacimento» e «su un andamento sociale per niente giusto di cui [il poeta] si rammarica, e si inasprisce», come ha osservato bene Nazario Pardini. Da qui gli slanci (è ancora il commento del Pardini) «verso orizzonti che superino le ristrettezze del vivere».
    Battaglino, nonostante le numerose raccolte di poesie pubblicate (oltre ai racconti, a un romanzo e a diversi saggi storici e critici) è uno scrittore schivo, che non ama invadere la scena e, pertanto, non si dimena (al contrario di tanti altri) per vedere affermata la propria scrittura. Nella validità artistica delle sue opere bisogna credere sinceramente. E io ci credo.

    Ubaldo de Robertis

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