Michele Battaglino: Tessere alla deriva. Genesi Editrice. Torino. 2015: Pg. 96
Una plaquette di grande
impatto emotivo-esistenziale questa di Michele Battaglino, editata per i
caratteri di Genesi Editrice e con prefazione di Sandro Gros Pietro. Tessere alla deriva, il titolo,
distribuito in tre sezioni: Partenze e
ritorni, Sillogismi, Haiku. E a finire una poesia di grande rilevanza
simbolica sull’essere e l’esistere dal titolo quanto mai paradigmatico: Nel tempo dell’attesa. Non è difficile penetrare
fin da subito in quella che è la poetica dell’Autore; il suo sentimento, la sua
verità, il suo rapporto con il mondo, la sua meditazione sull’esser-ci e sulle
questioni di un reale che ci plasma e ci condiziona a suo piacimento; su un
andamento sociale per niente giusto di cui si rammarica, e si inasprisce.
D’altronde non fa altro che tuffarsi nelle cose della vita, da osservatore, da
Poeta, da buon artigiano che taglia, intaglia, pialla, e incide; e lo fa
cercando il verbo giusto, la metafora adeguata, e tutti quei congegni
stilistici che sono nutrimento del canto. Per Lui è la parola che conta; è essa
che fa da impastatrice di tutte le sensazioni che ci vengono dall’esterno; e
che scatenano il nostro pathos. Non esiste ispirazione divina, né musa che detti
suoni e nessi, poemi e versi immutabili, e definitivi. Sta qui il compito che
l’Autore sente suo: nella ricerca verbale, stilistica atta a concretizzare le
emozioni del momento; e ancora meglio
quelle che derivano da una macerazione di fatti rimasti a lungo nell’animo a
riposare. Si parla di immagini; e grande è la differenza tra immagine e realtà.
Quest’ultima ha bisogno di restare in
una morbida alcova a macerare per tradursi
in nutrimento del bel canto: “... Il distintivo del genio è la memoria
universale… L’inconscio è il tempo… La memoria rende atemporali le esperienze.
Se non esistesse l’atemporale, non ci sarebbe alcuna intuizione del tempo”
(Weininger). Sì, la memoria con tutto il suo potere
evocativo, con tutta la sua energia vitale. E’ essa l’unico mezzo per vincere
la morte. Ed il Poeta la cerca con l’intenzione di prolungare la vita, di
riportare a galla quelle radici in cui presente passato e futuro si embricano in
un tutt’uno per la resa del poièin. C’è la vita, insomma, con ogni suo spigolo,
con ogni suo abbrivo: sogno, saudade, panismo esistenziale, coscienza del
tempo, odeporico slancio verso orizzonti che superino le ristrettezze del
vivere, quelle di una realtà contingente, di un minimalismo precario, di cui Battaglino,
giocando le sue carte, fa un trampolino
di lancio per allungare sguardi oltre la siepe; verso mari che annullino
orizzonti; che spalanchino aperture vaste e infinite che tanto sanno di
aspirazione umana. D’altronde è proprio il mare a farsi simbolo di un’avventura
verso porti indefinibili e indefiniti: burrasche, scogli, rotte di difficile
comprensione che rendono arduo il viaggio per cui non di rado solo al ritorno si scopre che
il vero tesoro di cui andavamo in cerca si trova nelle nostre radici, anche se
il tempo sfoltisce, impietosamente, l’albero delle sue foglie, la casa dei suoi
abitanti:
L’albero perde foglie
inarrestato
come
capelli intristiti e grigi.
Nel mare dell’essere
ogni nostra vita è vapore
che
apparisce appena e si dilegua (Nel mare
dell’essere).
Una vera contrapposizione fra tutto e niente
dove il Poeta si sente granello inesistente nei confronti del mare dell’essere,
della totalità dell’universo che continua la sua strada imperscrutabile per noi
mortali:
Anche gli angeli
staccata
la spina
per protesta sono andati via
e ora siamo zattere abbandonate
tra flutti e vortici minacciosi (Spes ultima
dea).
Tanti tasselli, tante occasioni di riflessione,
di meditazione, tante di illusioni e delusioni, e tanti ripensamenti, in questo
cammino fatto di stazioni. E il Nostro ce li racconta con un linguismo intenso
ed esteso, aduso ad una cultura classica di alta levatura, ma non per questo
inattuale; in uno stile sciolto e fluido, fuori da ogni epigonismo, dove le
immagini appaiono chiare e distinte; dove la natura, coi suoi iconici ausilî,
si fa traduttrice di input emotivo-intellettivi; rivelatrice di squarci preziosi
di vissuto: “L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una
Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel
Dio che sta venerando”, come affermava Ubert Reeves. Sono lembi di terra con
bagagli di preziose radici, profumi di primavere di paesi appiccicati
all’anima, di borghi aggrappati ai monti, di boschi e piane a perdita d’occhio
a ri-svegliare nel Poeta un sentimento di dolore e di rancore per i novelli
spregiudicati invasori che ne strappano le viscere:
(…)
-se la terra tramandata dai
padri
con colline ondulate di vento
borghi aggrappati ai monti
boschi e piane a perdita d’occhio
difendi a denti stretti
da novelli spregiudicati invasori
che ne strappano le viscere
e ne deturpano il volto
(…)
allora sì che ti benedico.
Benedetto sii mio Sud
benedetto
per sempre benedetto! (Mio
Sud).
Amara invettiva nel ricordo di una
malaterra, di cui Battaglino porta in cuore profumo di zagare.
Non meno hanno influenza sul
canto dell’Autore le contrapposizioni ossimoriche fra luce e buio, fra rien e
tout, fra l’Ulisse e i Nessuno, fra Eros e Thanatos che, facendosi simbiotica
fusione esistenziale, offrono motivo di proficuo lirismo ontologico:
(…)
Ora è un gelido
fortunale imprevisto sbucato
dal nulla che schianta
questi alberi barcollanti.
Arriva la notte col nero
lenzuolo a coprire i festosi colori
i suoni i sapori dell’aria (Troppo
flebile la speranza).
Dove ancora la natura fa da
supporto, con i suoi simboli, al fatto di essere umani; al fatto che la vita è
il tempo prestato dalla morte in questo viaggio in cui le stesse memorie sono
divorate dall’oblio:
Scricchiolano al calpestio
le foglie secche della memoria
che seleziona e spazza via
inesorabile
e il vento le ghermisce e le disperde (Le foglie
secche della memoria).
Tutto è in mano a un tempo
inesorabile e implacabile; tutto divora
dandoci contezza del nostro esistere:
La traversata, che segna la nostra
esistenza e pare un’eternità,
è solo un battito d’ali
un granellino invisibile perso
nella sabbia del Tempo (Finito e
infinito).
Un epigrammatico, e intenso
cammino che il Poeta percorre cosciente della sua breve vicenda; ma pur
provando ad ogni passo questo senso di umana sottrazione, sa sperare,
fortemente sperare, in un futuro che squarcerà le tenebre:
Dalle tenebre ci salverà la mente
capace di dare senso
e rigenerare la fredda e bruta
quotidianità che ci schiaccia.
Scintillante di luci variegate
e popolato di anime calde
apparirà il mondo (Se no c’è
luce).
Nell’ultima
sezione di Haiku: schizzi di cielo, lastre di mare, fascio di luci, pavoni in
festa, quaderni fioriti di luci e vita. Il trionfo di una natura loquace e generosa.
Nazario
Pardini
Flash sulle poesie di Michele Battaglino
RispondiEliminaMichele Battaglino, poeta, narratore e saggista, è un cultore esigente della parola. Il linguaggio della sua poesia è accurato, incisivo, sempre attento al ritmo e alla musicalità. Impregnato di profonda cultura classica e in possesso di una forte coscienza critica, egli riesce a leggere con gli occhi della mente il mondo circostante (ambienti naturali, uomini, oggetti) e a scrutarne anche l’oltre, l’invisibile, seguendo il richiamo che viene dal di dentro. I suoi versi poggiano solidamente sulla realtà, su «un reale che ci plasma e ci condiziona a suo piacimento» e «su un andamento sociale per niente giusto di cui [il poeta] si rammarica, e si inasprisce», come ha osservato bene Nazario Pardini. Da qui gli slanci (è ancora il commento del Pardini) «verso orizzonti che superino le ristrettezze del vivere».
Battaglino, nonostante le numerose raccolte di poesie pubblicate (oltre ai racconti, a un romanzo e a diversi saggi storici e critici) è uno scrittore schivo, che non ama invadere la scena e, pertanto, non si dimena (al contrario di tanti altri) per vedere affermata la propria scrittura. Nella validità artistica delle sue opere bisogna credere sinceramente. E io ci credo.
Ubaldo de Robertis