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sabato 2 gennaio 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "IL SUONO DELLE ORE" DI ANNA MAGNAVACCA



Anna Magnavacca: Il suono delle ore. Edizioni Helicon. Arezzo. 2015. Pgg. 108


Rivoli di neve ultima
all’Appennino
e gemma il poggio
fra rosse case
in questo giorno di nuda luce.
Cerchio d’azzurro l’orizzonte,
il cielo tocca dei ciliegi
i germogli
e delle siepi il verde canto
(…). (Un giorno di primavera).

Il suono delle ore il titolo di questa nuova opera di Anna Magnavacca editata per i caratteri di Edizioni Helicon. Ventidue componimenti suddivisi in tre sezioni: l’eponimo, Il tempo del cuore e Il diario del dolore. Una Antologia di grande espansione ontologica in cui il verso, con eufonica armonia, tratteggia abbrivi emotivi,  meditazioni, e pennellate cromatiche di una storia dai lineamenti plurimi, polivalenti, e umanamente significanti. Armonia, sincronismo, panismo esistenziale, realtà, rêverie, coscienza del dove e del quando a rendere inquieta una vicenda. La traduzione in spagnolo per mano della magistrale penna di Silvia Magnavacca, docente di Storia della Filosofia Medioevale all’Università di Bueon Aires, ne amplifica la morbidezza; rende ancora più contaminante la sonorità di questo poema. Una puntualità decorativa, un occhio attento ad ogni input naturistico, un affollamento di colori e geometrie, un trionfo di spazi ampi in cui i rivoli di neve, il poggio, le rosse case, la nuda luce, il cielo, i ciliegi, i germogli, e “delle siepi il verde canto” ci danno, da subito, l’idea dell’importanza che ha nella Nostra la ricerca di sé, della sua intimità, del suo pathos, attraverso un gioco di ossimorica valenza, di forte intimità vicissitudinale, di visive cromie oggettivanti. Ed è così che alla bellezza, allo splendore, alla stagione della giovinezza si contrappone: “Mi guardano le cose intorno/ indifferenti e sole,/ non sorridono più./ Appoggio il mio cuore/ sull’orlo di una pietra”, “Apoyo  mi corazòn/ sobre el borde de una piedra”. Questa confessione in parallelo con una simbologia di memoria  leopardiana, la metaforicità espansa in sinestetici accorgimenti stilistici, e gli epigrammatici allunghi esistenziali, fanno del canto un prodromico avvio alla lettura dell’opera. E d’altronde quale stagione migliore della primavera per richiamare a memoria immagini, sentimenti, fatti di luminosi meriggi, o di rubicondi tramonti di tempi passati. E l’ora passa, vola indifferente al nostro esistere,  ai dolori che provoca con  sottrazioni indicibili.  E’ là la nostra storia con tutto il suo percorso a volte triste e inquietante in un confronto spesso impietoso con il presente. Ma la Nostra lo fa con uno spessore verbale e lirico tale da far confluire la sua anima in un fiume dagli argini robusti; ed evita così ogni esondazione sentimentale, ora ricorrendo ad allodole, a pigolanti nidi, a fuochi di papaveri per porsi questioni vitali; ora a foglie d’autunno che leggere si posano sul selciato per concretizzare la brevità dei giorni; ora a passi di un tango d’altri tempi, dacché “… è antico anche l’ultimo giorno dell’anno”. Ma il tempus fugit, e i silenzi accumulati dentro noi non fanno dimenticare vecchie voci:

Non è vero.
Il tempo sorveglia
la stanza del mio silenzio,    
mi fa credere
di essersi dimenticato di me
e poi lavora nei rifugi segreti
del mio cuore.
Mi plasma a modo suo,
tiene sotto chiave i miei silenzi,
se qualcuno osa forzare
la serratura (Dicono che…).

Dopo la  lettura di questo organico intreccio emotivo; dopo aver percorso la storia di tanto intenso e travagliato viaggio, quello che resta è un senso di calda saudade che fa da sottofondo al dipanarsi della melodia; un filo di melanconica tessitura che inanella perle in una collana sapida di mare, di cielo, di verde, di orizzonti; che parla di vita, di scoperta, di profumi d’erba che tanto sanno di primavera e di luce, di un settembre che non si dimentica e a cui la nostra è vincolata:

Io sono la giornata settembrina
che non si dimentica
 quando l’aria profuma d’erba
(…) (Io sono…).

E anche se trapela al fin fine, proprio dai vortici dei ricordi, un profondo attaccamento a questa avventura, tuttavia quello che risuona, al termine, è un grido all’ultima gelida stella del cielo:

Dall’anima un grido
che sale all’indifferenza
dell’ultima gelida stella (Vortici).


Nazario Pardini   

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