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giovedì 11 febbraio 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "ELEGIA PER LORCA" DI LORENZO SPURIO

Lorenzo Spurio
ELEGIA PER LORCA




                                         “ELEGIA PER LORCA”
DI LORENZO SPURIO

PREFAZIONE DI NAZARIO PARDINI


Non so perché ancora parli.
C’è un vento freddo che in questi giorni fa cadere impietosamente le foglie del fico nel mio piccolo giardino. Alcune cadono scomposte ma lievi, altre quasi sbattute con caparbietà in qualche angolo del muretto che lo cinge. C’è in me un fremito di dispiacere in questo lento spogliarsi dell’albero che fino a poco fa era rigoglioso e grondava di frutti così ricchi.
Le foglie che cadono non sono neppure gialle o arricciate.
Non sono come quelle dell’ippocastano, ammorbate dall’ittero…”

Non è sicuramente difficile, trattandosi di un’opera  monotematica, cadere nel rischio  della ripetitività verbale o contenutistica, dacché la poesia chiede e pretende libertà e fa di questo valore il cardine primo della sua entità etica ed estetica. Ogni argomento è sicuramente buono per il canto, ammesso, però, che venga filtrato dall’anima; venga macerato da un  sentire complesso e articolato, semplice e generoso. Ma qui  nessuna costrizione, nessun adattamento, considerando che l’autore ha fatto suo il tema, se ne è impossessato  anima e corpo, riuscendo, così, a trasferirlo dal soggettivo all’oggettivo; dal singolare al plurale; lasciandolo a decantare nella sua interiorità, per tramutarlo in immagine poeticamente matura per un verso completo, per una forma che dica di equilibrio fra sentimento e costrutto. E iniziare da questa pagina, inserita dall’autore come momento incipitario dell’opera, significa andare da subito a fondo alle questioni che motivano le composizioni del poema. Un incontro tra Lorenzo Spurio e Garcia Lorca. O meglio tra la vèrve creativa dell’Autore e la via crucis dello spagnolo (il mistero della sepoltura, la morte violenta per mano di nazionalisti, la ricerca della libertà in un frangente storico tragico come quello della guerra civile). Già in questa lettera e nel prosieguo del poema non è difficile rimarcare le caratteristiche fondamentali che accomunano i due scrittori: il panismo esistenziale, lo scialo di descrizioni che concretizzano stati d’animo e pensieri, la coscienza del tempo e della fugacità del vivere; la valenza umana per una missione civile; e la ricerca attenta e puntuale del verbo in vista di una cifra letteraria asso-consonantica, figurata, comunicativa e multicorde; e soprattutto un amore viscerale per la vita, per il suo percorso tanto problematico quanto fortemente amato.  Undici composizioni che con un climax ascensionale si concludono con la ingiusta quanto tragica uccisione di uno dei maggiori poeti della seconda metà dell’altro secolo che ha avuto un ruolo determinante nella scena socioculturale e artistica dell’epoca: Il Romancero gitano, il Canciones, l’elemento folcloristico e la suggestiva e tipica decorazione di gitani, tori, chitarre e inferriate, dove il valore impersonale del romance, la vecchia forma di ballata narrativa medioevale, usata ancora oggi dal popolo spagnolo, hanno offerto a Lorca la base sonora e formale per il suo Romancero e non solo. Ed è proprio nelle Canciones più che nel Romancero gitano la vena di maggiore allegria e di maggiore umore: ne fanno testo la Giostra o la canzone dedicata A Irene, donna di servizio, dove incontriamo il magico e misterioso arbolé, vecchio tema ronsardiano dell’invito a godere della giovinezza e della primavera: “Nel boschetto/ i pioppi ballano – l’uno con l’altro./ e l’arbolé – con le sue quattro fogliette/ balla anche lui – Irene!”.  Ballate, reminiscenze di feste e musiche popolari, armonie, giochi di scarti semantici e callidae iuncturae, testimonianze consonantiche di vita e poesia, amore per la propria terra, e per tutto ciò che la distingue. Troppo lungo sarebbe il discorso sulle genialità stilistica, filologica, e poetica di Francisco Garcia Lorca. Ma quello che a noi interessa è, soprattutto, il distendersi dello spartito poematico di Lorenzo Spurio; il suo Elegia per Lorca; il verseggiare ampio e denso, polivalente e ontologicamente vicino a un impegno civile e letterario, ricco di sinestetici allunghi e di cospirazioni iconiche. Undici ampie composizioni che seguono con plurale partecipazione una vicenda triste e dolorosa, alimentata da primavere e rocce, da Sierre e nuvole, da quadri sapidi di panismo empatico dell’andaluso; dei paesaggi che tanto amò e di cui tanto ci ha detto nelle opere:             

(…)
Osservavi la Sierra che buca le nuvole
o componevi melodie con foglie e formiche?
Suona pure coll’aria che noi respiriamo!

La storia si fermò senza dilungamenti
quella dei libri è stantia e deforme.
La roccia scheggiata è primavera di lutto,
tu che mostri la faccia della Spagna. (La luna si nasconde).

Una vera compenetrazione fra tragedia, sole e stelle; fra il vociare di maldestri assassini e il disseccarsi dell’acqua putrida dei pozzi:

(…)
Quando cadesti, il sole non mutò piglio:
solo il vociare sommesso di maldestri assassini,
la polvere densa delle buche scavate
che il plotone-fantaccio sentenziò.


Nel fragore secco e assordante del piombo
ti sollevasti non visto fra un pianto di stelle.
L’acqua putrida dei pozzi si disseccò.
Sul volto un sorriso di gigli freschi. (Il bivio di campagna).

Tutto l’intorno partecipa al dolore: le piante ammutoliscono; i rami impongono il silenzio; le rane vagano stordite:

(…)
Le piante quel giorno hanno smesso di parlare:
gli acuminati rami superbi imposero il silenzio
e da allora le rane vagano stordite e deluse
carche di disprezzo per la vita che urge(Nella roccia vescovile).

Un parenetico invito al ricordo, a non dimenticare; al rimando perenne di valori e virtù;  a messaggi di libertà in memorie di sapienti; in calli e città di bianco verniciate: 
Morto è solo chi si dimentica e scompare
come una cicogna nera nella notte petrolio
ma tu ancor vaghi in memorie di sapienti e
in calli strette delle città di bianco verniciate,
tu che perfori il tempo immortale, giovane e bello.
Alza per noi le rocce a scovar gli scorpioni e
fa che la luna rinnovi il solletico della mente! (L’odore dei tuoi colori).

Il poema procede, passo passo, con gli scarti emotivi dell’Autore che in uno spartito di simbiotica fusione fra subbugli epigrammatici e vita spezzata di uno spirito ribelle e libero, sanno mondi di soprusi di cui bene ci disse Picasso nel suo Guernica.  E il tutto si snoda con intrusione coinvolgente e verticalmente graffiante:  

da
“La luna si nasconde”

a
“Nella roccia vescovile”
momento in cui Lorca viene portato nel vecchio palazzo del vescovo Moscoso y Peralta;

da
“Tagliami l’ombra”
dalla poesia “Canción del naranjo seco”;

a
“C’era Amnon”,
ispirata alla poesia “Tamay Amnon” inserita in Romancero Gitano che tratta della vicenda amara di Amnon;

da
“Non lontano dal limoneto”
che fa riferimento al mistero della  sepoltura,

per chiudersi con una arrampicata finale a vette di partecipato lirismo:

cercatemi là, non lontano dal limoneto nauseante
dove sosto ad abbeverarmi del nettare acido
per tornare a vagare nei dintorni confusi
e abitare smanioso ogni luogo del campo

È qui che il Nostro, con soluzioni linguistiche di rara potenza iconica, offre la netta visione di uno dei sentimenti più nobili e umani di Federico: l’attaccamento alla vita e alla propria terra, a “ogni luogo del campo”. Una affezione che Spurio ha sentita talmente sua da farne il punto luce di tutta la raccolta: il vagare e un visionario abitare; il compimento di un iter vissuto, incamerato e tradotto in struggente valenza realistico-emotiva.
  
Nazario Pardini



Saluto ad un amico
(Il mio giardino autunnale)


Non so perché ancora parli.
C’è un vento freddo che in questi giorni fa cadere impietosamente le foglie del fico nel mio piccolo giardino. Alcune cadono scomposte ma lievi, altre quasi sbattute con caparbietà in qualche angolo del muretto che lo cinge. C’è in me un fremito di dispiacere in questo lento spogliarsi dell’albero che fino a poco fa era rigoglioso e grondava di frutti così ricchi.
Le foglie che cadono non sono neppure gialle o arricciate.
Non sono come quelle dell’ippocastano, ammorbate dall’ittero.
Quelle del fico sono piuttosto verdi anche se delle macchie strane forse dovrebbero ricordarmi che questa è la stagione più normale nella quale possono cadere.
Non lontano dal fico ci sono alcune piante di erbe aromatiche. Non tutte soffrono il freddo, anzi, qualcuna,  come la santolina e il timo, sembra ancor più orgogliosa.
È qualcosa di istintivo, forse maniacale, accarezzarle fugacemente di tanto in tanto, quando passo di lì.
Allineate come sono,  sembrano impegnate a parlare tra loro.
Mi dispiaccio sempre dopo averle scosse seppur con un tocco pacato, immaginando di averle disturbate o addirittura innervosite, stropicciandone incautamente la chioma.
Quando rientro in casa, però, godo di quella pacificante assuefazione olfattiva annusando le punte delle dita dove si concentrano gli odori netti e magici di quelle erbe.
Lievemente, proprio come il tocco della pianta, le loro essenze si attenuano fino a svanire.
Non mi domando dove sei dopo gli ottanta inverni che da allora hanno girato.
Non mi appartiene la presunzione che è di tanti di dare al reale ciò che ha perso sostanza.
So però che l’anima di un’esistenza tanto rara e inestimabile come la tua non si annulla col tempo.
Non degrada come il corpo che, corruttibile, marcisce e si sfarina.
Di te tutto si è detto, anche ciò che non era vero.
Ciò che hanno voluto dire di te, perché faceva piacere o comodo a qualcuno.
Ogni volta gli argini dei fiumi hanno visto piene e periodi di siccità e la luna ha provato sconforto né ha saputo a chi chiedere aiuto.
È curioso assistere agli insetti che goffamente prendono il volo, sbandano e ritentano l’ascesa, quando una pioggia d’estate interrompe il loro sonno tra le piante.
Struggente è il ciclamino che piega il capo ma è nella sua quiete.  Non è vero che le vespe siano nemiche dell’uomo, è più doloroso il suono della cicala.
Nel convivio degli odori della natura tu sei parte.
Comprendo che non c’è un rigore con il quale le foglie del fico cadono.
Alcune sono più resistenti di altre.
Ma l’inverno non ne lascerà nessuna.
15-12-2015




Os hablan las cosas
y vosotros no escucháis.

El mundo es un surtidor
fresco, distinto y constante.






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