Adriana Pedicini
Recensione
a
Gordiano
Lupi: Miracolo
a Piombino. Historica
edizione. 2016
(Candidato
al Premio Strega 2016)
Nella
vita si è spesso a un bivio e massimamente nell’adolescenza. Marco possedeva
tutte le incertezze, i malumori, le crisi tipiche dell’età adolescenziale e la
consapevolezza indotta dagli adulti che era arrivato il momento di cambiare
rotta. Avviene però che proprio in quel momento si fratturi il dialogo di
emozioni e di affettività con i propri genitori e ci si chiude in se stessi in
un indecifrabile mutismo, incapaci di trovare un punto d’incontro.
Forse
per questo Marco trovava nei gabbiani
del porto degli amici a cui poter idealmente confidare le proprie pene. Proprio
come il gabbiano Robert a cui la vita aveva riservato il dubbio dell’avvenire,
l’incertezza di quel che sarebbe stato. Pensieri che questi rimuginava in
solitudine lontano dallo stormo degli altri gabbiani impegnati ad essere sempre
proni col becco sulla scia dei pescherecci alla ricerca di cibo.
Emerge
in tutto il suo valore metaforico il parallelismo tra il giovane Marco e il
gabbiano Robert. Spicca il ruolo della memoria, soprattutto in tale momento
cruciale della vita, soprattutto quando la Vita, quella del vecchio nonno, sta
per avere fine, ma non così le storie da lui narrate al nipote quando costui era
piccolo, rimaste impresse nell’animo al punto da farne mezzi con cui ancorarsi
al passato contro le intemperie e le incertezze del futuro.
L’unico
conforto sempre lui, il gabbiano, reietto e solitario pure lui, a cui confidava
i segreti pensieri e il desiderio di imparare a volare, senza però ottenerne
risposta, o forse la risposta c’era ma Marco non riusciva a comprenderla.
Bisogna adottare lo stesso linguaggio per comprendersi o almeno avere l’animo
sgombro da pregiudizi.
In
entrambi tuttavia si percepiva il desiderio di un mutamento o forse di una
fuga.
Quando
ci si sente diversi o quando gli altri sembrano diversi non rimane che la fuga,
dalle mode, dall’ovvio, dal conformismo, in una parola la solitudine, e il tentativo
al contempo di scoprire realtà altre che diano il senso della libertà,
condizione unica per l’autodeterminazione, per poter essere quello che ci si
sente di essere. Soprattutto nell’età in cui “niente era chiaro ma tutto era
possibile” (pg.44).
Il
protagonista dunque anela a null’altro che a fare le scelte, le sue, negli
studi, come nella musica, e in genere nella vita secondo le sue inclinazioni.
Un
ribelle, dunque, proprio come il gabbiano Robert; insofferente dello stereotipato
mondo degli adulti l’uno, come delle regole del vecchio Rudy l’altro.
Il
romanzo si snoda lungo una serie di quadri giustapposti che si intersecano e si
sovrappongono tra similitudini e metafore nel dedalo di strade, vie, profumi di
casa, panchine di fronte al mare, fiori arsi dal sole e dalla salsedine, tra lo
scrosciare delle fontane e il frastuono dei pennuti in cerca di cibo, il sibilo
lontano della sirena dell’acciaieria e lo sferragliare dei treni sulle rotaie.
Eppure tutto questo scenario, registrato con dovizia di particolari annodati
dal filo del ricordo, è inadeguato per chi anela a scoprire il senso della
vita.
Intanto
prende consistenza la fuga dal reale e il perdersi nella lettura dei romanzi di
eroi e di malinconia, mentre la mente era lacerata dal rancore verso “una
piccola città, bastardo posto” in cui vigeva ancora una situazione di micro
feudalesimo clientelare, e il sogno di un mondo altro, lontano, magari di
“raggiungere la fine del mondo”.
I
rischi, i pericoli sono sempre in agguato quando si cerca di vivere secondo le
proprie scelte a riprova che non è possibile recidere i legami col mondo che ci
circonda nonostante l’irrefrenabile voglia di solitudine.
Il
solo essere nel mondo ci lega al mondo in tutte
le sfaccettature e c’è sempre un momento in cui appare evidente
l’attrito con la “normalità”, e il dolore di altre fratture, insospettabili,
inattese, come la morte della persona amata, come la sua Sara, naturalmente è
seguito dal crollo dei sogni e delle speranze. Di qui lo sperdimento, la paura,
la tristezza e il rifugio nella memoria come unico stridente conforto.
“Ti
nascondo dalle pene del mondo” lo confortava un volto di bambina emerso dal
limbo della memoria, provocando una scia di rammarico, persino di rimorso nel
suo animo.
E si sentiva profondamente infelice,
nonostante non avesse ancora vent’anni.
“Avevo
vent’anni, Non permetterò
A
nessuno di dire che quella è la più
Bella
età della vita”
I
versi di Paul Nizan gli martellavano in testa.
Infatti
proprio a causa di questo amore che non aveva mantenuto la promessa di vita, il
cui ricordo pesava come un macigno, il senso di colpa gli toglieva la serenità
facendolo sprofondare in incubi tetri.
Per
antitesi il suo Alter ego, il gabbiano, godeva una vera e propria situazione
paradisiaca in un mondo neppure tanto diverso da quello che aveva lasciato
sentendosi pienamente realizzato in una diversa dimensione pur ancora raminga e
solitaria. Ma altra era la disponibilità verso la vita.
Essere
al mondo significa stare nel mondo e non poter eludere gli incontri neppure
quelli casuali. I quali a volte si rivelano decisivi e fondamentali, capaci di
infrangere la barriera di solitudine ed isolamento, perché due solitudini
possono affrontare insieme il futuro, non escludendosi dalla comunità.
Alla
fine l’ignoto non era un luogo da conoscere nelle spiagge deserte o tra gli
scogli lontani all’orizzonte. Era un grumo nel cuore e un’asfissia dell’anima
che andavano risolti in altro modo.
E
la gabbianella ne aveva tutto il merito “perché vicina al suo mondo interiore”.
Sicché
alla solitudine di prima pian piano va sostituendosi, grazie all’incontro con la
compagna, solcata ugualmente da intensi passati dolori, un pensiero d’amore che
scaldava l’anima e apriva gli occhi alla vita, al tempo il quale ogni giorno è
una conquista da vivere come un dono.
Questo
è guardare al futuro: accettare quello che avviene ogni giorno, giorno dopo
giorno, nelle nostre vite.
Per
antitesi Marco non riesce a liberarsi di un amore appena vagheggiato e già
finito, di una febbre d’amore che l’aveva bruciato e di cui ora vegliava le
ceneri, del fremito dei baci destinati a rimanere inerti per sempre.
Eppure
sente di dover reagire, pena la sua perdizione, comprende che la solitudine non
è una gabbia d’oro, è solo una gabbia che rischia di trasformarsi in assenza e
fare di lui un assente nella vita.
Non
rimaneva dunque che ribellarsi al destino che egli stesso stava tratteggiando.
Occorreva uno sforzo d’amore per la vita, uno slancio vitale che significasse
speranza e non ripiegamento sul passato, capacità d’amare e non tristezza per un amore perduto. Riuscire a conciliare
il passato e il presente, a preparare tramite il presente il futuro, proprio
come fosse un miracolo, anche per Robert il gabbiano, per miracolo, fu l’inizio
di una svolta di vita e l’abbandono della solitudine.
Tutto
ciò per capire che “è inutile cambiar sede se l’anima è malata” (Seneca) e che
non esiste mondo migliore di quello in cui sono radicati affetti profondi,
antichi, vecchie memorie da custodire perché rivivano in noi e non siano ceneri
da contemplare in sterile silenzio.
Dunque
ritornare alla terraferma equivaleva rinascere a nuova vita, dato che nuovi
erano i sentimenti con cui guardare al già noto.
Pertanto
l’isola a cui approdare per rinascere non è lontana da noi, è in noi purché si
abbiano occhi tersi per guardare alla vita.
Solo
così il passato non è sinonimo di angoscia o di rimpianti e rimorsi ma una
fucina a cui attingere con rinnovato esperienza.
La
metafora del volo, aspirazione alla conoscenza del noto gabbiano Jonathan Livingston
dell’omonimo romanzo di Richard Bach,
diventa in questo piccolo ma prezioso romanzo l’epilogo felice che vede
in Robert il Maestro, in Marco il discepolo finalmente diventato docile e
pronto ad accogliere consigli e insegnamenti, a spezzare la solitudine per
ritornare spiritualmente nell’ambiente che l’aveva visto crescere, con
consapevole gratitudine, repressa dapprima e quasi odiata a causa di un
eccessivo ed egoistico amore di sé, mal interpretato e fonte di altri dolori.
Il
volo era iniziato, la libertà si era dischiusa sulle ali di un gabbiano. La
nuova vita guardava al futuro.
In
conclusione, un romanzo con un importante messaggio, scritto in stile piacevole
e scorrevole, quasi fotografico, maggiormente fantasioso nelle pagine in cui
protagonista è il gabbiano, ricco di
particolari, alquanto eccessivo nelle citazioni, che rischiano di apparire
sfoggio erudito.
Notevole
il corredo di suggestive fotografie in bianco e nero dell’artista Riccardo
Marchionni. Conclude il libro il racconto Il ragazzo di Cobre che affronta, che
affonda lo sguardo nella condizione complicata dell’adolescenza in realtà
obiettivamente difficili, come quella del terzo mondo.
E
su tutto campeggia il grande amore per
Piombino.
Adriana
Pedicini
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