Anna Maria Pacilli collaboratrice di Lèucade |
IL
NARCISISMO: “Sopravvivenza o Patologia”?
Psicoanalisi
e dintorni
“E ora
parliamo un po’ di te. Mi ami? ( Maria Luisa Spaziani)
Dal mito alla clinica
Il mito
di Narciso non è solo un “mito”, ma ha rappresentato il punto di partenza ( e
di unione) per individuare un concetto teorico e clinico in Psicoanalisi. E, in
questa sede, non si può omettere l’analisi di uno specifico disturbo della
personalità, che configura uno stato di “narcisismo patologico”.
Secondo
il mito greco, ripreso da Ovidio, Narciso, figlio bellissimo della ninfa
Liriope, aveva ricevuto dall’indovino Tiresia il vaticinio: “Narciso vivrà fino a tarda età, purché non
conosca mai se stesso”. La sua bellezza era tale che tutti finivano con
l’innamorarsi di lui , che, però, talmente geloso di sé, non concedeva il suo
amore a nessuno.
Si narra che di Narciso si innamorò la ninfa Eco, condannata
da Era a ripetere all’infinito l’ultima parte delle parole altrui e a non poter
più fare uso della sua voce. Narciso rifiutò le sue attenzioni, così come
rifiutò quelle di Aminio, tra i suoi più infuocati spasimanti. Allora Artemide,
lo punì facendo sì che egli si innamorasse, senza però poter soddisfare la
propria passione, quando, per la prima volta vide la propria immagine riflessa
sull’acqua di una fonte. Ne rimase talmente colpito che, dapprima tentò di
baciare il bellissimo giovane che vedeva nell’acqua; poi, quando comprese che
si trattava della propria immagine, struggendosi per il dolore, comunque non si
diede per vinto, perché pensò che non avrebbe comunque tradito se stesso.
Michelangelo Merisi da Caravaggio:Narciso (1594-1596). Roma, Galleria nazionale d'arte antica. |
Decise, dunque, di togliersi la vita, non
vedendo altra strada per il suo amore, mentre Eco ripeteva al vento le sue
parole di dolore. Morì trafiggendosi con la spada e dal suo sangue, sparso al
suolo, si generò il narciso, fiore bianco dalla corolla rubra. Nella tradizione
classica, il narciso ha anche potere narcotico ed è assimilato al fiordaliso,
intrecciato in ghirlande e collane durante le cerimonie sacre.
Narciso |
Narciso
aveva, dunque, conosciuto se stesso e, nell’impossibilità di stabilire una
relazione con l’altro ( come vedremo accade in alcuni esseri umani), cioè con
un elemento diverso da sé, decise di morire.
Laddove, in senso clinico, l’idea di una
trasformazione, di un mutamento, si associa ad un senso di morte interiore.
Il
termine “Narcisismo” venne utilizzato
per la prima volta nel 1898 dall’americano Havelock Ellis, che, con “narcissus-like”, aveva indicato
l’atteggiamento psicologico da parte di queste persone del ripiego su se
stesse. Successivamente, Nacke introduceva il termine “Narcismus”, come espressione di una “perversione” sessuale. S.
Freud utilizzò il termine per la prima volta nel 1909: l’assunzione della
propria persona come oggetto d’amore, stadio intermedio necessario fra
l’autoerotismo infantile e l’amore oggettuale (1).
Eco e Narciso |
Nel 1914 Freud scrisse l’“Introduzione al narcisismo” (1), che tratta del diverso modo di
investire la libido e del diverso
termine con cui “nevrotico” e “psicotico” compiono il distacco dalla realtà
esterna. Il nevrotico distoglie la libido
dagli oggetti reali e la rivolge agli oggetti della fantasia; in lui la libido resta “oggettuale”. Nello
psicotico la libido è ritirata
sull’Io, che non potremmo neppure definire Io in senso evoluto, proprio perché
non “maturo”, a ripristinare uno stato primitivo infantile e l’onnipotenza del
pensiero.
La libido narcisistica viene
investita anche nella scelta dell’oggetto d’amore (scelta oggettuale “narcisistica”), mentre nell’amore
d’oggetto (scelta dell’amore “per
appoggio” delle pulsioni sull’oggetto d’amore) la libido verrebbe investita
completamente sull’altro. Processi di idealizzazione dell’oggetto e di
formazione dell’Ideale dell’Io (precursore del Super-Io, la cui nascita e
tripartizione si avrà nel 1922 con L’Io e
l’Es) Nevrosi narcisistica era
termine ( ormai desueto), col quale Freud indicava un disturbo psichico
caratterizzato dal ritiro della libido interamente
sull’Io, stato che si oppone alla Nevrosi
di transfert, ossia investimento emotivo sull’analista da parte del paziente
durante il trattamento.
La
distinzione freudiana tra Narcisismo
primario e Narcisismo secondario
è ancora oggi fondamentale. Il Narcisismo
primario costituisce uno stadio precoce in cui il bambino investe tutta la
sua libido su se stesso. Il Narcisismo secondario designa, invece,
un ripiegamento sull’Io della libido,
che verrebbe sottratta agli investimenti oggettuali. Va osservato, comunque,
che in nessun caso l’investimento della libido
sugli oggetti sostituisce quello sull’Io.
Nella Introduzione alla psicoanalisi (1916-17)
(1) Freud sostenne la localizzazione del Narcisismo
primario ad un primo stadio della vita, antecedente la formazione dell’Io,
il cui modello sarebbe quello della vita intrauterina. In tal modo, il Narcisismo primario, secondo una visione
valida ancora ai nostri giorni, indica una posizione indifferenziata nei
confronti dell’oggetto, senza distinzione fra soggetto e mondo esterno. La
definizione di Es è tesa ad
individuare un’istanza, il primo costituente psichico del bambino, dalla quale
poi si differenziano le altre. Dall’Es, serbatoio della libido che viene emanata sugli oggetti, si differenzia l’Io.
In “Al di là del principio di piacere”,
Freud formulava la seconda teoria, che vede le pulsioni articolate in Eros e Thanatos o “di vita e di
morte”. Eros è pulsione di vita (
autoconservativa) rivolta agli oggetti, col compito di “unire e legare”, “Thanatos”
è pulsione di morte e distruttiva. Nel 1922, con “L’Io e l’Es”, Freud rivedrà la struttura dell’apparato psichico,
creando la “seconda topica” (Es, Io,
Super-Io). In tal modo, il Narcisismo
primario perde la sua funzione di tappa specifica dello sviluppo, mentre
l’Io dà inizio a una sorta di incorporazione dell’oggetto, attraverso l’investimento oggettuale, che costituisce
la più precoce forma di identificazione.
Le personalità narcisistiche
Secondo
il DSM 5, l’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali (2), il Disturbo Narcisistico di Personalità è rimasto classificato
come disturbo di personalità, mentre alcuni altri sono stati eliminati.
Caratteristica, in ogni caso, è la compromissione del “funzionamento” personale, lavorativo,
relazionale del soggetto. Nel caso specifico, l’elemento dominante risulta “un quadro pervasivo di grandiosità,
necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che ha inizio nella prima età
adulta” (2).
Il “Narcisista” mostrerà un senso grandioso d’importanza, sarà assorbito da fantasie illimitate di successo, di potere, e di amore ideale; crederà di essere speciale e unico, richiedendo eccessiva e continua ammirazione. Con una soverchia aspettativa di ricevere trattamenti di favore o di avere soddisfazione immediata per le proprie fantasie e attese, proprio perché ritiene gli siano dovute, mostrerà di sfruttare gli altri e le loro qualità per i propri scopi. Ciò che nella relazione con lui si pone facilmente in rilievo è la mancanza di empatia, cioè di immedesimazione nei sentimenti e nelle necessità dell’altro, l’incapacità di stabilire relazioni caratterizzate da una buona comprensione dell’altro, sentimento che, peraltro, il narcisista pretende di continuo per sé. In definitiva, non può esservi una condivisione profonda di “intenti”.
Eco e Narciso |
Il “Narcisista” mostrerà un senso grandioso d’importanza, sarà assorbito da fantasie illimitate di successo, di potere, e di amore ideale; crederà di essere speciale e unico, richiedendo eccessiva e continua ammirazione. Con una soverchia aspettativa di ricevere trattamenti di favore o di avere soddisfazione immediata per le proprie fantasie e attese, proprio perché ritiene gli siano dovute, mostrerà di sfruttare gli altri e le loro qualità per i propri scopi. Ciò che nella relazione con lui si pone facilmente in rilievo è la mancanza di empatia, cioè di immedesimazione nei sentimenti e nelle necessità dell’altro, l’incapacità di stabilire relazioni caratterizzate da una buona comprensione dell’altro, sentimento che, peraltro, il narcisista pretende di continuo per sé. In definitiva, non può esservi una condivisione profonda di “intenti”.
Otto
Kernberg (1984) (3), descrisse le personalità narcisistiche, come quelle che “hanno introiettato in chiave onnipotente un
oggetto parziale primitivo totalmente buono” oppure “hanno proiettato… il proprio Sé in tale oggetto, negando così ogni
differenza o separazione fra il Sé e l’oggetto”. La minaccia di provare un
senso di dipendenza è talmente temuta che il narcisista deve negare ogni
bisogno di dipendenza, che implicherebbe “il
bisogno di un oggetto amato e potenzialmente frustrante”.
Ciò solleciterebbe l’odio, destinato a mutarsi
in invidia estrema.
Le relazioni “oggettuali” del narcisista, sono
comunque non relazioni con un oggetto d’amore esterno al Sé, ma relazioni con
il proprio Sé, che gli consentono di evitare i sentimenti di frustrazione e di
invidia e, in definitiva, un senso di profonda aggressività, che può scatenarsi
allorquando la situazione sembra sfuggirgli di mano. In questo senso il
narcisista si avvicina all’erotismo, creando una perversione sado-masochistica,
entro la quale il dolore e il senso di potere che deriva dall’annientamento
dell’altro e la soggezione all’altro del proprio Sé “indifeso” possono
diventare distruttive.
Sono frequenti le “reazioni terapeutiche negative”, cioè la difficoltà ad accettare
l’analista come “oggetto separato”,
portatore di elementi libidici e nutritivi ( intanto è necessario puntualizzare
che è difficile di per sé che il narcisista faccia ricorso ad una terapia,
perché mettersi in discussione comporterebbe per lui uno sforzo immane, a meno
che, a causa di eventi vissuti come negativi, vada incontro ad uno stato
depressivo e si rivolga per quello ad un terapeuta), che in ambito
psicoanalitico dovrebbero configurarsi come aventi una valenza positiva, ma,
che, nel caso del narcisista, assumono una valenza negativa, in seguito alla
formulazione di una interpretazione, che è intesa come un possibile “oggetto buono”, capace di suscitare
invidia e dipendenza.
Il
crollo della “struttura narcisistica” può suscitare esperienze deliranti a
impronta paranoide o, come si diceva, un grave stato di angoscia depressiva.
Il Sé
grandioso è, certo, di difficile accesso al trattamento.
Kernberg osserva come vada tenuta ben distinta la negazione che il narcisista compie da quella operata dallo
psicotico. Il primo, infatti, nega le differenze
fra il Sé e l’oggetto, non la loro separazione, ossia l’oggetto è
un’appendice del Sé; lo psicotico nega
la differenziazione fra il Sé e l’oggetto, che egli intende come “confusamente”
fusi, cioè in una continua confusione di limiti, non essendo percepita la barriera
che separa il Sé dagli altri. Un certo grado di separazione tra il Sé e
l’oggetto è, ammesso dal narcisista, a patto che le differenze non risultino
evidenti, e l’oggetto resti sottomesso, ossia
sotto il suo controllo onnipotente.
La
posizione espressa da Kernberg differisce da quella tradizionale di Freud.
Secondo Kernberg, “lo sviluppo del
narcisismo normale e patologico” coinvolgerebbe costantemente “il rapporto fra le rappresentazioni del Sé
e dell’oggetto e gli oggetti esterni, oltre che conflitti istintuali che
investono sia la libido sia l’aggressività”.
Il Sé
risulterebbe dalla “somma delle
rappresentazioni integrate del Sé provenienti da tutte le fasi evolutive”,
configurando“una struttura integrata che
ha componenti affettive e cognitive, una struttura incorporata nell’Io, ma
derivata da precursori dell’Io”.
Il Sé
grandioso del narcisista contiene, secondo le osservazioni di Kernberg “il Sé reale, il Sé ideale e le
rappresentazioni oggettuali ideali”.
L’origine della sofferenza del narcisista non
avverrebbe secondo Kernberg, come nella Psicoanalisi tradizionale, nel non
sviluppare l’amore oggettuale, ma “uno
sviluppo anormale dell’amore per il Sé coesiste con uno sviluppo anormale
dell’amore per gli altri”. La risposta del narcisista è, come abbiamo
visto, lo sviluppo di un Sé grandioso, che contrasta, invece, col Sé normale,
nel quale si armonizzano gli elementi intrapsichici con gli aspetti della
relazione d’oggetto.
Sul piano clinico, vengono descritte due forme
principali di personalità narcisistiche. La prima corrisponderebbe al modello
freudiano del 1914 (“Introduzione al
narcisismo”), dotata di un Sé patologicamente identificato con un oggetto,
che riceve anche la proiezione della rappresentazione del Sé infantile del
soggetto. Qui la capacità di relazioni d’oggetto interiorizzate è sufficiente.
Un altro tipo di personalità narcisistica è
quella fornita di un Sé grandioso patologico. Si colgono in questi pazienti i
segni di un senso di elevata autostima, che contrasta con sporadici sentimenti
di estrema inferiorità. Provvisti di scarsa empatia verso gli altri, bisognosi
di continue conferme del proprio valore, questi pazienti mostrano un senso di
consapevolezza integrato nella loro esperienza di Sé e un deficit nel possedere
un concetto maturo degli altri.
Gli
aspetti clinicamente più gravi del narcisismo patologico comportano
similitudini con altre strutturazioni patologiche, come quelle borderline e paranoidi, il che comporta da un lato il mancato controllo sugli
impulsi e la tendenza al passaggio all’atto ed alla aggressività, mentre
dall’altro, la contaminazione paranoide produce sentimenti di invidia
distruttiva e di senso persecutorio nelle relazioni con gli altri.
Questo, il “Narcisismo
maligno”, caratterizzato da una regressione paranoide, dalla possibilità di
comportamenti autodistruttivi o di suicidio.
Un altro studioso del narcisismo fu Kohut (1913-1981) (4), che stabilisce una
metapsicologia per il paziente narcisista, che colloca o nello spazio fra la
psicosi e la condizione borderline
oppure, in situazioni di minore gravità, fra le psiconevrosi e i disturbi
minori del carattere. La conoscenza dell’assetto interno e delle relazioni
d’oggetto di questo paziente si rende nota attraverso l’analisi del transfert, che si verifica durante il
trattamento psicoanalitico.
Sarebbero possibili due tipi di traslazione
secondo Kohut, per il paziente narcisista: quella “idealizzante” e quella “speculare”.
La
traslazione idealizzante deriva da un “oggetto-Sé”
arcaico e rudimentale. La separazione da questo oggetto idealizzato fa
sentire il paziente vuoto e impotente, tanto è importante per il paziente
utilizzarlo a compensazione e complemento di una parte mancante della propria
struttura psichica, legato alla carenza di sufficienti apporti libidici da
parte di “oggetti-Sé” primitivi.
Lo
sviluppo nella traslazione analitica di un “Sé
grandioso” induce la formazione di transfert
speculari, altamente regressivi.
Se, nel transfert
“gemellare” il paziente sperimenta l’analista come uguale o molto simile a
sé stesso, nella traslazione “speculare in senso stretto” l’analista
viene percepito come una persona separata e importante solo nella misura in cui
è necessario agli scopi del Sé grandioso.
Le
ragioni di queste traslazioni sono da ricondurre a precoci arresti nello sviluppo
dell’“oggetto-Sé” materno, che hanno
determinato la fragilità del Sé primitivo, senza i successivi sviluppi
evolutivi in forme mature.
I
fallimenti della funzione empatica materna, i disturbi del processo primitivo
di idealizzazione, con susseguenti effetti traumatici, sono alla base della
psicopatologia narcisistica, che comporta originariamente una fissazione al
livello del Sé grandioso arcaico e infantile, cui fa seguito la ricerca
interminabile dell’”oggetto-Sé”
idealizzato, che al soggetto risulterebbe necessario per completare il suo
sviluppo psichico. La libido
oggettuale, dunque, investe “oggetti veri”, quella narcisistica “oggetti-Sé”.
L’aggressività nelle personalità narcisistiche sarebbe il risultato
delle loro “lesioni”, con una frammentazione traumatica del Sé grandioso
arcaico, per cui il Sé non deriverebbe dalle pulsioni, ma le pulsioni
nascerebbero dal Sé, attraverso la sua lesione. Il Sé si sviluppa, dunque,
nello scambio con le figure parentali, che non avrebbero la semplice funzione
di fornire gratificazione pulsionale, ma di costituire la fonte di interazioni.
Finalità del trattamento psicoanalitico per
Kohut è la formazione di un Sé più coeso al posto di un Sé frammentato. Quanto
mai sarebbe importante come in questi casi, l’ascolto empatico, da riservarsi
proprio a quei pazienti, la cui struttura fragile del Sé ha indotto una carenza
dell’autostima e della coesione, mascherata da una corazza dura ed
apparentemente inattaccabile, con la possibilità di funzioni riparative, ottenute
soprattutto attraverso lo sviluppo di un assetto mentale nell’analista, che si
dispone ad accogliere dentro di sé il vissuto emozionale del suo paziente,
gravemente disgregato e che comunque comporta la difficoltà di “mettersi nei suoi panni”, con la pazienza, condizione
attraverso la quale si propone di poter attendere e favorire la risoluzione dei
processi compiuti dall’Io difensivo dello stesso paziente.
Kohut, suggeriva la necessità di un attivo
processo di empatia da parte dell’analista, dato che le carenze empatiche della
relazione terapeutica, peraltro inevitabili, giungono a sollecitare
frustrazioni gravi nel paziente narcisista, con l’attivazione di collera,
regressioni ipocondriache, scompensi paranoidi, senso di angoscia diffusa,
delirio di onnipotenza con attivazione massiccia del Sé grandioso.
Sempre
Kohut sosteneva che l’atteggiamento di ascolto empatico rivolto dall’analista
anche ai pazienti affetti da quello stato che Rosenfeld (5) chiamava “narcisismo distruttivo” fungeva da
strumento terapeutico verso un Sé afflitto da intense sofferenze. Apparve
comunque chiaro allo stesso Kohut che la sua tecnica dell’ascolto empatico non
era affatto praticabile, né utile a modificare le strutture “perverse” di quei
pazienti che, da questa attitudine terapeutica e da un’analisi condotta
prevalentemente col Sé, avrebbero tratto elementi di rinforzo per la propria
perversione.
Utile questa metafora citata da Bolognini (6),
che indica la necessità di una variabilità dell’assetto mentale dell’analista,
capace di un rapporto ben integrato con le sue parti profonde e di una
consistente adattabilità al lavoro col paziente: “è essenziale che ogni navigatore salpi con la sua imbarcazione
portando con sé il bagaglio… necessario per affrontare il mare trovandosi nelle
condizioni migliori; ma il navigatore sufficientemente esperto sa che dovrà
adattare le proprie tecniche al mare e al tempo, e che ogni viaggio sarà in
qualche misura imprevedibile e comunque diverso dai precedenti”.
Ogni
esperienza di terapia del profondo è un rapporto; anzi, più di un rapporto.
Ogni rapporto è paragonabile a un viaggio per mare; ogni viaggio per mare
richiede una conoscenza e un’adattabilità tecnica precisa, che l’esperienza e
la sensibilità consentono di attuare, per rendere la traversata un momento
della propria vita certamente necessario, ma soprattutto affascinante e utile,
possibilmente piacevole e capace di portare effettive trasformazioni.
Strumento cardine del lavoro analitico di
Ferenczi ( 7 ) risultava, la comprensione empatica, cioè, “mettersi nei panni dell’altro senza confondervisi e senza perdere
perciò di obiettività”. Ma l’empatia, per poter essere attuata, richiede
una “simpatia” di base e reciproca,
che è la condizione indispensabile per poter dare inizio al rapporto
psicoterapeutico.
L’ipoteso di narcisismo di Grumberger ( 8) è
quella di una relazione quasi simbiotica con la vita prenatale e col
soddisfacimento che l’individuo trova in questo ambito.
La definizione che Grumberger dà di questo
periodo dello sviluppo è quella di “stato
elazionale”, quando la relazione con l’ambiente possa fornire al bambino
una soddisfazione adeguata, come la base su cui si fondano i successivi
passaggi emotivi per lo sviluppo di forme d’autonomia, di un senso del proprio
valore non fondato su necessità esterne, ma su un sentimento pieno del Sé. “Il feto vive in una situazione elazionale
che costituisce una perfetta omeostasi, in cui i bisogni… non possono neppure
considerarsi come tali… La nostra ipotesi poggia sul postulato di uno stato
elazionale prenatale, origine di tutte le varianti del narcisismo…”.
Così,
Grumberger parla di un “nucleo
narcisistico”, di una “unione
narcisistica” tra la madre e il bambino, e la sua percezione del mondo
degli oggetti, che risultano “frustranti
e dunque altri”. Si prospetta, dunque, una grave scissione nell’Io
infantile, teso da un lato a conservare l’equilibrio narcisistico, dall’altro a
cercare di seguire le sollecitazioni pulsionali.
Nel
lungo processo maturativo il bambino “si
trova in un conflitto permanente tra le pulsioni da una parte e il punto di
vista narcisistico dall’altra e finirà… col proiettare una parte del suo
narcisismo sull’Ideale dell’Io”.
Il
narcisismo diviene in Grumberger una vera e propria “istanza psichica”, che si aggiunge all’Io, all’Es, al Super-Io.
Questa istanza viene denominata “Sé”e
risulta inglobata nell’”Io”.
Il
paziente in analisi vive inizialmente, secondo Grumberger, una “regressione narcisistica”, che lo
riporta allo “stato elazionale” e
attraverso questo passaggio, la prima fase del trattamento analitico
consentirebbe al paziente di sperimentare quello stato di assoluta beatitudine
che si verifica nei primissimi tempi della sua vita. L’analista non viene
ancora individuato come oggetto distinto e verrà investito narcisisticamente,
come a ripercorrere le tappe del rapporto con l’antico genitore, destinato a
essere il destinatario dell’onnipotenza infantile perduta e in tal modo
recuperata.
La
condizione frustrante della sofferenza, la stessa situazione analitica, di per
sé fonte di frustrazione come accade in tutte le relazioni della vita adulta,
viene accompagnata in analisi, secondo Grumberger, da una quota di
soddisfazione narcisistica, che, soprattutto con i pazienti più gravi, deve
condurre l’analista a offrire loro qualche “gratificazione”
in forma il più possibile simbolizzata, per costituire, con un apporto
narcisistico esterno, una forma di “unità
narcisistica”, che lo aiuta a sopportare la frustrazione. In tal modo, si
rende possibile l’incontro con l’oggetto e l’avvio del transfert vero e
proprio. A questo punto, l’angoscia della comparsa dell’analista come figura
autonoma sulla scena del rapporto terapeutico, dove questi è individuato e
visto in una luce meno onnipotente e non più del tutto fusionale, consente al
paziente di collocarsi nella dimensione della relazione d’oggetto, certamente
temuta, ma più accessibile, data la consistenza di un minor grado di
disgregazione narcisistica che egli ha potuto raggiungere. Così, la relazione
d’analisi sollecita l’integrazione fra investimento narcisistico e oggettuale,
unico motore della cura, che può consentire la maturazione dell’Ideale dell’Io,
l’arricchimento della libido narcisistica con la presenza della libido
oggettuale, il passaggio dalla situazione fusionale a quella della relazione
dialettica interpersonale.
Il “Narciso” e le Donne
Da professionista, ma
anche da donna, provo a considerare la relazione dell’uomo narciso con
l’universo femminile, anche se, come già accennato, specularmente, essa vale,
con qualche variante, che potrebbe essere interessante considerare in un altro
lavoro, anche per un uomo che si relazioni con una donna “Narcisa”.
Quale è l’atteggiamento
dell’uomo narciso verso le donne?
E’ facile innamorarsi di un narciso. Gli uomini che
appartengono a questa categoria psicologia sono spesso brillanti, simpatici,
maestri nell’arte del corteggiamento e sanno far sentire una donna unica
e speciale. All’inizio preparano sorprese e sono capaci di attenzioni. Ma non
appena il rapporto sembra consolidarsi, all’ improvviso e senza una
motivazione, si raffreddano. Diradano gli incontri, adducendo pretesti e non
fornendo motivazioni valide, diventano scontrosi, ed iniziano le critiche,
gratuite e spesso molto pungenti. Purtroppo, molte donne, ormai cadute nella
“trappola”, si sentono già troppo
coinvolte per tirarsi indietro e accettano una relazione discontinua ,
fatta di fughe e ritorni. Ma i ritorni non sono per “amore”, anche se l’idillio
iniziale sembrerebbe essere tornato. Sono, più semplicemente, dettate dalla
necessità per l’uomo di avere un porto sicuro che sa che accoglie e “comprende”
la sua fragilità. Ecco perché è difficile che la relazione con un narcisista
termini per il volere di lui: avere più porti in cui approdare sembra dargli la
garanzia che qualcuno dovrà riaccoglierlo. Nelle relazioni di lunga data, la
partner viene spesso percepita come una ” base sicura”, come una madre che
accoglie e consola. Insomma, il
narcisista è capace di provare emozioni ma non sentimenti. Il suo ” ti amo”
significa ” ora ti amo “. Ma se la dolcezza non funziona, il narciso giocherà
la carta della debolezza. Cercherà di impietosire la partner mostrandosi debole
e smarrito, le parlerà dei suoi problemi, si mostrerà fragile e bisognoso di una
guida. Dunque si tratta di uomini che affascinano e insieme feriscono, a volte anche con il preciso
intento di farlo, solitamente più
intelligenti della media, sensibili, seduttivi, grandiosi, ma, anche,
improvvisamente depressi e inadeguati. E ai quali, spesso, bastano futili
motivi per deprimersi. Futili per la gente comune, per loro assolutamente
importanti, anzi quasi elementi fondamentali di vita. Cosa vuole un narciso da una donna? In molti casi
vuole solo essere aiutato a piacersi, ovviamente nel senso più ampio del
termine, anzi desidera molto spesso che quella che sia apprezzata sia la sua
intelligenza e non il suo aspetto fisico. Intelligenza che, proiettivamente,
attribuisce all’inizio alla donna, perché, come davanti ad uno specchio, ritorni
su di sé. Non a caso, a meno che non si tratti di narcisi che puntano tutto il
loro essere sull’aspetto fisico, scelgono come “preda” donne intelligenti,
proprio a conferma delle loro “capacità” cognitiva, salvo, successivamente,
svalutarle, quando potrebbero rendersi conto che esse sono più intelligenti di
loro e allora lo specchio non rimanda più loro l’immagine che vorrebbero.
L’uomo narciso è un eterno insicuro, in ogni donna cerca di specchiarsi per
ritrovare un’immagine integra, forse quella della madre che non ha ( od ha il
vissuto di non aver) mai avuto, forse in lui esiste la consapevolezza interiore
che la madre non è stata, in molti casi, quello specchio “sano” che gli avrebbe
permesso di costruirsi un’immagine integra di sé, un Sé coeso, insomma, ma gli
ha consentito solo di sviluppare un “falso Sé”, frammentato, con il quale,
secondo la teoria di Kohut (4), egli si propone al mondo.Secondo quest’ottica,
non è possibile relazionarsi con una sola donna, ma deve esistere una donna per
ogni frammento di sé, come se ogni parte avesse un occhio per guardare da
diverse prospettive. Ogni donna, dunque, può essergli funzionale per cercare quella madre
che lo accudisca in modo profondo, ma con la quale relazionarsi solo
superficialmente. E’ anche la ricerca di una “madre giovane”, non consunta :
solitamente soprattutto quando avanzano gli anni, questi uomini vanno alla
ricerca di donne più giovani, anche molto più giovani di loro, forse per avere
l’illusione di rivisitare, sin dall’inizio, il loro percorso di crescita e allo
stesso tempo per avere l’illusione di non invecchiare specchiandosi in una
immagine giovane. Relazionarsi con tante donne non significa che l’uomo narciso
non decida di intessere relazioni significative, si tratta di uomini che si sposano,
nel tentativo di mettere dei punti fermi nella loro vita, una moglie, dei
figli), una relazione duratura. Ma comunque rimangono eternamente alla ricerca
di “altro” per completare l’immagine di sé. E i figli? Difficile che il narciso
voglia concepirne con l’idea di farne degli individui separati da sé, si tratta
per lo più dell’idea di concepire delle “propaggini” di sé, un modo, cioè, per
lasciare al mondo, quando lui non ci
sarà più, una traccia tangibile e significativa della sua presenza. Si tratta, insomma, di un uomo eternamente bambino
“dentro” ma con un atteggiamento esteriore da gran seduttore. Anche il rapporto sessuale in sé, estremamente
coinvolgente e ricco di sensualità come se solo lui fosse l’uomo capace di far
provare ad una donna un piacere unico ed assoluto, viene vissuto, in realtà,
come un ritorno nel grembo materno. Ricordo un caso di un uomo che si rivolse a
me per problemi eiaculatori. Professionista affermato, non poteva concepire il
“fallimento” nell’atto sessuale, che lo aveva portato, poco alla volta, ad
iniziare solo il corteggiamento delle donne ma ad evitare una conclusione
sessuale. Il suo problema consisteva nella impossibilità ad eiaculare nel corpo
della donna, ma di riuscire a raggiungere l’orgasmo solo con la masturbazione.
Ecco: egli in qualche modo non riusciva neppure in quel caso a fare “dono” di
sé, così come non faceva regali alle donne, che non fossero viaggi insieme,
cene in ristoranti di lusso, ma “regali” unicamente destinati e che rimanessero
alla donna non ne faceva. Non riusciva a farne. Salvo qualche rara eccezione,
di doni costosissimi che assumevano una valenza ostentatoria e non certo un
valore affettivo. E se un giorno fosse la donna ad avere bisogno di lui? Un
narciso punta sempre all'assoluto, non tollera debolezze, non ama le lacrime,
tendendo a sminuire il dolore altrui per timore che in qualche modo, quello
specchio sfaccettato di sofferenza possa riflettere il proprio dolore. Non sarebbe ammissibile.
Innamorarsi di uomini
narcisi, insomma, è spesso un’avventura faticosa e dolorosa.
Più che chiedersi,
però, cosa voglia lui, la donna dovrebbe iniziare a chiedersi cosa vuole lei da
lui.
Ovvero, chiedersi a
quale bisogno della donna risponde la relazione con un narciso.
Se la donna, invece di
cristallizzarsi nelle colpe o mancanze o responsabilità dell’altro, si
concentrasse sulle ragioni che la portano ad accettare certe condizioni, a
rimanere invischiata in relazioni che le causano sofferenza, ovvero se cercasse
di conoscersi meglio, potrebbe trovare il modo per uscirne, oppure per
individuare soluzioni concrete e costruttive per aiutare se stessa e forse (
improbabile), anche il proprio compagno.
Analizzare il proprio
comportamento e non solo quello del partner sarebbe un modo per crescere e non
rischiare di cadere ogni volta nella rete di narcisi o di altre tipologie
maschili distruttive.
Analizzare la
sensazione di essere immersa nella nebbia, fare chiarezza e cominciare a vedere
soprattutto le proprie responsabilità.
Per capire quali
strategie è lei stessa a mettere in atto per attirare questa tipologia di
uomini, per sentirsi soggetto del proprio destino, e non più oggetto di una
sfortunata sorte. Protagonista e non più vittima.
Di fatto gli incontri
sono casuali ma la prosecuzione di un incontro è voluta.
A questo punto una
donna potrebbe anche decidere di rimanere con il suo uomo narciso, come scelta
di vita consapevole.
Se una donna è
abbastanza forte e sicura per accettare (e non subire), questo tipo di
compagno, la vita può essere anche molto divertente.
E’ necessario,
indubbiamente, raggiungere un grosso equilibrio interiore per avere a che fare
con un narciso, un uomo straordinariamente simpatico e brillante, affascinante
e molto divertente che prima ti esalta e poi, subito dopo, ti svaluta.
È bello lasciarsi
sedurre un po’ da lui, farsi corteggiare, stare al suo gioco senza però
crederci troppo, non perché egli finga, tutt’altro, egli è il primo a crederci,
il problema è che si tratta di un atteggiamento del tutto temporaneo e non
duraturo, è il senso della continuità che a lui manca, perché nel momento
stesso in cui egli sta corteggiando una donna, facendola sentire protagonista
di una favola, probabilmente si sta già guardando intorno per cercarne altre.
Per sopravvivere,
insomma, con questa tipologia d’uomo, è necessario farlo entrare dalla “porta”, tenendo le “finestre” ben
aperte (!), non evitarlo perché i
momenti con lui hanno del magnifico, quindi “vivere” sì le situazioni che si
creano, ma cercare di non credere e soprattutto non cedere alle sue lusinghe e … lasciarlo possibilmente solo
sulla soglia del cuore …
Riferimenti
bibliografici
1. Sigmund Freud
(1909-1924): Opere voll. 6, 7, 8, 9, 10 – Edizione italiana - Torino 1989
2. A.P.A., Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders,
Raffaello Cortina, Milano 2013
3. Otto Kernberg (1984):
Disturbi gravi della personalità – Torino 1987
4. Heinz Kohut (1971):
Narcisismo e analisi del Sé – Torino 1976
5. Herbert Rosenfeld
(1971): L’accostamento clinico alla teoria psicoanalitica egli istinti di vita
e di Morte: una ricerca sugli aspetti aggressivi del narcisismo in Rivista di Psicoanalisi, 18, 47-67, 1972
6. Stefano Bolognini:
L’empatia psicoanalitica – Torino 2002
7. Sandor Ferenczi (1909,
1931): Fondamenti di psicoanalisi, voll. 1 e 4 – Rimini 1974
8. Béla Grumberger (1971):
Il narcisismo. Saggio di psicoanalisi – Torino 1998
Ancora una volta la Professoressa Anna Maria ci fa dono di un argomento di profondo interesse, che investe il quotidiano più di quanto si può immaginare... L'uomo 'narciso', senz'altro affetto da patologia, è colui che non ha formato la propria personalità e sopperisce alla propria fragilità sviluppando una considerazione di se stesso deviata e, talvolta, pericolosa. Può essere il famoso uomo frivolo, che passa da una donna all'altra, fingendo di non riuscire a innamorarsi, perché è concentrato solo su se stesso e le donne sono uno 'strumento' per alimentare l'amor proprio, ma può anche essere un narciso più pericoloso. Vulnerabile, non attraente, teso a emergere, a nutrire il proprio sè e... in questo caso può manifestarsi come individuo violento.
RispondiEliminaNon conosce il dono, cerca donne dolci, remissive, ingenue, per instaurare il rapporto vittima - carnefice e gli uomini di questo genere possono diventare possessivi, morbosi, cattivi... non per amore. La vittima, che purtroppo, finisce nella trappola e si lascia convincere di essere perennemente in colpa, alimenta l'insicurezza e la falsa potenza del narciso - carnefice, che le fa del male psicologico e, talvolta fisico, per imporre il proprio triste dominio. Uomini che si specchiano nella loro pochezza, i Narcisi. Che diventano incapaci di amare, forse in seguito a complessi di Edipo non risolti o ad assenze genitoriali importanti... Sono gli uomini patologici che riempiono le cronache dei giornali o seminano le infelicità nel quotidiano, senza degenerare. Non degli allegri e spensierati Peter Pan... Sempre e comunque uomini soli, desiderosi di approvazione e di piedistalli. Uomini di carta velina, che si stracciano con il respiro, ma che per strane coincidenze del destino, schiacciano le esistenze delle donne. E c'è da chiedersi quanto può essere patologica una donna che sceglie il narciso e ne resta vittima. Un tema scottante, attuale, didattico.
Grazie infinite, Anna Maria e mi scusi per l'approssimazione con la quale ho trattato un problema così vasto. La ringrazio di cuore!
Maria Rizzi
Grazie alla dott. A.M. Pacilli per averci illuminato su un sentimento, uno stato d’animo, una patologia che prima o poi tutti incrociamo nella nostra vita e che può essere devastante.
RispondiEliminaIllumina con le sue parole anche poesie e poeti che ce ne hanno parlato e che spesso fatichiamo a penetrare, a capire.
Come può essere profonda la poesia! come sa addentrarsi nelle spiegazioni scientifiche illuminandole dall’interno e restituendo il dolore e il colore della vita!
UMBERTO SABA (1883-1957) Narciso al fonte (Mediterranee)
Quando giunse Narciso al suo destino
- dai pastori deserto e dalle greggi
nell'ombra di un boschetto azzurro fonte -
subito si chinò sullo specchiante.
Oh, bel volto adorabile!
Le frondi
importune scostò, cercò la bocca
che cercava la sua viva anelante.
Il bacio che gli rese era di gelo.
Sbigottì. Ritornò al suo cieco errore.
Perché caro agli dei si mutò in fiore
bianco sulla sua tomba.
Narciso cerca –in solitudine- come tutti gli egocentrici, innamorati e dolenti nello stesso tempo, il senso della vita, della bellezza, l’amore, la comunicazione consapevole, il contatto con l’altro.
Ma è ricerca ambigua. Il bacio di risposta è gelido, sbigottisce. Non può che ritornare in se stesso, amante infelice, nel suo desiderio senza vero desiderio, e alla sua inutile vita. In definitiva: alla sua morte.
Rimarrà solo il fiore, un ricordo di sconfitta, un amore nero, come ci dice P.P. Pasolini:
“Jo i soj neri di amòur
né frut né rosignòul
dut intèir coma un flòur
i brami sensa sen”
( Io son nero di amore,/ né fanciullo né usignolo,/tutto intero come un fiore,
desidero senza desiderio.) Disperazione. Grido lacerante.
Quel grido che W. Shakespeare tentò per salvare Narciso:
"Guarda nel tuo specchio e di' al volto che vi vedi
che ora è il tempo per quel volto di formarne un altro;
se ora tu non ne rinnovi il fresco aspetto,
inganni il mondo, e una madre privi di benedizione….”
Siamo nel regno intermedio posto fra l’innocenza e la colpa.
La nostalgia dell’amore perduto e ormai irrecuperabile, l’amore negato a chiunque altro non sia se non se stesso: l’amore… amore maledetto. Amore nero. Amore che si nega.
Forse ogni donna ha incontrato un Narciso: anch’io.
Sono fioriti i narcisi selvatici
nel prato umido del vecchio fontanone.
Sono tanti, belli, profumati, slanciati sui lunghi steli.
Con l’elegante fiore bianco in cima s’apre una corolla
doppia, dal colore più intenso, al centro.
Li osservo fredda: non riesco ad ammirarli.
Guardo quel loro bel capino che si piega verso il terreno
e mi ricordo con fastidio la favola ovidiana.
Bello e leggiadro era il giovinetto, ma incapace di amare alcuno,
solo se stesso. E per se stesso muore, cercando
di raggiungersi nell’acqua, specchio che lo riflette.
È una favola certo, una delle tante metamorfosi…
Ma quanto assomiglia a te il bel Narciso.
L’egocentrismo è il tuo baricentro.
La tua vanità la corona, la misura del mondo.
L’eleganza e la raffinatezza non mi bastano.
Non posso amarti, mio caro, e non mi dispiace.
M. Grazia Ferraris