(Centro "Aleph", Trastevere - 1 aprile
2016)
Ho conosciuto Ester
come poetessa, avendo presentato il suo testo "Come foglie in
autunno" del 2012, con prefazione di Ninnj Di Stefano Busà. Notavo, in
quel testo, una peculiarità di stile che ritrovo ora in forme diverse in questo
lavoro narrativo, dove l'autrice dà corpo ad una raccolta di racconti brevi. Mi
riferisco ad uno stile asciutto, essenziale e immaginifico, non nel senso di
immagini oniriche, fantastiche, ma nel senso che fotografa immagini del mondo
reale in maniera iperrealistiche, con colori netti e vividi, solari,
mediterranei. Un mondo oggettivo carico di mistero, di valenze arcane. Stile
descrittivo ed analitico, dove la denotazione assume valenze connotative: superficie
e profondità in un unico respiro.
Trovo pertanto
giusto definire animistico il leitmotiv dei sedici racconti qui
presentati, rubando il termine a Maria Rizzi che li commenta in postfazione. Animistica è la tendenza a credere la
realtà animata, dotata cioè di principi intelligenti autonomi che possono
venire comunicati. Tutto ciò può sembrare atipico per una persona di scienze
come Ester Cecere, che sappiamo impegnata nel CNR in qualità di biologa marina,
ma è il segno indiscutibile dell'evoluzione dei tempi. La scrittrice viene
incontro alla scienziata, persuadendola che non soltanto l'uomo ha un'anima e
che la sua intelligenza è in grado di agganciare altre intelligenze del creato.
Se così non fosse, come faremmo a rispettare gli altri esseri che vivono e
respirano intorno a noi? Dovrebbero oramai essere evidenti i risultati di una
tale chiusura mentale.
Leggere e
approfondire il libro di Ester Cecere significa tante cose, ma soprattutto
significa entrare in sintonia con il vivente: uomini, donne, piante e animali.
Emblematica è la storia del Gabbiano che
tornò a volare. Gli umani hanno la capacità di procurare al creato danni e
ferite mortali. Il gabbiano trovato sulla spiaggia è affetto da intossicazione
da botulino e soffre di una forma di paralisi progressiva dovuta all'ingestione
di un batterio che si sviluppa nelle acque di laghi, fiumi e mari, per cause di
sostanze dall'uomo in esse versate. La scrittrice riesce a salvare il gabbiano
grazie alle cure prestate dal centro regionale di recupero di animali
selvatici, ma quanti animali possono vantare questa fortuna? Quanti gabbiani
morenti per lo stesso motivo possono incontrare una biologa marina sul proprio
cammino?
"E' inutile per
l'uomo conquistare la luna, se poi finisce per perdere la terra". Il motto,
di Francois Mauriac, è posto ad esergo di questo racconto, così come la
scrittrice usa fare per ogni racconto, con interessanti, appropriati e introduttivi
pensieri di noti autori. Ma voglio citare alcune frasi dal testo, a riprova
delle valenze animistiche di cui si parlava: "Lo afferrai delicatamente
dai fianchi, si girò verso di me e, pur potendo beccarmi, non lo fece... volevo
fargli sentire la mia vicinanza, ma temevo di infastidirlo. Sembrava che
capisse che ero in pena per lui. Seguiva ogni mio movimento... Quando lo
fissavo intensamente negli occhi, non li distoglieva dai miei, sembrava
rispondere al mio sguardo con la stessa intensità".
Gli smaliziati, i
disincantati diranno che questa non è altro che una fittizia umanizzazione
della natura, degli animali, del tutto gratuita. Lasciamoglielo credere, ma
cosa cambia se invertiamo i termini della relazione, pensando che sia invece
l'uomo, in questi casi, a tornare all'ovile, entro l'ordine ed entro il grembo
della vita naturale? Quello che conta è la sintonia che si stabilisce tra
esseri viventi, non altro. Sintonia intelligente. Di un'intelligenza che vive,
non di un'intelligenza morta, che si astrae dalla vita, come quella razionale. Probabilmente
io sto forzando le intenzioni della scrittrice, e se è così chiedo venia. Tuttavia
non direi, leggendo e rileggendo racconti come Morte di un gigante, dove si assiste alla morte del capodoglio
arenato sulla spiaggia insieme ad altri compagni, per causa di sostanze
inquinanti finite in mare per causa delle attività umane.
Struggente il
colloquio della dodicenne Patrizia, sfuggita alla mamma, con il cetaceo morente.
"Quello che quei due esseri, così diversi eppure così simili... si dissero
non lo seppe mai nessuno", commenta la scrittrice. Ai fanciulli resta
facile ciò che agli adulti sembra impossibile. Come mai? Loro si sdoppiano,
dialogano con se stessi ed il se stesso profondo, l'alter ego, li pone in contatto con l'universo intero. "Li
abbiamo uccisi noi", riferisce Patrizia alla madre singhiozzando, al
termine del suo dialogo con l'animale. Ed ecco la citazione prodromica,
esplicativa, di Hubert Reeves: "L'uomo è la specie più folle: venera un
Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la
Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando".
Quella dell'uomo,
purtroppo, è una mente che mente, destinata a scavarsi la fossa con le proprie
mani. E' una mente che scambia Lucciole
per lanterne (è il titolo di un altro racconto), dove giganteggia l'ipocrisia
e la lusinga, il raggiro e l'imbroglio. In una sola parola: l'illusione. Il
tema dell'autenticità, dello spogliarsi di ogni maschera, è particolarmente
sentito dalla scrittrice. Si legga Il
bambino che voleva morire.
Spericolato ed esibizionista, si dà arie da capobanda, ma in realtà è
fragilissimo e le sue mattane sono solo espedienti per richiamare l'attenzione:
gli è morta la mamma e ha bisogno di tanta comprensione. "La vera
comprensione è quella che va al di là della ragione e che si fonda
sull'istinto, sul cuore" (la massima è di Tiziano Terzani), ma il cuore di cui qui si parla non è la sede
delle emozioni, bensì quella, non emotiva, delle leggi universali.
Il cuore è il centro dell'essere, la sua vera
essenza spirituale. Non ha alcunché di passionale, questo cuore, è puro istinto, come quello degli animali. Ester parla molto
spesso di questa sapienza innata, che non è frutto di studi o di esperienze, ma
viene agli esseri dalla nascita, e dunque all'uomo per il semplice fatto di
nascere umano. Prendiamo Viviana, giovane psicologa che assiste i malati
terminali in un ospedale oncologico. La scrittrice ci avverte che "lei
tutte queste cose le aveva studiate, ma in realtà era come se le avesse sempre
sapute. Per istinto, intuiva quello di cui aveva bisogno in un determinato
momento ogni paziente". In sostanza, vuole dirci Ester, ci sono psicologi
nati. E a conferma di ciò, ci descrive un paziente, Vincenzo, pieno di
metastasi, che rifiuta i puntelli psicologici ed è in grado di accettare serenamente
il suo stato.
E che dire di Rossella,
che deve prendere Una decisione a dir
poco difficile? Si sa che l'amniocentesi, in una donna incinta non più
giovane, può procurare l'aborto, mentre non farla può significare far nascere
un figlio down. Grande titubanza e
nessuno sa consigliarla, sta a lei la scelta. Sottopone alla mamma il quesito,
ed insieme convengono di mettersi nelle
mani di Dio, di affidarsi al mistero. "A dicembre, quasi a Natale,
nacque Giulia, sana e bellissima". Essere nudi, essere spogli, essere
veri, affidarsi al mistero. Miriam, in un altro racconto, incontra per strada
un anziano dottore e lo aiuta a portare una delle Due borse pesantissime che a fatica trascina, rendendosi
disponibile ad ascoltare i mille ricordi della sua vita. Vinta la riservatezza,
il medico diviene un fiume in piena ed è interessante il contrasto tra la
generosità della protagonista e la totale indifferenza del nipote
dell'oculista, preoccupato soltanto dell'eredità dello zio.
Tuttavia non si può
sempre essere sinceri. A volte l'astuzia è indispensabile, e non è ipocrisia. Ecco
un esempio. Siamo nel '43 e si combatte una guerra nella guerra, tra fascisti e
partigiani. Rosanna, nel corso di una passeggiata in montagna, tra i boschi,
s'imbatte in dei partigiani che vogliono giustiziare un soldato della Guardia
Nazionale. Non uccidete quell'uomo!, lei
grida, e quelli decidono di giustiziare anche lei. All'ultimo momento ritratta ("Stavo
scherzando"), così la lasciano andare. La voce interiore consiglia sempre
per il bene, per il meglio. A volte, come in questo caso, pretende l'inautenticità,
la maschera, per avere la possibilità di continuare un'esperienza di vita che
altrimenti verrebbe troncata.
Altre volte invece,
come nel caso di Gabriella, consiglia la sincerità, visto che lei finisce
sempre per interrompere le sue relazioni con uomini che non sopportano la sua
indipendenza. "Manda a quel paese anche lui e non ficcarti più in questo
genere di pasticci". Può sembrare contraddittorio il comportamento dell'alter ego, che in un caso consiglia la
sincerità e in un altro la menzogna, ma invece c'è una grande coerenza. Il suo
scopo è sempre e comunque di tutelare l'uomo incarnato, la sua libertà nel
portare avanti le proprie esperienze. Di grande interesse il vivace dialogo che
Gabriella intrattiene con "Gabriella Bis", come sdoppiandosi e
guardandosi allo specchio. Il suo doppio, spiega la scrittrice, "svolgeva
il ruolo dell'avvocato del diavolo quando si trovava, diciamo così, a discutere
con se stessa".
Ma veniamo al
racconto che s'intitola "A passeggio
con la mia malinconia". Qui si narra in maniera esplicita di un vero e
proprio sdoppiamento. Il racconto è autobiografico. Giornata primaverile: nel
suo ufficio, l'autrice avverte l'urgenza improvvisa di uscire, di ritrarsi dal
mondo per entrare in compagnia di se stessa. Entra nella villa comunale e, tra
i ricordi d'infanzia che le vengono incontro, incredibilmente viene a trovarsi di
fronte a se stessa. Le appare una giovane donna, fragile e malinconica, che la
stupisce con memorie che riguardano la sua infanzia, quelle della nonna
particolarmente. Il lettore ha la sensazione nettissima che l'essere dell'uomo
viva su due piani distinti: uno visibile e l'altro invisibile, pronto ad
aiutarlo nei momenti difficili, se lui realmente lo vuole. Così l'esortazione
di Sergio Bambaren, posta ad esergo di questo racconto esemplare, sembra
l'esortazione dell'alter ego:
"Sii come le onde del mare che, pur infrangendosi contro gli scogli, trovano
la forza per ricominciare".
Franco Campegiani
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