Umberto Cerio, collaboratore di Lèucade |
Pasquale Balestriere, collaboratore di Lèucade |
NOTA PER “OLTREFRONTIERA”
di Pasquale Balestriere
Pasquale Balestriere: Oltrefrontiera (per crinali di luce e cune d’ombra). Edizioni Confronto. Fondi. 2015. Pg. 47
Nella sua
splendida poesia, come nella sua vita di poeta-contadino, -una scelta di vita
credo tardiva ma estremamente fruttuosa, pianta nei solchi solidi dei versi,
una parola, poi un’altra e un’altra ancora …. e nasce una pianta, un
albero con rami possenti, come pianta semi (egli predilige quelli della vite,
mi pare) nei solchi della terra (del padre) con fatica, ma anche con passione
ed amore. Fa come faceva il padre che “in accennati solchi/depositava
semi” da cui spesso nascevano scarsi frutti, ma frutti veri, fragranti e
saporosi Non è la prima volta che parla del padre nella terra avara e scomoda
dell’isola di Barano d’Ischia, lo ha fatto ampiamente e spesso in passato in
altre sillogi, ponendo in primo piano la figura del padre, che ha amato e che
ama ancora (ne ho già parlato su questo blog). E’ un dovere dovuto agli avi e
alla terra, una virgiliana “iustissima tellus”, che richiede dura fatica
ma che poi dona i suoi frutti, soprattutto dorati grappoli d’uva da cui nasce
il suo nobile “pitecusano”. (Perdonami, Pasquale, se rivelo qualche tuo piccolo
segreto!).
In questa
ultima silloge, che ha vinto il prestigioso premio di poesia “Libero De
Libero”, P. Balestriere riesce a fare un affresco degli affetti familiari,
delle sue memorie sempre vivide, significative, che spesso diventano simboli,
del senso della vita, della fatica di essere uomini, senza rassegnazione ma
anche senza rabbia, sempre con serena visione delle cose e del mondo, con
dolore che spesso affiora, ma sempre dominato dalla saggezza dell’uomo, del
tempo che passa inesorabile sulle trame dei giorni che spesso ci trascinano
lontano da nostri desideri più vivi, come andare “nei campi”, perché “Mi
aspetta invece/Orazio Venosino mio fratello/quello del carpe
diem, vina liques”. E’ una dichiarazione d’amore per l’antica (e la nuova)
classicità che possiamo ritrovare in “Sorte”, in “Tramonto a Paestum”, in “Il canto degli dei”, in “Era l’età del
sapias, vina…”, dove possiamo cogliere l’eterno susseguirsi degli eventi
dell’umana ventura.
E’ una
silloge , quest’ultima di Balestriere, che, tra crinali di luce e cune
d’ombra si legge tutta d’un fiato, e la si legge ancora, e ancora, nella
quale “I momenti”, “I luoghi”e “I tempi” segnano solchi profondi dove nascono
alberi di poesia possente, classici nella fattura del verso ma moderna e viva
nella sostanza, dove risuonano i rumori della metropoli, dove le memorie non
sono rimpianti, ma vita attraversata spesso con gioia, quando era gioia, e non
solo peso e fatica quando poi compare il dolore e il male di vivere.
Mi piace
sottolineare ancora che questa ultima fatica di P. Balestriere riesce a
cogliere la storia della vita con precisione, spesso con disincanto, verità
talvolta amara, ma saggiamente e umanamente attraverso un dialogo con la natura
e con se stesso, senza infingimenti, senza significati nascosti e segreti, ma
con la semplicità delle parole che vogliono cogliere il significato ed i
significanti della vita in tutte le sue pieghe e della “sorte” dell’uomo.
Complimenti,
Pasquale, con tutta la sincerità d’animo. E scusami il ritardo (tu ne conosci
la ragione) e scusami anche l’incompiutezza di questa nota, che non basta a
dire tutta la bellezza di questo tuo lavoro.
Umberto Cerio
Quello di Balestriere è un esempio luminoso di come la poesia possa rinnovarsi ed essere contemporanea restando legata alla classicità. Ciò non vuol dire che il poeta non sia consapevole che il mondo classico sta andando in frantumi nella modernità. Non credo pertanto che il suo intento sia di "restaurare", di "conservare", quanto piuttosto di continuare a cogliere in ciò che si è infranto l'aspirazione all'unità. La sua poesia delle piccole cose è tesa a scoprire nel particolare il battito dell'universalità. Non è l'intimismo crepuscolare che vive il frammento come dispersione, come frattura dolorosa e irreparabile dall'unità. Né tanto meno c'è traccia, in questi versi, del minimalismo dei tempi attuali, che ha chiuso totalmente i ponti con l'universalità. Balestriere avverte nel quotidiano, nella semplicità degli affetti e dello scoglio in cui vive (la sua isola, la matria terra dei padri)il lampo lontano dell'eternità, di quegli archetipi da cui l'umanità s'è allontanata, ma che sono e restano il suo stampo perenne, la sua quintessenza, la sua verità. Ho già avuto modo di leggere "Oltrefrontiera" e conto di tornare a farlo con maggiori attenzioni, magari con la guida dell'acuta lettura che qui Umberto Cerio ne dà.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Voglio ringraziare il carissimo Umberto Cerio per questa nota emozionata ed emozionante, pervasa d'affetto, di competenza, di cultura, di conoscenza della realtà nella quale normalmente spendo i miei giorni. E un affettuoso grazie anche a Franco Campegiani che, come sempre, acutamente intuisce; e dichiara.
RispondiEliminaPasquale Balestriere