Valeria Serofilli, Prof.ssa, critico letterario, scrittrice |
La paziente tenace ricerca poetica
di
Alessandra Paganardi
Nota di lettura di Valeria Serofilli a La pazienza dell’inverno ( puntoacapo
Editrice, 2013) di Alessandra Paganardi
"Ancora una volta la poesia
autentica mostra il suo nodo: sprofondare nella malinconia del nulla, quasi fino all’afasia, per emergerne con un messaggio di dura fiera e musicale resistenza. Tutto il
libro testimonia questo combattimento, e il titolo stesso del libro, La pazienza dell’inverno, entra nella mente del lettore come un invito a lasciar passare le cose peggiori, in attesa di un mutamento positivo di cui talvolta si dispera”.
Ad apertura di questa mia breve disanima introduttiva del libro La pazienza dell'inverno di Alessandra
Paganardi, mi piace riportare questa
frase tratta dalla corposa e intensa Prefazione di Marco Ercolani, lasciando
poi al lettore il compito e il piacere di leggere ciascun verso di ciascuna
lirica, entrando in modo individuale nel mondo poetico dell'Autrice.
Il volume si articola in sei sezioni, una
delle quali costituita da Frontiere
apparenti, opera vincitrice dell’edizione 2009/2010 del Premio Astrolabio, di cui ripropongo un
interessante stralcio della motivazione curata da Mauro Ferrari, valida dunque anche
per l’opera qui oggi presentata: ”Se c’è uno spunto autobiografico e fattuale,
questo si situa subito prima di laceranti riflessioni sulle occasioni e sui
luoghi che ci hanno reso ciò che siamo, sulle direzioni non prese e sulle
potenzialità non espresse della nostra vita; ma, anche, questi versi sempre
poggianti sulle cose e sui sensi, ci fanno riflettere su ciò che abbiamo costruito nel divenire
della vita.”Soltanto ciò che è dato sarà tolto” dice in un verso alto e sonante
di saggezza quasi epigrammatica: Alessandra Paganardi mette in scena il dramma
della vita, il sentirsi grumo ed erranza, che è comunque un’apertura allo
slancio vitale e alla costruzione di un nostro mondo in cui sia possibile,
nella frase di Holderlin “ abitare poeticamente”.
Riprendendo la mia personale disanima
posso affermare che La pazienza dell’inverno è un lungo e teso braccio di ferro tra
desiderio di silenzio e volontà, o forse sarebbe più esatto dire
necessità, di espressione. A questo contrasto di affianca la dicotomia più
classica: quella tra il senso dello scorrere del tempo e la speranza di poterlo
in qualche modo fermare, arginare, dandogli una diversa forma e una misura più
umana.
Il ritmo del libro è "mono-tonale",
facendo ancora riferimento al termine scelto da Ercolani. Come una goccia che
cade ogni giorno nello stesso modo, con lo stesso suono, su un suolo che lo
accoglie passivamente. Il suono dell'inverno, la sua musica triste. Ma è
proprio qui la sfida, quella a cui fa riferimento il titolo: l'attesa.
È un'arte che richiede perizia, tenacia,
molto fiato. L'attesa
per qualcosa che nel momento in cui viene concepito appare non solo improbabile
ma quasi impossibile. Eppure la coscienza e
la consapevolezza, il sogno e la memoria sanno che alla fine di ogni inverno,
per quanto lungo possa essere, c'è una primavera:
al ramo spogliato porteremo
un’attesa gentile
di pazienza e silenzio
lo chiameremo solamente inverno
non sarà più dolore.
(da Quarto piano)
Quindi la parola trova risorse che non
pensava neppure di possedere e cambatte l'afasia, il desiderio del nulla,
l'azzeramento.
«Seguire il solco, non l’aratro –
dentro / la legge della terra, sempre quella / che non ascolti.
Ritrovare il seme / nascosto, o non scoprirlo / se non era per
noi.»
(Si veda la lirica XII di pag.46)
Non saprà nessuno
che il mio buio è la madre del mondo, afferma l'autrice nel distico conclusivo della lirica che
apre la Sezione "Voci in ombra". E sono versi emblematici dei
contrasti e delle contrapposizioni di cui si è detto. Sapere di essere fatti di
buio ma cercare la luce. Un continuo e paziente lavoro di adattamento alla
materia, alla pietra soprattutto, quella che appare inanimata ma che contiene
in sé il cammino, la strada, la possibilità di mutare terreno e orizzonti.
Di quella pietra nel cemento
non è rimasta che un’impronta vuota.
La terra ha una memoria minerale
si riempie quando passa forte il vento
o il piede indelicato del passante
a scalciare la vita.
(Si veda la lirica VII di pag.68)
Anche la dedica della Sezione
"Ritaglio" a Cesare Pavese è conferma ulteriore di un legame non solo
letterario ma umano, di spirito di com-passione, sofferenza condivisa, vissuta
in tempi diversi ma con coordinate condivise. Ma a differenza di Pavese trova in sé la
tenacia dello scalatore che a un certo momento non è più diretto verso la
vetta, la verità assoluta, ma verso ogni singolo passo, ogni molecola di
polvere, fango e aria che circonda il mondo e l'uomo e ne costituisce la
materia:
Non più segreti. Non più parole.
Era rossa d’amore la terra
ma per trovare il caldo di un abbraccio
dovevo farmi radice, scendere
fino al centro del fuoco.
(Si veda la lirica III di pag.75)
Per concludere, questo libro di
Alessandra Paganardi è un lungo e sincero diario di viaggio: dagli abissi del
buio alla ricerca di quelle radici che in realtà sono rami, e frutti. E quell' abbraccio
caldo è il traguardo, la meta.
Valeria
Serofilli
Caffè
dell’Ussero di Pisa 16.09.2016
Prof.ssa
Valeria Serofilli
Presidente AstrolabioCultura
Premio Astrolabio e Incontri Letterari dell’Ussero
"Disanima" -per ben due volte- in luogo del corretto "disamina".
RispondiEliminaNon è un po' troppo per un contesto letterario?