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lunedì 3 ottobre 2016

CARLA BARONI: "I POETI E LA CRISI"


Carla Baroni, collaboratrice di Lèucade


Non conosco l'Antologia I poeti e la Crisi e perciò probabilmente il mio intervento è assolutamente fuori luogo. La crisi della poesia o la crisi economica? Se si tratta della prima, già annoverare come poeti più di 170 persone mi sembra eccessivo. Ora tutti hanno qualche soldo e pubblicano a proprie spese un libricino ma non significa che siano poeti: sia ben inteso io sono tra questi e mi reputo una poetessa anche se molti magari storceranno il naso. Adesso è molto facile scrivere in poesia. Basta esprimere un pensierino andando a capo ogni tanto ed ecco una lirica bella e pronta. Non esiste musicalità, non esistono immagini, non esistono metafore, non esiste niente di quanto  fa una poesia. Non ditemi che non è importante la metrica perché molti testi hanno una musicalità interna: questa è una delle panzane più grosse che si sentono in merito. È come ascoltare un brano di Chopin  e il rumore che fa un bambino battendo con un cucchiaio su una pentola. La metrica la conoscono in pochissimi, anche persone di molta cultura e quindi non sanno apprezzarla. Anzi talvolta mi hanno fatto delle filippiche inopportune per la superiorità delle poesie senza metrica quando poi le stesse persone tentano di scrivere sonetti che non rispettano la forma dei sonetti e haiku che non rispondono alle regole degli haiku.
Però, come ho detto sopra, la poesia non è solo musica. Ci sono tante altre cose che fanno bello un testo il quale non deve necessariamente commuovere. Intanto l'originalità del contenuto: al bando migranti, bimbi morti, femminicidi e prostitute costrette al mestiere più antico del mondo da brutali sfruttatori. Anch'io ho scritto qualcosa del genere per avere un po' di spazio in qualche concorso però una delle poesie che avrei voluto veramente annoverare tra le mie è T'amo o pio bove del Carducci. Non è una lirica che mi commuova ma è inimitabile mentre centinaia di testi sembrano fatti con lo stampino. Molti copiano da Montale che è, per i più, quasi un perfetto sconosciuto se le sue immagini vengono prese a piè pari senza che nessuno se ne accorga, Luzi poi è nel dimenticatoio più assoluto, sì e no che qualche giurato abbia letto una sua poesia. E allora dei poeti del novecento chi sarà rimasto tra cinquant'anni? Sarà ricordato un Alfonso Gatto tanto per fare qualche esempio? Sarà ricordata, invece, una Merini - la cui statura poetica è decisamente molto inferiore a quella di coloro che ho appena nominato - salita alla ribalta per il fenomeno mediatico creato da Maurizio Costanzo. Ma i testi più apprezzabili di questa poetessa sono quelli dei periodi in cui lei aveva qualche nome importante al suo fianco, capace cioè di darle qualche consiglio. Del resto della Merini ho già scritto sufficientemente in questo blog.

Se invece Crisi riguarda la crisi dei valori o di qualche altra cosa di contingente ritengo sia molto sbagliato che ciò debba essere affidato alla poesia. La validità di questi testi di denuncia che colpiscono tanto molti giurati non supererà il periodo in cui si manifesta quel dato fenomeno: Giuliano Manacorda mi diceva che la poesia deve essere atemporale. E lasciamo, per piacere, da parte la commozione: ci sono poesie bellissime la cui emozione viene data dai valori estetici del testo, immagini, metafore, e non dal contenuto lacrimevole da feuilletton ottocentesco.

Carla Baroni

11 commenti:

  1. Gent.ma Sig.ra Baroni, sento istintivamente di intervenire su quanto sopra da Lei espresso per esprimerLe il mio completo assenzo sul contenuto dello stesso. Lo condivido in pieno e l'ammiro per la schiettezza del dettato. Oggi, con la scusa di volere o dovcer essere al passo con i tempi (anche in campo poetico),a me pare che in questa corsa si stia andando a sbattere. Anche chi ci guida a livello politico afferma, ripetutamente, che dobbiamo essere al passo con i tempi o delle altre nazioni in barba ai padri di famiglia e ai giovani che sono o che restano o peggio divengono senza lavoro; tanto per loro sono e siamo numeri manipolabili a piacimento. Ma tornando alla poesia credo che il suo pensiero, seppure in altro versante l'ho espresso su questo blog tempo fa quando affermavo che la poesia contemporanea non è più poesia ma prosa vestita con abito poetico e, come afferma Lei, e se mi permette, anche il sottoscritto, di poesia non ha niente. A me pare che oggi scrivere delle belle parole in forma poetica sia di fatto una poesia; ciò, come Lei ancora afferma è una delle panzane più grosse che si possono affermare con il bene placido di giurati nei vari premi letterari. Il timoniere di questo blog ha sempre affermato e afferma che: anche la poesia a verso libero e quindi moderna ha le sue regole inalienabili. Pasqualino Cinnirella

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  2. Condivido senz'altro l'assunto che la poesia abbia delle regole e che il genio creativo, in genere, non sia uno sregolato. Mi chiedo, e vi chiedo, tuttavia: sono le regole a fare la poesia o è la poesia a fare le regole? Chi viene prima, le regole o la poesia? E se la poesia viene prime delle regole, che cos'è dunque la poesia?
    Franco Campegiani

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  3. Tanto si è discusso e tanto ancora ci sarebbe da dire su questo argomento, ma per quanto mi riguarda, trovo che la risposta alla pertinente domanda di Franco Campegiani sia meravigliosamente sintetizzata in quella frase di Keats che ho appena avuto il piacere di leggere nell'intervista, estremamente interessante, del nostro Nazario a Stefano Labbia. Scrive Keats "Se la poesia non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure".
    Ecco perché ho molti dubbi sull'efficacia dell'uso di regole metriche nella composizione lirica e nello stesso tempo non credo negli sperimentalismi linguistici. Vero e libero-sciolto sia il verso!
    Come l'amore.

    Annalisa Rodeghiero

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    1. Salve Annalisa, La ringrazio per le belle parole che mi rivolge! L'aspetto alla presentazione del mio libro! Cordialità. Stefano Labbia.

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  4. A Cimirella rispondi:
    La ringrazio molto per aver condiviso le mie idee.

    A Campegiani.
    È nato prima l'uovo o la gallina? Chi mi conosce sa che mi piace scherzare e quindi non si offenda. Tonino Guerra affermava che il testamento di sua madre,che lasciava agli eredi piante di geranio in vasi di latta, era vera poesia.
    Però, se Lei legge bene il mio scritto, dico che non sono solo le regole a fare bello un testo ma anche le immagini e le metafore. Quindi poesia prima delle regole tuttavia qualcosa di originale non scopiazzato di qua o di là. Comunque La ringrazio molto per avermi risposto. Io La leggo ogni tanto e l'apprezzo anche se non La conosco di persona.

    Ad Annalisa
    E chi Le dice che un verso non nasca in metrica? Lo sa come sarebbe difficile scrivere interi poemi, ad esempio in endecasillabi, senza avere la percezione della musica? Il “labor limae” si fa dopo come per ogni scritto.
    Quanto all'amore, qualcuno dice “Famolo strano”. È sempre e comunque questione di gusti.

    Carla Baroni

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    1. Non mi offendo affatto e sono anzi piacevolmente sorpreso dal suo modo di scherzare. Che dirle? Mi aspettavo una risposta di questo genere, tuttavia sento di dover chiarire una cosa. L'uovo e la gallina appartengono al medesimo progetto, per cui poco importa sapere chi viene prima. Ma se le regole poetiche sono fissate in partenza, allora si tratta di adattare l'ispirazione ad un modello che non le è proprio, che le è estraneo, e questa mi sembra una forzatura. Con ciò non intendo dire che le regole non esistono, ma che il diritto di sceglierle, molto più che ai trattati di metrica, spetti direttamente alla Musa. Allora e solo allora diviene lecito parlare di uovo e di gallina. Naturalmente io non escludo che una poesia possa nascere direttamente in metrica. Gli esempi non mancano, ce ne sono a iosa, ed anche in quei casi è calzante l'immagine dell'uovo e della gallina.
      Franco Campegiani

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  5. Stavo per concludere il mio commento scrivendo "A meno che un verso non nasca in metrica". Non l'ho fatto perché se la mia affermazione è valida per un verso, la trovo difficile anche se non impossibile per un'intera composizione. Già cercare la parola giusta per la rima dovendo magari sostituire la prima parola pensata (quella che io ritengo la più vera)con un'altra, credo tolga qualcosa all'ispirazione. Perché solo di questo ha senso parlare in quanto credo che solo dell'ispirazione sia figlia la poesia, come pure credo che l'ispirazione non possa sottostare a regole. Sono anche convinta che un testo possa avere una sublime musicalità interna senza essere necessariamente scritto in metrica. In quanto ai contenuti, perché mai metterne alcuni al bando? Da tutto e dal niente nasce la poesia. Non amo le poesie d'occasione, soprattutto se scritte per vincere un concorso (mai una poesia dovrebbe essere scritta per vincere un concorso!)ma se fossero davvero i migranti o un bimbo morto a farci "gelare tutti, così che nessun fuoco possa scaldarci" (per dirla alla Dickinson), perché non seguire l'onda creativa in tale direzione? Concludo chiarendo che il paragone con l'amore era solo in riferimento alla scintilla naturale e vera della sua "nascita"... come quella delle foglie di Keats.
    Annalisa Rodeghiero

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  6. cara Annalisa, io non conosco perfettamente le regole della metrica, ma scrivo subito in metrica, ossia vado a orecchio:ormai è una forma mentis . A Ferrara, dove abito, una biblioteca mi ha chiesto di fare una lezione sulla metrica e mi sono dovuta imparare tante cose che facevo istintivamente. Però sempre in biblioteca esiste il manoscritto Parisina di Gabriele D'annunzio ed è pieno di cancellature. Anche Leopardi ne faceva molte. Secondo Lei hanno sbagliato a sostituire una parola con un'altra? Io scrivo principalmente in endecasillabi sciolti come fa il nostro caro Pardini che ora ci ha regalato una stupenda poesia, e concordo con Lei che le forme chiuse sacrificano un po' l'ispirazione. Ho scritto infatti un libro di oltre centocinquanta sonetti e spesso mi sono trovata in difficoltà. Ma non ero Foscolo e non avevo il suo talento perché in fondo è proprio di questo che si tratta.

    Carla Baroni

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    1. Sono d’accordo con Lei: “Le forme chiuse sacrificano un po’ l’ispirazione” mentre l’endecasillabo sciolto può davvero uscire spontaneamente come acqua pura di sorgente. Mi piace inanellare i miei versi liberi con endecasillabi ma solo se nascono da parto naturale, senza avermi dato il tempo di contare le sillabe.
      Tutti facciamo delle cancellature che credo abbiano un senso se non vanno a cambiare il senso (mi perdoni il gioco di parole) alla poesia ma servono a perfezionarne la forma. Mi è capitato, in certe forme chiuse, di trovare rime forzate ( là forse è stata sacrificata la vera parola, solo questo intendo dire).
      Mi associo all’elogio da Lei fatto al nostro caro Nazario, al suo canto in endecasillabi di sublime bellezza perché dettati da un sentire vero e raro.
      La ringrazio per avermi dato modo di riflettere.
      Annalisa Rodeghiero

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  7. Non intendo entrare nel merito delle affermazioni (molte condivisibili) di Carla Baroni. Una delle sue tesi, tuttavia, merita una chiosa. L’affermazione che mi lascia interdetto è quell’invito (che a me pare gratuito e semplicistico) a mettere “al bando migranti, bimbi morti, femminicidi e prostitute”. Ma la lista, come facilmente si può immaginare, è incompleta e dovrebbe ricomprendere (per evidente “parentela” socio-sentimentale) anche malati e mendicanti, perseguitati e vittime dei dittatori, clochard e portatori di handicap e carcerati... E ancora, se la selezione dovesse tenere conto, come afferma Carla Baroni, del criterio della “originalità del contenuto”, allora, per dire, i campi di sterminio e la Shoah non dovrebbero più rappresentare temi degni di attenzione da parte dei poeti. Al di là, poi, delle questioni estetiche, della sostanza e della forma poetiche, della crociana intuizione pura, della metrica e delle sue regole, accomunare in un unicum indistinto il “feuilleton ottocentesco” e la drammatica sequenza delle tragedie moderne e contemporanee (con il perentorio invito: “E lasciamo, per piacere, da parte la commozione”) rappresenta uno sberleffo alla sensibilità dei tanti (anche poeti!) che quotidianamente si interrogano sulla natura e sui destini dell’uomo.
    Per tornare alla poesia e alla sua autenticità (assai opportuno, a questo proposito, il rinvio di Annalisa Rodeghiero all’affermazione di John Keats), il problema non è, con ogni evidenza, il tema che il poeta tratta, ma la forma/sostanza con cui egli riesce a dare, ai suoi versi e alle sue parole, luce, forza, bellezza, verità, con ciò riuscendo a fare poesia. Così, tanto per restare in argomento, oltre che “Il bove”, Carducci ha scritto anche l’altrettanto famosa “Pianto antico”; il tema qui trattato è quello, appunto, del “bimbo morto”: si può forse affermare, in questo caso, che il contenuto e la “commozione” del poeta (e del lettore) “inquinino”, o addirittura “spoetizzino” quel testo? E a proposito di bellezza, commozione ed emozione, si può forse ritenere che l’atarassica imperturbabilità del “pio bove” carducciano abiti un piano “poeticamente” più alto e nobile di un testo come “Se questo è un uomo” di Primo Levi?
    Umberto Vicaretti

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    1. Caro Umberto, mi dispiace di averti involontariamente ferito, ma io poco sopporto le poesie “lacrimevoli” non sostenute da una vera commozione. Tu fai l'esempio di Pianto antico ma c'è una bella differenza tra il piangere la morte del proprio figlio e piangere per quella di un bambino che neanche conosci. Il dolore di quel padre non si attenuerà con il trascorrere del tempo, mentre la commozione provata per il bimbo sconosciuto è la stessa che si avverte leggendo i vecchi romanzi di appendice tanto cari alle nostre nonne, ora sostituiti dalle fiction televisive. Vuoi mettere la superiorità della tua poesia Il torchio in cui con estrema leggerezza parli della “partenza” - si legga dipartita- di tuo padre su l'altra che tratta del camionista svedese?
      Anch'io scrivo poesie del genere dove però spesso mi invento storie non apparse sui giornali. Tuttavia è il dolore personale, quello vissuto cioè sulla propria pelle ed espresso senza enfasi che colpisce la mia sensibilità. Faccio un esempio che tu non condividerai: mi piace immensamente Gozzano in cui la sofferenza per la consapevolezza della morte imminente aleggia in gran parte della sua produzione, una sofferenza sottile quasi mai esternata, ma comunque palpabile.
      La tua è una poesia di denuncia, la mia una poesia intimista con molti risvolti ironici. Due generi molto diversi ma che hanno entrambi il diritto di esistere se rispettano quei canoni che ho posto a base di ogni poetica.
      Del resto se dovessimo piangere a calde lacrime per tutto quello che di triste avviene nel mondo, ci resterebbe ben poco da godere.
      Ciao Umberto, non me ne volere, io dico sempre quello che penso.

      Carla Baroni

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