Nazario Pardini: I canti dell'assenza. The Writer. Milano. 2015 |
Pensieri
di lettura del libro “I canti dell’assenza”. Autore Nazario Pardini. Itri 7 ottobre 2016
Patrizia Stefanelli, collaboratrice di Lèucade |
Quando
si ha tra le mani un dono come I canti
dell’assenza, non si può fare a meno di riflettere e riportare preziose
sensazioni, insegnamenti e domande:
Che cosa siamo nel volo della vita? Carne molle all’ingiuria del tempo o arditi voli verso soli di conoscenza e di virtù? Siamo acqua o fuoco, aria o terra? Siamo tutto per tornare al nulla che dall’eternità fa tutte le cose? Ditemi alfine! Ch’io sappia almeno/ ove cercare; carne della mia, /figlio imprudente, dove il volo tuo/lontano dai miei occhi. Cosa fare? (Il volo di Icaro). Cosa fare? A questa domanda non v’è risposta. Padri e figli, della stessa umana natura, continuamente cerchiamo oltre noi stessi e cadiamo esausti, dove il passo ci conduce. Restare fermi sarebbe impossibile e inutile. La vita, come acqua, ci scorre tra le mani e le forgia alla circostanza, al miracolo della sete di conoscenza che ogni giorno si ripete. Forse è l’acqua a destarci i desideri? O l’aria che si pregna di essi e richiama la nostra essenza?
Sui colli danzeremo/ sopra le acque/ al tinnire frequente/ che mai tacque/ l’aria imbevuta/ dei nostri desideri . (Elegia per Lidia). Così, con lo sguardo al futuro e uno alla memoria, procediamo con quel che abbiamo in cuore, verso mete sconosciute, intessute nel ricamo dei giorni, come quelli di un Natale, povero ma pieno di occhi, di sguardi d’amore: cercavo con gli occhi mio padre/ con la bocca mia madre/ accanto ad un albero/ imbiancato di farina/ sulle cocche ancora aulenti. (Quel Natale). Il ricordo si fa memoria, in cascate di versi polimetri che tornano in rime, attraverso quartine, unite da un unico afflato che permea l’uomo poeta in un connubio di corpo e spirito. Tutto nell’allineamento dell’anima volta all’eterno che divide. Durissimo questo pensiero in chiusa della lirica Quercia imbiancata dagli anni. Duro da accettare e appena lambito da quel “se” che apre alla possibilità di altro oltre l’umano sentire. O madre fatti guardare bene/ ogni piccola cosa, ogni tratto, / fammi ricordare le tue pene, / perché mi resti intatto/ tutto di te, della tua vita, / se per eterno poi si ci divide.
A volte, basta una parola lasciata “sola” a incidere, a cambiare il ritmo, e la visione concessa dai versi: Ascolto i silenzi dell’anima/ che pesca nel fondo/ di un profondo fiume/ dove a stento la vita s’allunga/ accecata/ da stelle brillanti riflesse/ sull’acque disperse. (Novembre). Ecco lo stacco necessario per il passaggio dalla terra al cielo e il suo ritorno.
Come sempre faccio, appunto i miei pensieri di lettura e penso che potrei scrivere di ogni verso, senza sorta di affanno per la chiarezza e la profondità della poetica del Prof. Nazario Pardini che è rappresentazione dei moti dell’animo non disgiunti dall’intelletto. Il suo linguaggio è armonioso, metaforico senza esagerazione alcuna, va al di là del concetto espresso, verso un approdo metafisico, sostanza e sostegno, tessuto e filato della Poesia.
Nella poesia Lo stradone di scuola si declina in endecasillabi, il Maestro, nel verso del ricordo per eccellenza. Egli stesso racconta di sé, in prima e in seconda persona, di quel lancio verso l’infinito, del sasso mai ritrovato che ora vola basso, sotto il ciglio della memoria. Frammenti di vita svolgono il gomitolo dei giorni e il labirinto non ha segreti irrisolti, le assenze sono presenze vive che intonano il canto. (…) il canto un po’ stonato/ (ci dice il Poeta), dalla finestra schiusa sul cortile/ di mia madre al fornello. Per noi festa. (Sprangaio)
Le cose semplici di ogni giorno si danno liricamente al lettore in un’aura di luce nostalgica che mai si fa pianto, ma volge sempre a un climax ascendente come nella lirica “Zufoli e fili d’erba”: Ed era già inverno. Non sembrava. / L’oscuro nella classe/ serviva solamente a mascherare/ propositi segreti: canne alle golene/e i fili d’erba avena a primavera.
Come non soffermarsi sull’uso dell’enjambement che veste la pausa di significato? Funzionale e didascalico si presta alla lettura ad alta voce e non inganna. Il senso si fa pienezza e non serve tornare indietro, riallacciarsi al discorso. La pausa innalza il canto al tono della voce, perché la poesia va letta ad alta voce, e le parole si fanno musica seguendo il ritmo dei segni, scritti come note su un pentagramma. Un grande gioco di scambi nella lirica La mia casa: padre e figlio a rincorrersi gli anni. Entrambi figli a vivere la madre/nonna e il padre/ nonno per essere in fine, padre e figlio in un inverno, a raccontarsi: (…) E tu ci andavi/ nel candido cortile o per il prato/ a sprofondare i piedi con tuo padre?
Che cosa siamo nel volo della vita? Carne molle all’ingiuria del tempo o arditi voli verso soli di conoscenza e di virtù? Siamo acqua o fuoco, aria o terra? Siamo tutto per tornare al nulla che dall’eternità fa tutte le cose? Ditemi alfine! Ch’io sappia almeno/ ove cercare; carne della mia, /figlio imprudente, dove il volo tuo/lontano dai miei occhi. Cosa fare? (Il volo di Icaro). Cosa fare? A questa domanda non v’è risposta. Padri e figli, della stessa umana natura, continuamente cerchiamo oltre noi stessi e cadiamo esausti, dove il passo ci conduce. Restare fermi sarebbe impossibile e inutile. La vita, come acqua, ci scorre tra le mani e le forgia alla circostanza, al miracolo della sete di conoscenza che ogni giorno si ripete. Forse è l’acqua a destarci i desideri? O l’aria che si pregna di essi e richiama la nostra essenza?
Sui colli danzeremo/ sopra le acque/ al tinnire frequente/ che mai tacque/ l’aria imbevuta/ dei nostri desideri . (Elegia per Lidia). Così, con lo sguardo al futuro e uno alla memoria, procediamo con quel che abbiamo in cuore, verso mete sconosciute, intessute nel ricamo dei giorni, come quelli di un Natale, povero ma pieno di occhi, di sguardi d’amore: cercavo con gli occhi mio padre/ con la bocca mia madre/ accanto ad un albero/ imbiancato di farina/ sulle cocche ancora aulenti. (Quel Natale). Il ricordo si fa memoria, in cascate di versi polimetri che tornano in rime, attraverso quartine, unite da un unico afflato che permea l’uomo poeta in un connubio di corpo e spirito. Tutto nell’allineamento dell’anima volta all’eterno che divide. Durissimo questo pensiero in chiusa della lirica Quercia imbiancata dagli anni. Duro da accettare e appena lambito da quel “se” che apre alla possibilità di altro oltre l’umano sentire. O madre fatti guardare bene/ ogni piccola cosa, ogni tratto, / fammi ricordare le tue pene, / perché mi resti intatto/ tutto di te, della tua vita, / se per eterno poi si ci divide.
A volte, basta una parola lasciata “sola” a incidere, a cambiare il ritmo, e la visione concessa dai versi: Ascolto i silenzi dell’anima/ che pesca nel fondo/ di un profondo fiume/ dove a stento la vita s’allunga/ accecata/ da stelle brillanti riflesse/ sull’acque disperse. (Novembre). Ecco lo stacco necessario per il passaggio dalla terra al cielo e il suo ritorno.
Come sempre faccio, appunto i miei pensieri di lettura e penso che potrei scrivere di ogni verso, senza sorta di affanno per la chiarezza e la profondità della poetica del Prof. Nazario Pardini che è rappresentazione dei moti dell’animo non disgiunti dall’intelletto. Il suo linguaggio è armonioso, metaforico senza esagerazione alcuna, va al di là del concetto espresso, verso un approdo metafisico, sostanza e sostegno, tessuto e filato della Poesia.
Nella poesia Lo stradone di scuola si declina in endecasillabi, il Maestro, nel verso del ricordo per eccellenza. Egli stesso racconta di sé, in prima e in seconda persona, di quel lancio verso l’infinito, del sasso mai ritrovato che ora vola basso, sotto il ciglio della memoria. Frammenti di vita svolgono il gomitolo dei giorni e il labirinto non ha segreti irrisolti, le assenze sono presenze vive che intonano il canto. (…) il canto un po’ stonato/ (ci dice il Poeta), dalla finestra schiusa sul cortile/ di mia madre al fornello. Per noi festa. (Sprangaio)
Le cose semplici di ogni giorno si danno liricamente al lettore in un’aura di luce nostalgica che mai si fa pianto, ma volge sempre a un climax ascendente come nella lirica “Zufoli e fili d’erba”: Ed era già inverno. Non sembrava. / L’oscuro nella classe/ serviva solamente a mascherare/ propositi segreti: canne alle golene/e i fili d’erba avena a primavera.
Come non soffermarsi sull’uso dell’enjambement che veste la pausa di significato? Funzionale e didascalico si presta alla lettura ad alta voce e non inganna. Il senso si fa pienezza e non serve tornare indietro, riallacciarsi al discorso. La pausa innalza il canto al tono della voce, perché la poesia va letta ad alta voce, e le parole si fanno musica seguendo il ritmo dei segni, scritti come note su un pentagramma. Un grande gioco di scambi nella lirica La mia casa: padre e figlio a rincorrersi gli anni. Entrambi figli a vivere la madre/nonna e il padre/ nonno per essere in fine, padre e figlio in un inverno, a raccontarsi: (…) E tu ci andavi/ nel candido cortile o per il prato/ a sprofondare i piedi con tuo padre?
Non
tralascia il nostro Poeta di porgere l’ascolto al mare, che tanto ama e che
vede anche nel dolore delle fughe per la vita. Spesso, il mare riporta corpi la
cui anima era già stata trafugata prima dell’ultimo approdo; oppure, è il mare
di un addio che si sbraccia a un ritorno. Nella poesia Carso, il dolore ha il colore dei fiori con cui una madre adorna, i
resti di un figlio: Fate che questi
sprazzi di giardino/ che vide i nudi piedi barcollanti/ di lui che fu bambino,
gli ricoprano/ i resti mescolati assieme a tanti... Tanti, che sono stati
vittime del potere totalitario, scomparsi nelle foibe. Ha parole d’amore,
Nazario Pardini, per chi e per cosa ha un ruolo importante nell’assenza: suo
padre, suo fratello, zia Rosina, il maestro, le stagioni di lavoro alla terra e
i tramonti stuporosi di sua madre. Di ogni anelito ci fa parte, scoprendosi
intimamente, porgendo le sue ferite alla Musa.
Ci fa parte della sua visione di un nuovo eden, culla di pace per un mondo
che non sa cogliere il dono dei cieli: E
quelli che verranno/ ci volgeranno lo sguardo/ come a un’età di assenze;/ a
un’età/ di uomini dimentichi del cielo/ che videro imbarbariti anche gli dèi /
in fuga dalle loro blasfemie. Passato presente e futuro sono l’eternità o
forse eternità è l’assenza del tempo, ma l’assenza non è il niente, è un vuoto che
aveva contenuto: un amore, una voce, una casa, una canzone o un girotondo, la
giostra con i cavallucci alle feste e le canzoni in dialetto della nonna… c’è l’essenza,
nell’assenza. Essa è ciò che soccorre
nei momenti in cui ci sembra di non avere niente, è il motore della vita, come
fosse fatta di attimi sommati gli uni agli altri, a creare il tempo che passa e
poi torna in successione.
E tu, mia Natura!/ Come potrò
senza te, senza parola, /Sarò muto? Senz’anima? senza! (L’assenza).
La natura! Per Nazario Pardini, è inscindibile dall’uomo/ poeta. Immerso nei
suoi elementi, egli la trasfigura fino a portarla all’immedesimazione di uno
stato d’animo e di una condizione umana ad ampio raggio. Si confonde con essa
fino a coglierne le visioni prospettiche e il sogno. A titolo di esempio cito il poemetto A colloquio con il padre. Il sogno, ma
anche quelli a seguire in cui il Poeta riattualizza il mito calando in esso le
vicende degli uomini d’oggi. E così
la Poesia, che è Ninfa, detta al Poeta un manifesto al quale egli non sempre si
attiene perché l’umana condizione traspare dai versi, non disgiunta da una
filosofia di stampo platonico che lo porta a liberarsi dalle cose e
dall’esperienza delle stesse per la Bellezza della loro essenza. Questa per me,
la sintesi della sua poetica: (…) Io ho
in me/ il colore e la forma della rosa/che mai colsi e che mai potrà appassire.
Con grande
stima e affetto
Patrizia Stefanelli.
Patrizia Stefanelli.
Una raccolta incantevole, in ogni pagina c'è tutta la vita dell'uomo che si fa miele, che il poeta offre in poesia con generosa purezza. Pardini esprime una forza poetica totalizzante, ed è impossibile sottrarsi alla seduzione dei suoi versi armoniosi. Condivido ogni parola del bel commento di Patrizia Stefanelli che giustamente definisce "I canti dell'assenza" un dono. Un dono da tenere a portata di mano per nutrire la nostra anima con tutta la sua bellezza.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaGrazie all'Uomo e al Poeta Nazario Pardini, un grande amico che riesce a donare emozioni forti. Grazie per le parole di gioia che sempre mi regala, così come a tutti noi. La mia è una semplice lettura dalla quale scaturiscono domande, più che risposte. Sono le domande che egli porge candidamente con la sua poetica. Bellissimo libro. Grazie Francesco, per il tuo bel commento.
RispondiEliminaUn libro meraviglioso dal quale come dice Patrizia scaturiscono domande, quindi un libro che aiuta a crescere ed a meditare. Un linguaggio universale, quello dell'anima, che ci accomuna in un abbraccio circolare. Grazie Nazario è veramente un dono immenso. Un ringraziamento anche all'amica Patrizia per i suoi preziosi pensieri su un'opera poetica così completa, e per il bellissimo video sul "Canto di Saffo"
RispondiEliminaSerenella Menichetti