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domenica 27 novembre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "INEDITI" DI EMANUELE ALOISI



Una poesia di esistenziale consistenza dove  il verbo s’insinua in una architettura metrica di epigrammatica valenza. Il piccolo Zaccheo;  il tentativo di  vedere Gesù salendo sui rami del Sicomoro (albero usato, per la sua resistenza, anche dagli Egizi per i sarcofaghi)…; i riferimenti al Vangelo di  Luca: tutti indizi che ci fanno da antiporta alla comprensione della poetica di Emanuele Aloisi. Ma è Montale, il suo rapporto coll’aldilà, ad offrire lo spunto ai versi della prima lirica; è il pessimismo di natura dostoevskiana della poetica montaliana. Cultura, letture, realtà fenomeniche, che offrono ad Aloisi la possibilità di dire in maniera indiretta di sé e del suo travaglio interiore, della sua scalata verso la luce; è sufficiente che “… le orme del Signore/ impreziosisca(o)no il tappeto all’uscio,/ dopo che il varco vi ha trovato aperto/e dentro casa vi ha lasciato il verbo”. Questo è il messaggio dell’Autore, un messaggio di fede e di serenità che attenua o sconfigge i dubbi o le incertezze da cui l’uomo è attanagliato di fronte all’imperscrutabile senso del tutto; di fronte agli orizzonti infiniti che vanno al di là del potere umano, del  senso eracliteo della vita, contrapponendosi al pensiero escatologico dei versi di Montale, con un saldo credo “…Anche restando sulla terra/ e ritrovando, tra le zolle, fede/ un uomo o l’edera ai suoi piedi/ può riscoprirvi convertita essenza…”. E la natura con tutta la sua potenza iconica fa da supporto ad una fede di forte entità teologico-filosofica: si raggiungono vette di metempsicotico lirismo;  di vero impatto emotivo  quando “Il mare ha le mie mani,/ … ti stringono sui fianchi/ e di carezze ti accarezzano la pelle,…”. E anche se il poeta vive momenti di risentimento verso una terra non sempre amica “… Tu/ mia amata terra.../ or mi cospargi di miseria,/dell’ira tua funesta,…”, il suo malcontento deriva pur sempre da un amore incondizionato verso essa, dacché si aspetterebbe di essere contraccambiato dalla sua generosa offerta di Bellezza e di amore. Ma è alla fine che il “Poema” si fa più umano; nel momento in cui l’Autore si abbandona ad uno sperdimento naturistico di forte significanza  vicissitudinale “… lì dove il battito di un vento/ e il suo respiro arcano,/ sussurrano i sorrisi d’altra terra,/ la luce ad esaltare l’ombra/ di un calice, di un faro, un campanile/ o di un sentiero ad indicar la rotta”. Quella rotta verso cui ambisce ogni vivente in cerca di se stesso, di quella isola che non esiste, di quella terra che sempre abbiamo sognata, che, al fin fine, rappresenta l’alcova di ogni poeta. Ben distribuito il verso che con i suoi ritmi di effetto contrattivo dà risalto ad endecasillabi di euritmica sonorità; è così che l’incatenarsi  di differenti note dà luogo ad uno spartito atto a concretizzare le fasi intellettivo-sentimentali dell’esistere.

Nazario Pardini


dai versi di Montale:
<<Si tratti di arrampicarsi sul sicomoro
per vedere il Signore se mai passi.
Ahimé, non sono un rampicante ed anche
stando in punta di piedi non l’ho mai visto.>>

In cima a un sicomoro

Non serve a nulla un sicomoro
o arrampicarvisi fino alla cima,
quando Zaccheo, o qualunque uomo
comunque incredulo rimane e
ahimè, non scorge alcun passaggio.
Di un albero son vani gli occhi
se gli concedono una scala,
superbe fronde verdeggianti
ad ombreggiare un cielo terso,
senza scrutare della luce, i raggi.
Anche restando sulla terra
e ritrovando, tra le zolle, fede
un uomo o l’edera ai suoi piedi
può riscoprirvi convertita essenza,
quando le orme del Signore
impreziosiscono il tappeto all’uscio,
dopo che il varco vi ha trovato aperto
e dentro casa vi ha lasciato il verbo.


Un’odissea d’amore

Il mare ha le mie mani,
quando ti stringono sui fianchi
e di carezze ti accarezzano la pelle,
i pori vi respirano i respiri
e con la polvere dei suoi coralli
rivestono le nude zolle,
e dei granelli te ne adornano capelli
slegando i nodi di dolori.
Madide le alghe sparse
s’impregnano di gocce di sudore,
dell’eco del segreto pianto
riecheggia voce nelle orecchie,
nelle conchiglie dell’abisso.

Tu
mia amata terra...
che mi respingi a tradimento,
non ti accontenti di esiliarmi
e nell’ignoto allontanarmi,
nelle risacche dell’oblio.
Dimentichi i ricami delle onde
e di Nettuno le lenzuola bianche,
le orme sul mio corpo stanco
e dei tuoi figli le memorie,
gli scrigni di promesse
di un’odissea d’amore.

Tu
mia amata terra...
or mi cospargi di miseria,
dell’ira tua funesta,
veleno di relitti accatastati
a tormentare le mie vene,
a prendermi le membra in grembo
e ad abortire nel tuo fango,
nell’omertà delle tue crepe!



All’orizzonte
(dal dipinto di Claude Monet: La chiesa diVarengeville e la gola di Les Moutiers)

La sfumatura all’orizzonte,
lì dove il mare abbraccia il cielo
e lacrime...
le nuvole di spume,
pare fuggire da una terra
dove vi gemono le fronde,
sbiadite nei colori le ginestre.
I grembi desolati delle zolle,
i fremiti di un’erba logorata,
si affacciano con gli alberi alle sponde,
lì dove il battito di un vento
e il suo respiro arcano,
sussurrano i sorrisi d’altra terra,
la luce ad esaltare l’ombra
di un calice, di un faro, un campanile
o di un sentiero ad indicar la rotta.



4 commenti:

  1. La trascendenza della Natura è il pensiero poetico determinante di questi inediti versi "unitari" (anche se articolati in tre fasi intrecciate). dal sicomoro montaliano che sembra non condurre da nessuna parte, il poeta ricava un itinerario personalissimo. Teleologia aperta ad ogni ispirazione lirica situa lo sguardo sulle componenti più eterogenee di un mondo naturale che tenta una fuga marinara impossibile. Infatti il mare si identifica con il vissuto in una trasmigrazione di forme e contenuti acutamente ricomprese nell'invocazione alla terra (...mia amata terra...). La terra del poeta è il tormento esistenziale di un essere esiliato, respinto, dimenticato, stanco di promesse, ma fiducioso nella fede di un orizzonte-guida di luce. Nuvole di spume... gemiti di fronde... fremiti di erbe logorate sono la premessa faticosa e dolente di un credo, una "rotta" disperatamente agognata. La rotta dell'essere sul crinale del nulla.
    Marco dei Ferrari

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  2. Rispondo per conto dell'autore


    grazie per il commento, in realtà l'espressione "relitti accatastati" e "membra nel grembo" fa riferimento a problematiche attuali del mare; l'autore, il sottoscritto, ha voluto personificare il mare e dargli voce. Il crinale del nulla, appartiene all'essere umano, identificato negli elementi della natura (zolle, erba, fronde) quando non respirano il vento non del nulla.....ma del Tutto. Grazie all'attenta prefazione del professore Pardini, in riferimento alla universale condizione umana, all'humanitas delle parole, e allo spartito musicale dei versi.

    Emanuele Aloisi

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  3. Rispondo per conto dell'autore


    grazie per il commento, in realtà l'espressione "relitti accatastati" e "membra nel grembo" fa riferimento a problematiche attuali del mare; l'autore, il sottoscritto, ha voluto personificare il mare e dargli voce. Il crinale del nulla, appartiene all'essere umano, identificato negli elementi della natura (zolle, erba, fronde) quando non respirano il vento non del nulla.....ma del Tutto. Grazie all'attenta prefazione del professore Pardini, in riferimento alla universale condizione umana, all'humanitas delle parole, e allo spartito musicale dei versi.

    Emanuele Aloisi

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  4. complimenti Sig.Marco dei Ferrari...l'arcano della poesia è nell'anima di chi la scrive, oppure di chi leggendola,trova lo stimolo per ritrovarvi la propria anima, smarrita, esiliata e respinta o consapevole del nulla della sua rotta solitaria. Emanuele Aloisi

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