Una
poesia di esistenziale consistenza dove
il verbo s’insinua in una architettura metrica di epigrammatica valenza.
Il piccolo Zaccheo; il tentativo di vedere Gesù salendo sui rami del Sicomoro (albero
usato, per la sua resistenza, anche dagli Egizi per i sarcofaghi)…; i
riferimenti al Vangelo di Luca: tutti
indizi che ci fanno da antiporta alla comprensione della poetica di Emanuele
Aloisi. Ma è Montale, il suo rapporto coll’aldilà, ad offrire lo spunto ai
versi della prima lirica; è il pessimismo di natura dostoevskiana della poetica
montaliana. Cultura, letture, realtà fenomeniche, che offrono ad Aloisi la
possibilità di dire in maniera indiretta di sé e del suo travaglio interiore,
della sua scalata verso la luce; è sufficiente che “… le orme del Signore/
impreziosisca(o)no il tappeto all’uscio,/ dopo che il varco vi ha trovato
aperto/e dentro casa vi ha lasciato il verbo”. Questo è il messaggio
dell’Autore, un messaggio di fede e di serenità che attenua o sconfigge i dubbi
o le incertezze da cui l’uomo è attanagliato di fronte all’imperscrutabile
senso del tutto; di fronte agli orizzonti infiniti che vanno al di là del
potere umano, del senso eracliteo della
vita, contrapponendosi al pensiero escatologico dei versi di Montale, con un
saldo credo “…Anche restando sulla terra/ e ritrovando, tra le zolle, fede/ un
uomo o l’edera ai suoi piedi/ può riscoprirvi convertita essenza…”. E la natura
con tutta la sua potenza iconica fa da supporto ad una fede di forte entità
teologico-filosofica: si raggiungono vette di metempsicotico lirismo; di vero impatto emotivo quando “Il mare ha le mie mani,/ … ti
stringono sui fianchi/ e di carezze ti accarezzano la pelle,…”. E anche se il
poeta vive momenti di risentimento verso una terra non sempre amica “… Tu/ mia
amata terra.../ or mi cospargi di miseria,/dell’ira tua funesta,…”, il suo
malcontento deriva pur sempre da un amore incondizionato verso essa, dacché si
aspetterebbe di essere contraccambiato dalla sua generosa offerta di Bellezza e
di amore. Ma è alla fine che il “Poema” si fa più umano; nel momento in cui
l’Autore si abbandona ad uno sperdimento naturistico di forte significanza vicissitudinale “… lì dove il battito di un
vento/ e il suo respiro arcano,/ sussurrano i sorrisi d’altra terra,/ la luce
ad esaltare l’ombra/ di un calice, di un faro, un campanile/ o di un sentiero
ad indicar la rotta”. Quella rotta verso cui ambisce ogni vivente in cerca di se
stesso, di quella isola che non esiste, di quella terra che sempre abbiamo
sognata, che, al fin fine, rappresenta l’alcova di ogni poeta. Ben distribuito
il verso che con i suoi ritmi di effetto contrattivo dà risalto ad
endecasillabi di euritmica sonorità; è così che l’incatenarsi di differenti note dà luogo ad uno spartito atto
a concretizzare le fasi intellettivo-sentimentali dell’esistere.
Nazario Pardini
dai
versi di Montale:
<<Si tratti di
arrampicarsi sul sicomoro
per vedere il Signore se mai
passi.
Ahimé, non sono un rampicante ed
anche
stando in punta di piedi non
l’ho mai visto.>>
In cima a un sicomoro
Non
serve a nulla un sicomoro
o
arrampicarvisi fino alla cima,
quando
Zaccheo, o qualunque uomo
comunque
incredulo rimane e
ahimè,
non scorge alcun passaggio.
Di
un albero son vani gli occhi
se
gli concedono una scala,
superbe
fronde verdeggianti
ad
ombreggiare un cielo terso,
senza
scrutare della luce, i raggi.
Anche
restando sulla terra
e
ritrovando, tra le zolle, fede
un
uomo o l’edera ai suoi piedi
può
riscoprirvi convertita essenza,
quando
le orme del Signore
impreziosiscono
il tappeto all’uscio,
dopo
che il varco vi ha trovato aperto
e
dentro casa vi ha lasciato il verbo.
Un’odissea d’amore
Il
mare ha le mie mani,
quando
ti stringono sui fianchi
e
di carezze ti accarezzano la pelle,
i
pori vi respirano i respiri
e
con la polvere dei suoi coralli
rivestono
le nude zolle,
e
dei granelli te ne adornano capelli
slegando
i nodi di dolori.
Madide
le alghe sparse
s’impregnano
di gocce di sudore,
dell’eco
del segreto pianto
riecheggia
voce nelle orecchie,
nelle
conchiglie dell’abisso.
Tu
mia
amata terra...
che
mi respingi a tradimento,
non
ti accontenti di esiliarmi
e
nell’ignoto allontanarmi,
nelle
risacche dell’oblio.
Dimentichi
i ricami delle onde
e
di Nettuno le lenzuola bianche,
le
orme sul mio corpo stanco
e
dei tuoi figli le memorie,
gli
scrigni di promesse
di
un’odissea d’amore.
Tu
mia
amata terra...
or
mi cospargi di miseria,
dell’ira
tua funesta,
veleno
di relitti accatastati
a
tormentare le mie vene,
a
prendermi le membra in grembo
e
ad abortire nel tuo fango,
nell’omertà
delle tue crepe!
All’orizzonte
(dal dipinto di Claude Monet:
La chiesa diVarengeville e la gola di Les Moutiers)
La
sfumatura all’orizzonte,
lì
dove il mare abbraccia il cielo
e
lacrime...
le
nuvole di spume,
pare
fuggire da una terra
dove
vi gemono le fronde,
sbiadite
nei colori le ginestre.
I
grembi desolati delle zolle,
i
fremiti di un’erba logorata,
si
affacciano con gli alberi alle sponde,
lì
dove il battito di un vento
e
il suo respiro arcano,
sussurrano
i sorrisi d’altra terra,
la
luce ad esaltare l’ombra
di
un calice, di un faro, un campanile
o
di un sentiero ad indicar la rotta.
La trascendenza della Natura è il pensiero poetico determinante di questi inediti versi "unitari" (anche se articolati in tre fasi intrecciate). dal sicomoro montaliano che sembra non condurre da nessuna parte, il poeta ricava un itinerario personalissimo. Teleologia aperta ad ogni ispirazione lirica situa lo sguardo sulle componenti più eterogenee di un mondo naturale che tenta una fuga marinara impossibile. Infatti il mare si identifica con il vissuto in una trasmigrazione di forme e contenuti acutamente ricomprese nell'invocazione alla terra (...mia amata terra...). La terra del poeta è il tormento esistenziale di un essere esiliato, respinto, dimenticato, stanco di promesse, ma fiducioso nella fede di un orizzonte-guida di luce. Nuvole di spume... gemiti di fronde... fremiti di erbe logorate sono la premessa faticosa e dolente di un credo, una "rotta" disperatamente agognata. La rotta dell'essere sul crinale del nulla.
RispondiEliminaMarco dei Ferrari
Rispondo per conto dell'autore
RispondiEliminagrazie per il commento, in realtà l'espressione "relitti accatastati" e "membra nel grembo" fa riferimento a problematiche attuali del mare; l'autore, il sottoscritto, ha voluto personificare il mare e dargli voce. Il crinale del nulla, appartiene all'essere umano, identificato negli elementi della natura (zolle, erba, fronde) quando non respirano il vento non del nulla.....ma del Tutto. Grazie all'attenta prefazione del professore Pardini, in riferimento alla universale condizione umana, all'humanitas delle parole, e allo spartito musicale dei versi.
Emanuele Aloisi
Rispondo per conto dell'autore
RispondiEliminagrazie per il commento, in realtà l'espressione "relitti accatastati" e "membra nel grembo" fa riferimento a problematiche attuali del mare; l'autore, il sottoscritto, ha voluto personificare il mare e dargli voce. Il crinale del nulla, appartiene all'essere umano, identificato negli elementi della natura (zolle, erba, fronde) quando non respirano il vento non del nulla.....ma del Tutto. Grazie all'attenta prefazione del professore Pardini, in riferimento alla universale condizione umana, all'humanitas delle parole, e allo spartito musicale dei versi.
Emanuele Aloisi
complimenti Sig.Marco dei Ferrari...l'arcano della poesia è nell'anima di chi la scrive, oppure di chi leggendola,trova lo stimolo per ritrovarvi la propria anima, smarrita, esiliata e respinta o consapevole del nulla della sua rotta solitaria. Emanuele Aloisi
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