Aurora De Luca, collaboratrice di Lèucade |
Aurora De
Luca su NINO FERRAÙ di Domenico Defelice, Il Croco, Novembre 2016, «Pomezia-Notizie»
Sono
belli questi Crochi perché sono
animati dalla voce e dalla poesia: dalla voce perché, negli scambi epistolari,
si possono sentire anche le inflessioni roche del discorso; dalla poesia perché
essa è il centro.
Defelice
ha amici che gli somigliano, che come lui amano la terra, che come lui amano la
vita e che hanno un profondo naturale rispetto per la poesia e per l’arte.
Sono, per questo spirito irriducibile, dei combattenti e degli innamorati: «non
si consuma/ di pianto né di fuoco, / ma quando poi sentiamo di bruciare, / la
fiamma ci distrugge a poco a poco/ ed è l’amor che insegna a lacrimare».
Sono
belli (I Crochi e i due poeti,
Defelice e Ferraù) perché non si confondono nel baccano che c’è dentro alcuni
salotti e fuori in certe piazze, ma piuttosto fanno come fa la poesia e cioè
non si lasciano addomesticare, né comprare, né diminuire, fedeli a quella cosa
che non ha mercato. Per questo sono salvi dall’invidia e possono provare veri
entusiasmi per i meriti altrui: «Chi mi uguaglia lo sento fratello, chi mi
supera lo riconosco maestro».
Domenico
rende a Nino un libricino che è un abbraccio fraterno e, nel contempo,
«ossigeno per coloro che sono ancora innamorati dell’arte e della poesia». Il
mondo cantato da Ferraù è un mondo “pieno
di spine e rose” ove regna, seppur non vista, la forza della poesia: «io
sono la poesia seppellita sotto la cieca forza del materialismo invadente e che
tuttavia continua a rinascere su di esso, come la ginestra sulla lava».
Non può
scindersi la dolcezza dalla tristezza, né l’andare dal tornare, come un lento
languore rivolto alle cose amate e che non possono essere più raggiunte. Ma
Ferraù è una nave che non può stare al molo e che imbarca su di sé tutte le
contraddizioni della vita, quelle dell’umano e dello Spirito.
Ho
incontrato Ferraù in questo Croco, il
direttore di «Selezione Poetica», il poeta delle pietre di fiume, del pensiero
sofferto, l’ho incontrato intimamente, nelle passeggiate amicali, negli
incontri che non si sa più quanti siano stati, perché Defelice ha concesso al
ricordo d’un sodalizio di non essere perso.
«Ho letto il tuo volume Canti d’amore
dell’uomo feroce e vi ho trovato il mio stesso mondo fatto di tenerezza e
di sdegni, di dolcezza e di ribellione, di intimità famigliare e di tormento
cosmico» (Nino Ferraù, Lettera del 9 Agosto 1978).
Aurora De
Luca
Non ho letto "Il Croco"...,ma nella recensione c'è una dichiarazione che condivido fin nelle fibre più profonde-la malinconia del vivere-:"Non può scindersi la dolcezza dalla tristezza, né l’andare dal tornare, come un lento languore rivolto alle cose amate e che non possono essere più raggiunte." Grazie del pensiero.
RispondiEliminaLa ringrazio Maria Grazia, è un pensiero che è profondamente mio e che sento sempre vero, mi è sembrato ancora più vero leggendo questo Croco. Si dice che dalla poesia non può togliersi certa essenza di malinconia, ma forse è la vita in sé che è così, anche la più gioiosa!
RispondiEliminaVal la pena leggere questo Croco (come tutto gli altri, del resto).
Un caro saluto a Lei e al Professor Nazario che abbraccio.
Aurora