Gabriella
Fiori: Patrice de La Tour du Pin. Servitium
editrice. Milano. 2011. Pp. 188
Un
testo di maiuscola rilevanza, in cui l’autrice analizza, con puntiglioso acume,
le vicende di un poeta poco conosciuto in Italia, spiattellandoci su un vassoio
d’argento documenti epistolari e poetici in un percorso ascensionale di grande
entità spirituale. Una vera ricerca filologica che credo utile, per la sua
ricca portata, in scuole di ogni ordine e grado e soprattutto in facoltà
linguistico-letterarie. La storia di un poeta che si fa tormento e
inquietudine, saudade e quietudine, attraverso le sue opere (La Quête de Joie, Les enfents de septembre,
les Sommes, Lettres Aux confidents, Carnets de route) date alle stampe per
i caratteri di Gallimard; una vita,
stando alla voce del poeta, poco articolata ma vissuta con tutta la forza
epigrammatica e complessa della contemporaneità. Accennare da subito, nella
Prefazione, alla difficoltà nel rendere autentica con la traduzione la polivalenza
di tanta meditazione-contemplativa, significa anche dare spazio all’onestà
intellettuale dell’autrice; d’altronde è cosa risaputa che un testo tradotto
non è mai lo stesso della versione
originale, anche se dobbiamo riconoscere, per amor del vero, la grande maestria
della Fiori nel saper cogliere le sfumature e le inarcature etimo-lessicali e
morfosintattiche; le sfumature narrativo-significanti
della lingua transalpina; un lavoro di
cesellatura, di fino, di rara resa linguistica dell’arte, non facile, della Nostra: <<…
Impresa non facile, di interrogazione e traduzione fra due lingue, il francese
e l’italiano, fra due linguaggi, quello di Patrice de La Tour du Pin e il mio, per accostare e
comunicare l’intima-universalità di un uomo e di un poeta del nostro tempo, che
si è chiesto: “Sono io un poeta fuori dall’epoca?, e che invece nel cuore
dell’epoca è disceso, per scavarvi le sorgenti dello spirituale>>”. Patrice de La Tour du Pin, è un poeta di
forti problematiche esistenziali, di tormentata vicenda ontologica, un uomo che bene può rappresentare l’eterna
diatriba dell’essere contemporaneo in continuo e problematico porsi tra cielo e
terra; condannato a interrogativi spesso senza risposta ma che nel poeta
trovano la via di un credo vòlto a silenziare ogni contrasto interiore; a trasferire lo sguardo verso il Cielo senza
togliere piedi e spirito dalla sua terra, che amava a tal punto di viverla con
una empatia morbosa e simbolicamente loquace: “… Lunga è stata la strada, per le
campagne e i deserti, i sentieri e le paludi, fino al mare. Attraverso se
stesso, le sue terre selvagge interiori, le voluttà istintive della caccia nel
fremere all’unisono con la natura, in albe di bruma e ghiaccio, nel presagio
della tempesta. E allora, rifugiarsi attorno a un fuoco in una casa di legno
sperduta, dove raccontano leggende…”.
Un vero travaglio interiore, di scavo psicologico alla ricerca di se stesso; alla ricerca di una spiritualità personale attraverso i giochi di un panteismo di lucida estensione. Ogni lembo naturale non è mai a se stante, non è mai una semplice pastorelleria agreste, ma tutto è indirizzato a dare corpo ad una entità interiore; al dilemma ascensionale del poeta: portare con sé nelle alte sfere del Cielo la sua terra, il “fremito dei sensi nella natura, la meno addomesticata”, quella che soprattutto si sposa al “gusto della solitudine”; quella universale che il Signore ha voluto tratteggiare di ricami superlativi per dare esempio della sua generosità; per richiamarci a Lui con il dialogo con noi stessi. Tutto è bello attorno al poeta, tutto è umano e divino in questa simbiotica fusione tra cielo e terra; tutto è biografico. Un uomo nostro; dei nostri tempi, che vive tutte le contraddizioni del mondo occidentale. Chi di noi non cerca di azzardare lo sguardo oltre i confini; tanto di più un laico nel suo tentativo di dare un senso alla vita. Nessun uomo può accettare la grama soluzione di Thanatos; ognuno cerca un rifugio, un’alcova, un’isola dove poter trasferire i suoi beni più cari. Questo dilemma fra l’essere e il non essere, fra la terrenità e l’oltre, ha sempre contagiato l’uomo; la sua permanenza terrena. E di fronte all’idea della morte ognuno ha sempre sofferto disagio e insoluzione. Ciò che non accade nel nostro Poeta che attraverso il suo percorso spirituale è riuscito ad approdare a quell’isola con l’anima tinta dei colori della sua Loiret, nel cuore della Sologne, dove sorge il castello del Bignon-Mirabeau, l’avita dimora dei La Tour du Pin, pur con tutti gli ostacoli alla crescita spirituale del rapporto fra il mistero di sé e Dio: “non esistono un terreno naturale e un terreno soprannaturale che possano venir separati”.
Un vero travaglio interiore, di scavo psicologico alla ricerca di se stesso; alla ricerca di una spiritualità personale attraverso i giochi di un panteismo di lucida estensione. Ogni lembo naturale non è mai a se stante, non è mai una semplice pastorelleria agreste, ma tutto è indirizzato a dare corpo ad una entità interiore; al dilemma ascensionale del poeta: portare con sé nelle alte sfere del Cielo la sua terra, il “fremito dei sensi nella natura, la meno addomesticata”, quella che soprattutto si sposa al “gusto della solitudine”; quella universale che il Signore ha voluto tratteggiare di ricami superlativi per dare esempio della sua generosità; per richiamarci a Lui con il dialogo con noi stessi. Tutto è bello attorno al poeta, tutto è umano e divino in questa simbiotica fusione tra cielo e terra; tutto è biografico. Un uomo nostro; dei nostri tempi, che vive tutte le contraddizioni del mondo occidentale. Chi di noi non cerca di azzardare lo sguardo oltre i confini; tanto di più un laico nel suo tentativo di dare un senso alla vita. Nessun uomo può accettare la grama soluzione di Thanatos; ognuno cerca un rifugio, un’alcova, un’isola dove poter trasferire i suoi beni più cari. Questo dilemma fra l’essere e il non essere, fra la terrenità e l’oltre, ha sempre contagiato l’uomo; la sua permanenza terrena. E di fronte all’idea della morte ognuno ha sempre sofferto disagio e insoluzione. Ciò che non accade nel nostro Poeta che attraverso il suo percorso spirituale è riuscito ad approdare a quell’isola con l’anima tinta dei colori della sua Loiret, nel cuore della Sologne, dove sorge il castello del Bignon-Mirabeau, l’avita dimora dei La Tour du Pin, pur con tutti gli ostacoli alla crescita spirituale del rapporto fra il mistero di sé e Dio: “non esistono un terreno naturale e un terreno soprannaturale che possano venir separati”.
Questo
è il percorso del testo: una dovizia di documenti che la studiosa ha saputo
impiegare con acribia intellettiva ed esperita saggezza, per raggiungere il suo
scopo originale e dimostrativo; risolutivo e di valida connotazione letteraria con
un metodo induttivo lineare e conclusivo. Ad arricchire l’opera un nutrito e
corposo indice bibliografico.
Nazario
Pardini
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