Giorgio Bàrberi Squarotti |
Pasquale Balestriere, collaboratore di Lèucade |
LA
SCRITTURA POETICA
DI
GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI
Spunti
per riflessioni e approfondimenti
La
nota che segue si riferisce in particolare ad alcune
pubblicazioni in versi di Giorgio Bàrberi Squarotti -che sono Lo
scriba delle stagioni (Samperi editore, Castel di Judica, CT,
2008), Gli affanni, gli agi e la
speranza (L’arcolaio, Forlì, 2009), La storia vera (Zanetto
Editore, Montichiari, BS, 2006)- e al
volume collettaneo, a cura di Eugenio
Rebecchi, Nei dintorni di Elicona ( Blu di Prussia, Piacenza 2011), ma anche a tante altre sue poesie
che qua e là ho avuto occasione di leggere e apprezzare.
Qui dunque si riflette sul poeta. Senza nulla togliere alla
grandezza dell’esegeta, del saggista e
del critico letterario.
Accostarsi
a un prodotto artistico, in qualsiasi forma si manifesti
(grafica, iconica, fonica, ecc.) è sempre un’avventura da vivere con pienezza
di cuore, più ancora se ci si imbatte in testi poetici come quelli di Giorgio
Bàrberi Squarotti che hanno la peculiarità
di avvincere solidamente il lettore -su cui l’artifex esercita una soave
e tersa sovranità- prendendolo per mano e guidandolo in un percorso di
ammaliante bellezza fino all’ultima
pagina del libro. E ciò avviene per l’interazione che immediatamente si
stabilisce tra mittente e destinatario, basata sull’aspetto verbale
(immediatamente comunicativo e comprensibile sotto il profilo denotativo, come
-immagino- doveva essere il linguaggio dantesco per i lettori fiorentini del
Trecento) , sulla capacità poetica e sulla dimensione più puramente icastica o
rappresentativa: infatti Bàrberi Squarotti non alza steccati e barriere linguistiche (come spesso
in passato è accaduto nel regno delle Muse e come ancora accade) ma anzi si produce solitamente in una
scrittura di una semplicità e naturalezza disarmanti, democratica mi vien da
dire; e la sua forza creativa, rompendo gli argini dell’interiorità, s’ incarna
in immagini e figurazioni oggettivamente vive e fascinose. Perciò il lettore può avere l’impressione di
aver capito tutto. E non è quasi mai così,
perché la semplicità è nel lessico e, in parte, nella sintassi (che
talvolta pure presenta una certa complessità), non già negli aspetti della
costruzione poetica o in quelli figurali e semantico-esegetici. Ciò capita
perché il poeta affida - com’è giusto -
alla parola il ruolo si svelamento se non del mistero, almeno di qualche
verità o di qualche grazia (
quest’ultima nell’accezione più ampia del termine, ma in particolare
come elemento o aspetto della più generale
bellezza, e da percepire, secondo i casi, come affetto, beatitudine, cortesia,
predilezione, armonia, concessione, benedizione, benevolenza, favore, venustà,
leggiadria) che dia gioia e luce all’esistenza. Resta che già l’amplissima
gamma di significati del termine “grazia”, pietra angolare nella poesia di
Bàrberi Squarotti, ne dice con chiarezza
la pregnanza polisemica.
Alla fine conta poco che il lettore comune non colga la
bellezza di tale poesia fin nelle pieghe più riposte, bastandogli e
avanzandogli una semplice immersione vivificante in questo mare pullulante di
fantastica vita.
Il
mondo interiore di un poeta è l’humus della poesia, il luogo dove si
agitano passioni e pulsioni, dove impattano, più o meno violentemente, le
impressioni provenienti dell’esterno, dove lo spirito è chiamato a prendere
posizione, e il poeta, fabbro
incandescente, a produrre versi. E Bàrberi Squarotti, produce versi di vita,
che cantano la bellezza, la grazia , la giovinezza, la donna, la speranza.
Insomma tutto ciò per cui val la pena di venire alla luce.
Il suo mondo interiore è di un’ampiezza e ricchezza straordinarie, in parte per doti
naturali, in parte per assiduità di letture, di esperienze culturali e di
confronto con i grandi del passato, richiesta peraltro dalla sua condizione di
saggista e di critico letterario ma, ancora di più, voluta dalla sua inesausta curiosità
intellettuale.
E la situazione poetica è questa, che in un sostrato di
grande spessore culturale e di acutissima e affinata sensibilità germina e
quasi deflagra in versi ogni aspetto e
occasione della vita.
In fervida interpretazione.
Vediamo
ora di ricostruire il processo creativo di Bàrberi Squarotti nei
suoi vari passaggi. Si parte dall’occasione che sempre siede in un dato reale
(un’immagine, un paesaggio, una figura, ecc.), quello che risveglia l’emozione
in cui si concentra tutto il mondo esterno e in cui questo, perdendo ogni
connotazione di materialità e urgenza, si risolve e si esaurisce; perché
impiega poco il poietès a trovare il varco per un’altra dimensione, aprendo e
imboccando la porta che lo immette in un’atmosfera sospesa tra l’onirico, il
surreale e il visionario, meravigliosamente nuova e viva, seppur rarefatta e
luminosa; percorsa da notazioni allusive, allegoriche, metaforiche, analogiche;
segnata da provocazioni culturali e morali, da scarti linguistici e semantici.
Tecnicamente, a realizzare questo passaggio ( se non, addirittura, fuga dal reale ), basta il cambio repentino
di un modo o di un tempo verbale (o una loro alternanza ), di una scena, di una
prospettiva.
Nella nuova realtà il poeta è libero e leggero:
sprigiona la sua creatività senza ostacoli e limiti, obbedendo ad una sola regola, quella
estetica, e a un solo imperativo, peraltro nobilmente eudemonistico, quello del dire (anche se
talvolta la realtà rappresentata si mostra deformata e paradossale, se non
tragicamente ironica o grottesca). In altre parole la poesia di Bàrberi
Squarotti poggia sulla necessità di
ricercare e di ri-creare poeticamente la bellezza che diviene terapia del
dolore, antidoto ai mali, soccorso alla speranza; pur se, al fondo, non si
fatica a trovare la consapevolezza della sofferenza e della violenza che intridono la vita.
In conclusione il poeta torinese si tira fuori,
come il Foscolo delle Grazie, dal quotidiano: con la differenza che, mentre nel
secondo si completa un processo di astrazione per cui ogni elemento della sua
creazione si compone in un’assorta atmosfera di imperturbabile serenità, di
bellezza e di armonia sovrumane, in Bàrberi Squarotti non muore per oblio la
coscienza della storia; anzi l’amara coscienza della vacuità della storia è
sottesa ad ogni suo momento creativo, spesso condito di salvifica ironia.
La
figura femminile sembra incarnare il momento centrale
dell’avventura poetica squarottiana. La donna è spesso colta nella sua
corporeità giovane e fresca, in lieve e quasi aerea nudità, in innocente
sensualità e talvolta in una quotidianità
da cui cerca di svincolarsi; o nell’atto
di evadere (nel senso di uscire quasi
fisicamente) da una rappresentazione iconografica per collocarsi in
un’atmosfera surreale: in tutti i casi
la figura femminile, oltre a significare l’ideale della bellezza ( della quale
Bàrberi Squarotti è assolutamente
innamorato in tutte le sue forme, naturali e artistiche), si carica di
valori simbolici, poiché per la sua stessa gioventù rappresenta la speranza,
necessaria alla vita dell’uomo. Non a caso
il termine “speranza” si aggiunge al secondo emistichio dantesco di
Purg. XIV, 109 (“le donne e’ cavalier, li affanni e li agi”) a formare il
titolo di una raccolta del nostro poeta ( Gli
affanni, gli agi, la speranza) e
figura anche in un altro suo titolo (I doni e la speranza, Roma 2007). E, già
che ci siamo, un ulteriore e quasi
identico ammicco dantesco (“fra l’affanno e l’agio”) è ne La declamazione onesta,
Rizzoli, Milano 1965 (Le carte imperfette,
v. 27, p.27).
L’immagine muliebre, percepita e colta in vari contesti
situazionali (per strada, in treno, in un prato, in un ufficio postale, in un
quadro, nello svolgimento di attività casalinghe, ecc.) serba poi nella sua
accentuata carnalità - seni, fianchi, ventre – il presagio della maternità che
apre nuove vite e garantisce il futuro. E questo, al di là di ogni piacere
estetico.
In ogni modo l’imponente occorrenza della figura femminile
contribuisce a creare, in ambito simbolico-concettuale, un sorta di campo
semantico che conferisce alla donna una serie di attribuzioni - bellezza,
gioventù, speranza, ideale - tali da
farla ritenere fonte di
ispirazione, primaria e insostituibile,
nella poesia di Bàrberi Squarotti.
I
testi del poeta torinese sono fruibili a più livelli di lettura e nel grande mare di
questa poesia ognuno naviga secondo le sue possibilità.
Al primo ed elementare livello denotativo ci
arriva ogni lettore, che può accontentarsi di immagini immediate, fresche e
suadenti. Solo i lettori più colti, sensibili e audaci, capaci di cogliere
e decrittare allusioni e scarti,
citazioni e rimandi, trasposizioni e contaminazioni, possono accedere a livelli
sempre più elevati di godimento estetico, poiché in questa poesia l’ampia
cultura dello studioso si è messa a disposizione del poièin, innervando la
potenza creativa, visionaria e “disfrenata” del poeta. L’ultimo aggettivo, che
ricorre con una certa frequenza, anche nella sua forma avverbiale, nella
silloge Lo scriba delle stagioni e in altre opere, evoca, anche per ragioni
semantiche, allusioni surrealistiche.
Una scelta di libertà e di godimento estetico
consiglierebbe una lettura senza bussole, rotte o scandagli. Senza prudenze o
prevenzioni. Attratti semplicemente dalla promessa di avventura.
La
scrittura poetica di Bàrberi Squarotti possiede peculiarità meravigliose
e una compattezza poematica oggi molto rara. Tuttavia il poeta corre il
rischio, non solo nell’opinione comune ma anche nella valutazione di esperti
poco attenti, di essere messo in ombra dal saggista o dal critico letterario.
Se ciò accadesse, sarebbe un’autentica ingiustizia, poiché a mio parere nulla
il poeta ha da invidiare al critico; e testimonierebbe, quanto meno, la
disattenzione degli addetti ai lavori, ossia di coloro che esercitano
l’attività critica con l’occhio rivolto anche al presente. Se questi studiosi
fossero più “militanti”, non avrebbero difficoltà ad accorgersi della perspicua
novità di questa poesia e della straordinaria portata di questo poeta che può
diventare un autentico caso letterario. Un po’ come è accaduto per Campana e
Rimbaud, poeti che certamente non sono estranei alla sua formazione e alla sua
sensibilità.
Concludendo, la
poesia di Bàrberi Squarotti danza tra sintomi di carnalità generosamente ma
innocentemente impudichi, figurazioni naturali e umane colte nella loro unicità
e nel portato allegorico, balzi onirici e visionari, guizzi allusivi e
simbolici, scarti semantici e analogici,
ardenti fulgurazioni; penetra nel mito,
percorre la storia, la Bibbia, i grandi poemi antichi e moderni, le
letterature, l’arte (pittura in particolare), scardina le categorie
spazio-temporali. Con andamento incalzante.
La verità è che al Nostro basta poco per spiegare le ali
della poesia: un quadro, un tramonto, una scena, un tremito di vento, una luce
improvvisa e particolare. Così sono i veri poeti: sensibilità vibratile ad ogni
minima provocazione, cassa di risonanza di ogni fremere di vita. Così è lui che
sontuosamente ammannisce poesia, procedendo spesso per accumulazione e
rovesciando sul foglio un flusso di coscienza oggettivamente lirico, incarnato
in un tessuto linguistico prosodicamente andante, metricamente nuovo e vario,
su base endecasillaba.
Nessuno si chieda chi sia “ lo scriba delle stagioni”. È
lui, il nostro poeta, il solerte notatore del tempo, anzi dei tempi, della
vita, il demiurgo che infonde il suo ànemos nel mondo che crea.
In fondo Giorgio Bàrberi Squarotti con la sua poesia “di
visione” porta al proscenio la vita. La sua,
la nostra.
Pasquale Balestriere
POESIE
di
Giorgio Bàrberi Squarotti
di
Giorgio Bàrberi Squarotti
Precipita nera la tempesta
Precipita nera la tempesta
dalle colline, arde il fulmine i fienili,
il fiume scava lungo i peschi in fiore
in questa nostra terra
piccola come una foglia di salice,
in riva al mare oscuro delle viti
senza difesa ora che le case
sono vuote di voci, e inutili si alzano
verso la muta chiesa
brulle mani di vecchi.
(1956)
La pastora
Una pastora giovane: nel prato
scosceso, al centro, con la verga in pugno,
e tutti, in giro, gli animali.
Pecore, capre, giovenche candide e pezzate?
No: porci e scrofe, ed è ella succinta
per non lordarsi in tanto brago e puzza,
ed è pure costretta a intervenire
spesso fra strilli e grugniti a dividere,
a sospingere via i più riottosi,
a costringerli infine a incolonnarsi
verso la conca d'acqua fonda, buia,
per poi entrare mondi nello stabbio.
Era la povertà a farle fare
quell'infame lavoro? Carestia
nel suo paese dell'Oriente o guerre
con i guerrieri che, negli armistizi,
con lacci, funi e gabbie vanno in; scuole
o per boschi alla caccia di ragazze
vergini per portarle nei teatri
a farle danzare nude davanti
ai turisti e, poi, quando sono esauste,
frustarle ancora per domarle e in templi
e bar infine consumarle, e questa
fosse qui la meno aspra di speranza?
E se l'unica fosse che volesse
tentare ancora la trasformazione
opposta a quella che la dea o l'angelo
che fu di luce fece, e prima o poi
le bestie immonde uscissero dall'acqua
lentamente assumendo volti,
voci pur rauche e errate, mani tese?
Stava seduta sulla panca, dopo
aver chiuso la porta, stanca. Aveva
accanto pane, un pezzo di formaggio,
un bicchiere di vino. Contemplava
il tramonto scarlatto di framezzo
gli elci, le querce fruttifere, i pini.
Domani si sveglierà presto, e l'alba
pazientemente interrogherà mentre
si verserà la grande tazza colma di latte.
scosceso, al centro, con la verga in pugno,
e tutti, in giro, gli animali.
Pecore, capre, giovenche candide e pezzate?
No: porci e scrofe, ed è ella succinta
per non lordarsi in tanto brago e puzza,
ed è pure costretta a intervenire
spesso fra strilli e grugniti a dividere,
a sospingere via i più riottosi,
a costringerli infine a incolonnarsi
verso la conca d'acqua fonda, buia,
per poi entrare mondi nello stabbio.
Era la povertà a farle fare
quell'infame lavoro? Carestia
nel suo paese dell'Oriente o guerre
con i guerrieri che, negli armistizi,
con lacci, funi e gabbie vanno in; scuole
o per boschi alla caccia di ragazze
vergini per portarle nei teatri
a farle danzare nude davanti
ai turisti e, poi, quando sono esauste,
frustarle ancora per domarle e in templi
e bar infine consumarle, e questa
fosse qui la meno aspra di speranza?
E se l'unica fosse che volesse
tentare ancora la trasformazione
opposta a quella che la dea o l'angelo
che fu di luce fece, e prima o poi
le bestie immonde uscissero dall'acqua
lentamente assumendo volti,
voci pur rauche e errate, mani tese?
Stava seduta sulla panca, dopo
aver chiuso la porta, stanca. Aveva
accanto pane, un pezzo di formaggio,
un bicchiere di vino. Contemplava
il tramonto scarlatto di framezzo
gli elci, le querce fruttifere, i pini.
Domani si sveglierà presto, e l'alba
pazientemente interrogherà mentre
si verserà la grande tazza colma di latte.
Dalla terrazza
Sulla terrazza, davanti alla
luce
del tramonto che lenta si
ritira
dall’ormai tenue calore
delle case,
c’è un lievissimo vento che
sommuove
le foglie dell’acacia e le
pagine del libro
dove più non leggerà avanti
né stasera
né domani né ormai con
altre, a questa età:
guarda il tempo, ora rapido
ora quasi
inavvertibile, vede anche la
Morte che si prende
la foglia quasi secca nella
tenebra
ancora dolcemente mista del
rimpianto
del sogno che fu il giorno
e, forse, infine,
lo strazio della Storia, se
proprio è un grido
strozzato d’animale quello
che
trema al margine della vigna
e anche
oltre.
Giorgio Bárberi Squarotti, In
un altro regno, Genesi, 1990
Sugli scogli di Lèucade appare, oggi, il saggio critico sulla poesia di Giorio Barberi Squarotti, per la penna di Pasquale Balestriere, ricco di notizie, di note, di avventure viste e quasi rivissute. Si tratta di un lavoro ampio, di grande pregio, a cui Balestriere ci ha abituato da tempo, che aveva già preannunziato e che ho aspetato. E' un affresco su un poeta da molti conosciuto solo come letterato raffinato e studioso della letteratura italiana. Devo dire che nei miei anni di insegnamento ho usato con dovizia i suoi numerosi saggi, per la lucidità delle sue esegesi. Ma si tratta anche di un poeta che esprime, in tutte le sue opere poetiche, una forza creativa ed una potenza compositiva eccezionaali. E Balestriere ne coglie ogni aspetto con precisione e dovizia di riflessioni di note e di rimandi. Si tratta di un lavoro che rappresenta una certezza per capire la vita e l'opera di Giorgio Barberi Squarotti.
RispondiEliminaGrazie, Pasquale, per averci fatto dono di questa strenna "pasquale", gradita come poche.
Umberto Cerio
Caro Pasquale, grazie del tuo saggio che, come è tua consuetudine, è molto profondo e che, in questo particolare momento, assurge a ricordo di una persona che ci è stata molto cara per i consigli e gli incoraggiamenti che ci ha dato. Tuttavia le liriche scelte, a mio parere, pur essendo molto belle, non rendono quella caratteristica della poetica di Bàrberi che lo contraddistingue da tutti gli altri scrittori: quelle sue donne, cioè, innocentemente impudiche che popolano molti dei suoi testi. Per essere maggiormente esplicativa ne riporto qui di seguito uno tratto da "I doni e la speranza" (Anemone purpurea editrice, 2007)
RispondiEliminaLA RAGAZZA E LA PANCA
Dopo aver innaffiato le scarlatte
rose, piantate nell'esiguo spazio
di terra lungo il muro del negozio
(e, guardando le cupe fiamme e roride,
pensava sorridendo all'altra immagine
dei petali di carne), la commessa
padrona si sedette sulla panca
nell'ombra ancora del primo mattino,
quando il culmine del paese e vigne
d'ardore e azzurra luce appena è acceso:
di lì non si vedevano né le Alpi
che dovevano ormai essere grigie
e celesti senza più il candore
della neve e del latte delle nuvole
di primavera, né le linee alte
di borghi e di boschi e di ritani
stretti, luminosi di lecci e tufi
vertiginosi. Libera, poteva
contemplare se stessa, finalmente
felice nel lieve lago degli occhi
chiari, delle mammelle che un po' tremano
per l'agitato cuore irragionevole,
della dorata pelle del suo corpo
che aveva lentamente denudato,
come se fosse sola nella piazza
impietrita, oh sogno di Narciso
che il lavoro dimentica e l'avaro
tempo che un poco già la turba, e abbassa
il capo, finge di vedere sotto
di sé tremula una distesa d'acqua
oscura, paga ammira la sua doppia
bellezza senza passione e senz'anima,
solo disegno, finché dura il giorno.
Monforte d'Alba, 16 luglio 2003
Carla Baroni
Concordo pienamente con Umberto Cerio: un lavoro fine, organico, polivalente che mette bene in luce la versatilità di questo grande scrittore. Complimenti!
RispondiEliminaLuisa T.
Giorgio Barberi Squarotti è giustamente noto come critico letterario fra i maggiori del nostro tempo, grande innovatore della metodologia esegetica secondo un modello polisemico aperto ad ogni indagine e ad ogni indirizzo critico, con assoluta indipendenza di giudizio. Ha dato vita ad una produzione sterminata di libri e saggi critici, ma non meno importante e significativa è la sua produzione poetica, forse ingiustamente oscurata dalla sua fama di critico. Pasquale Balestriere scrive qui una pagina davvero illuminata per ricordarne la figura poetica: visionaria, surreale, capace di giungere, dalla deludente vita d'ogni giorno, ad una rigenerazione mentale che renda presente e palpabile un ideale di bellezza e grazia incorruttibili. Una sorta di "terapia del dolore, antidoto ai mali, soccorso alla speranza".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie per questo profilo che ci ha ricondotto, in modo vivo e commovente, alla figura alta, illuminata e profondamente umana del Professor Giorgio Barberi Squarotti
RispondiEliminaValeria Massari
Carissimi,
RispondiEliminadi vero cuore vi ringrazio, perché, con la sola lettura di questo mio breve saggio, avete tributato un omaggio alla grande figura di Giorgio Barberi Squarotti, persona di conclamato valore purtroppo non sempre e non da tutti adeguatamente riconosciuto. Con lui se n'è andato l'ultimo vero gigante della nostra letteratura. Per questo ho voluto che l'eccellente studioso e poeta da poco scomparso continuasse, attraverso le mie povere parole, a vivere in qualche modo nel nostro ricordo e nell'ospitale territorio letterario del blog di Leucade.
Davvero grazie a voi che, con squisita sensibilità, avete sentito il bisogno di intervenire con una vostra testimonianza. Grazie a Nazario che mai nega spazio ad alcuno.
Vi stimo
Pasquale Balestriere
Con questo saggio Pasquale Balestriere non solo rende un doveroso omaggio a quell'inimitabile Maestro che è stato GBS, ma ci consegna una pagina di critica letteraria assolutamente esemplare, sia per lucidità esegetica che per nitore descrittivo e introspettivo, frutto non solo di una approfondita conoscenza della produzione poetica di Squarotti, ma anche, e soprattutto, di una raffinata e rara capacità interpretativa. La poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti è solo apparentemente piana e chiara, in realtà nascondendo all'occhio del lettore meno avveduto un ordito di finissima, allusiva, visionaria filigrana. Ed è interessante seguire Balestriere nella ricostruzione della genesi della poesia di GBS: “ Si parte dall’occasione che sempre siede in un dato reale (…), quello che risveglia l’emozione in cui si concentra tutto il mondo esterno e in cui questo, perdendo ogni connotazione di materialità e urgenza, si risolve e si esaurisce; perché impiega poco il poietès a trovare il varco per un’altra dimensione, aprendo e imboccando la porta che lo immette in un’atmosfera sospesa tra l’onirico, il surreale e il visionario, meravigliosamente nuova e viva, seppur rarefatta e luminosa”. E, più avanti: “In altre parole la poesia di Bàrberi Squarotti poggia sulla necessità di ricercare e di ri-creare poeticamente la bellezza che diviene terapia del dolore, antidoto ai mali, soccorso alla speranza; pur se, al fondo, non si fatica a trovare la consapevolezza della sofferenza e della violenza che intridono la vita”. Magistrale chiave di lettura, che felicemente sintetizza l'alfa e l'omega del poièin di Bàrberi Squarotti. Una breve chiosa sull'ultima affermazione di Pasquale Balestriere, ovvero su quella “consapevolezza della sofferenza e della violenza che intridono la vita”. E' proprio questo, infatti, il sentimento che in GBS resta, come sfondo ineliminabile, a marcare la sua poesia. A conferma di ciò, e proprio riguardo ad una delle opere qui proposte, “La pastora” (a suo tempo oggetto di una mia noticina), lo stesso GBS, tra l'altro, mi scriveva: “Le sono gratissimo di aver letto con tanta cordialità e partecipazione i miei versi, di cui ha colto mirabilmente il senso: la pietà di fronte allo strazio vano della vita”.
RispondiEliminaGrazie a Pasquale Balestriere per questa, come dice Umberto Cerio, “strenna pasquale”; e grazie soprattutto per avere con forza e convinzione sottolineato il valore assoluto della produzione poetica di Giorgio Bàrberi Squarotti, produzione che, come giustamente osserva Franco Campegiani, è stata “forse ingiustamente oscurata dalla sua fama di critico”.
Umberto Vicaretti.
Ecco un'altra voce molto autorevole che viene a rendere onore a Giorgio Bàrberi Squarotti, uomo di molti e grandi meriti.
RispondiEliminaGrazie, carissimo Umberto, e considera riferite anche a te la riconoscenza e la gratitudine che ho espresso agli altri intervenuti per la testimonianza d'affetto verso chi ora può parlarci solo attraverso i suoi scritti, e non più - purtroppo - in altro modo.
Pasquale Balestriere