(17-25 giugno 2017)
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
L'incontro con lo
scultore Mario Gavotti, promosso dall'Accademia
Castrimeniense di Marino con il patrocinio di Retina Italia Onlus ed in partenariato con gli Assessorati alla Cultura e ai Servizi Sociali della Città, apre scenari
di grande suggestione artistica, dei quali tra breve parleremo, ma nello stesso
tempo alimenta memorie comunitarie legate alla vita, e alla vita artistica in
particolare, della nostra Città, polarizzata intorno all'Istituto d'Arte
"Paolo Mercuri", oggi Liceo Artistico, dove il maestro ha operato per
tanti anni, dando il meglio di sé. In queste stesse sale espositive erano
allestiti un tempo i laboratori dell'Istituto, dove generazioni di studenti si
sono avvicendate, formandosi e acquisendo conoscenze che hanno loro consentito
di svolgere professioni altamente specializzate nei vari campi dell'arte,
dell'artigianato artistico, del design,
della grafica, e quant'altro, veri fiori all'occhiello della nostra comunità. E
c'è da aggiungere che questa tradizione vitale, ma tutto sommato recente, si è
collegata con l'altra, vetusta ed atavica, legata al lapis albanus, la pietra lavica eruttata dal vulcano laziale tra i
600.000 e i 20.000 anni fa, la cui lavorazione ha vivacizzato per secoli e
millenni la vita cittadina.
L'estrazione del
peperino, oggi esaurita, anche se la pietra ancora abbonda nei crinali e nei
costoni dei Colli Albani (pensiamo alle famose pèntime), è stata nel secolo passato un cardine particolarmente
vivace dell'economia cittadina, affiancata da una vitalità artistica di
rilievo, sotto l'influsso di maestri come Lorenzo Guerrini (cui venne conferita
nell'80 la cittadinanza onoraria della Città) e Umberto Mastroianni (che invece
fu cittadino marinese nell'ultima fase della sua vita), e poi Aldo Calò e
Roberto Melli, i quali tutti hanno dedicato alla nostra pietra particolari
attenzioni. A quell'influsso, molto significativo ma elitario, ben noto agli
addetti ai lavori, si è aggiunta, come detto, la spinta educativa e popolare
promossa dall'Istituto d'Arte, con la sua sezione del marmo, oramai chiusa da
anni, associata all'indimenticabile figura del Prof. Eraldo Abri, ma anche di
altri maestri, quali lo scultore Giglio Petriacci, Preside a più riprese
dell'Istituto stesso. Fra costoro è certamente da annoverare Mario Gavotti che,
dopo avere frequentato le più importanti botteghe di marmorari, è passato
all'insegnamento presso lo stesso Istituto, contribuendo alla formazione di
giovani che si sono poi lanciati nell'avventura artistica a livello nazionale
ed oltre.
Della poetica di
Gavotti e del suo mondo artistico ho già avuto modo di occuparmi in passato, ed
ora, osservando i pezzi storici della
sua produzione scultorea, unitamente ad altri più recenti, raccolti in questa Antologica a
lui dedicata, sento di poter convalidare quanto già detto e scritto. La sua è
una poetica fluida, flessuosa, elastica e profondamente armonica, dove la
ruvidezza del polemos, della guerra di
tutti gli esseri, che l'artista rappresenta evocando il biomorfismo acquatico
del mare, si risolve in abbraccio e in danza corale. E' la poetica dell'armonia
dei contrari e sembra davvero di udire Eraclito, osservando i suoi lavori, quando
dall'alto del suo magistero, diceva: "L'accordo
è nel disaccordo stesso", alludendo a una pace non ideologica, ad una
pace che non fa guerra alla guerra, ma sa accoglierla entro i propri confini. E
ciò è pienamente in linea con la personalità umana dello scultore, che tutti
sappiamo essere uomo pacifico, persona mite e priva di spigolosità. Una visione
del mondo che si riflette pienamente nella sua poetica sinuosa e rigida, rugosa
e morbida, ispirata al vitalismo festoso e tragico del mare.
La mostra ripercorre
un arco quanto meno trentennale dell'intenso lavoro svolto dall'artista, che
negli ultimi lustri, per motivi di salute, ha dovuto rallentare la sua
dedizione alla pietra per sviluppare attenzioni verso altri generi artistici,
come la meno epica, ma più interiore e profonda, raffinatissima, produzione di
smalti. Il versante più propriamente scultoreo della mostra è contrassegnato,
come possiamo vedere, da una poetica dell'espansione, dell'invasione dello spazio,
del riempimento di vuoti. Attorcigliamenti e sdoppiamenti, masse contrastanti e
combacianti in un movimento unitario e senza interruzioni, la cui spinta
propulsiva è al tempo stesso avvolgente, come un'onda marina che s'impenna e
ritorna su se stessa, contorcendosi e distendendosi in modo armonioso. Femminile
e maschile, Yin e Yang fusi in un unico respiro. Il mare è
tutto: vita e morte, culla e tomba, moto e quiete. E' stravolgente affanno e
ondeggiante dolcezza, teatro di battaglie cruente e di pacificanti abbandoni,
luogo di eventi luttuosi e tragici, ma anche di maestose e riposanti armonie. Sempre
uguale a se stesso, il mare, e sempre diverso da sé. Sempre in bonaccia e sempre
tempestoso.
Come diceva Talete,
anche per il Nostro il mare è l'archetipo per eccellenza, il principio di tutte le cose. Lo scultore lo presenta, evocando le
forme viventi da cui è popolato: meduse, molluschi, seppie, coralli, stelle
marine, delfini, conchiglie e celenterati, sorpresi nei più segreti fondali,
con cariche allusive dense di significati. C'è l'agguato della murena e il
violento attacco degli squali. C'è il polipo proteiforme, attorcigliato su se
stesso, che lascia intuire quel movimento introspettivo ed autoanalitico teso
alla conoscenza interiore, cui più tardi lo scultore dedicherà in maniera
sempre più convinta le proprie attenzioni. Il materiale tradizionalmente
preferito è il lapis albanus, il
peperino di cui si è già detto, ma nel tempo lo scultore ha ampliato la gamma
delle sue pietre, ricorrendo allo statuario di Carrara e al travertino, come
pure ad altri materiali (legno, argento e bronzo), in un crescendo di
stimolazioni sperimentali.
I suoi racconti
mitici - ma mai onirici, bensì furiosamente vitali - sono divenuti sempre più
essenziali, sicché, gradatamente, gli interessi dell'artista si sono spostati
dal biomorfismo iniziale, debitore, se vogliamo delle suggestioni surreali di un
Arp, verso un'astrazione sognante e geometrica che trova sfogo in un
incentivato interesse per le lastre smaltate, già precedentemente collaudato.
Qui prendono vita giuochi gentili e sogni innocenti, in un simbolismo
fantasioso e ritmico, combinatorio e magico, dove fa capolino lo studio delle
essenze che fu proprio del Suprematismo e del Neoplasticismo (Malevic e
Mondrian), dell'Op Art e dell'Arte
cinetica, come nei giuochi ipnotici e nei labirinti psichici di Bruno Munari, protagonista
dell'arte programmata e del design industriale
dei nostri tempi, dando vita a una sorta di geometria sacra o di fisica eterica,
a dei veri e propri mandala, potremmo dire, che proiettano la mente verso
suggestivi orizzonti di conoscenza interiore.
Franco Campegiani
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