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giovedì 1 giugno 2017

GIANCARLO BARONI: LETTURA DI "IL LABIRINTO" DI LAURA PUGLIA




Laura Puglia, Il Labirinto, prefazione di Maria Luisa Tozzi e nota critica di Edmondo Busani,  Edizioni Diabasis, 2017

Il titolo della recente raccolta di Laura Puglia mette un poco in apprensione e quasi intimidisce. Ci si chiede, prima di iniziare a leggere, se ci troviamo di fronte a un libro dall’impegnativa componente filosofica-simbolica, se dovremo confrontarci con testi ostici e dall’oscuro e tortuoso significato. Appena però cominciamo a sfogliarlo, ci accorgiamo che “il labirinto” del titolo non è la metafora di una universale condizione dell’umanità e del cosmo ma, più modestamente e con toni e intendimenti più dimessi, è la figura che ogni singola e concreta esistenza, a cominciare da quella dell’autrice, disegna nel corso del tempo. Come lettori non dobbiamo quindi attrezzarci per una faticosa scalata, ma farci trovare pronti e disponibili per una passeggiata fra ricordi, avvenimenti, riflessioni ed emozioni che non procedono in maniera lineare  bensì zigzagando a destra e a sinistra, avanti e indietro, in un percorso movimentato.
La scrittrice, che è nata a Parma e che arriva adesso alla sua dodicesima raccolta (la prima è del 1988), costruisce questa sua ultima opera in otto sezioni che costituiscono altrettante tappe di un discorso poetico coerente negli anni: la continuità ha prevalso complessivamente sulle variazioni e sui cambiamenti. I titoli delle otto parti accennano ai temi più cari all’autrice: “I poeti”, “L’ora di matematica”, “L’isola”, “Le città”, “I politici”, “Il computer”, “Gli assenti” e “Gli incontri”.
Cominciamo dalla seconda sezione dedicata alla matematica, un argomento ricorrente e centrale nella produzione poetica di Laura la quale, dopo gli studi classici, si è laureata in Matematica e Fisica. Ai suoi studenti ha insegnato che le cosiddette due culture, umanistica e scientifica, non vanno disgiunte e tenute separate essendo in realtà due campi del sapere del tutto complementari: “Avete mai paura / all’angolo di una strada / di incontrare un dinosauro? / Chiesi ai miei allievi un giorno. / O un semidio vagante / una dea dell’Olimpo / un violino che suona / dimenticato in una stanza? // L’ora di matematica / era un po’ strana. / Lo riconosco e mi scuso”.
Diffidente e critica verso un futuro che spesso  mostra il volto insinuante, invadente e un poco prepotente del computer “invisibile ma sempre presente”, sensibile da sempre a tematiche ecologiste e ambientaliste rispettose di una natura che va tutelata e non ulteriormente violata,   la poetessa prende posizione e denuncia. Lo fa con determinazione ma senza gridare, senza alterarsi e scomporsi, con un garbo e una grazia che costituiscono i tratti distintivi del suo stile.
Trova conforto rintracciando nelle città minime isole di resistenza (“A primavera timidamente / in una crepa nell’asfalto / balena un fiore una foglia / tra un muro e un cancello”), toccando e ammirando un mondo minerale, pietre rocce sassi, soltanto all’apparenza distante ed estraneo.
Ironica e autoironica quando parla dei poeti e del loro ego (“l’io si gonfia a poco a poco”), l’autrice trasforma molti dei propri versi in occasioni di ricordi e in esercizi di memoria che riguardano  la sua giovinezza. Da giovani le illusioni prevalevano sulle delusioni, le speranze sulle amarezze, la passione sulla freddezza, le luci sulle ombre, l’incanto sulla desolazione. Allora “respiravamo l’amore” e ci si sentiva partecipi di un’energia vitale (“Io ne ero parte / mi sentivo abbagliante”), a quel tempo “mi stupivo del mondo”.

                                              Giancarlo Baroni

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