In anteprima assoluta la nota che Valeria
Serofilli ha curato al volume di Mugnaini La creta indocile, appena
uscito, e presentato lo scorso giovedi 15 giugno a Villa di Corliano nell'ambito della
conferenza da lei promossa per AstrolabioCultura dal titolo Autori allo
specchio, la necessità della poesia".
Valeria Sertofilli
IVANO MUGNAINI E LA
CRETA INDOCILE DELL’ESISTERE
Prosegue, con la raccolta poetica La
creta indocile, pubblicata da Oédipus edizioni nella Collana Intrecci
e prefata da Elio Pecora con postfazione
di Ivan Fedeli, il work in progress di Ivano Mugnaini. Un autore che ha
raggiunto la piena maturità espressiva, la cui parola poetica è dotata
dell’arte di plasmare la creta indocile dell’esistere, di plasmare respiri
nuovi (come recita la lirica Una linea
retta), dando forma e sostanza al
pensiero, ricollegandosi al significato primario di poieo quale appunto fare,
creare:
“(…) Ciò che fa di
me
un uomo è l’avere
imparato
l’arte di plasmare
con dita goffe ma
tenaci
la creta indocile
dell’esistere.”
(dalla
lirica eponima La creta indocile)
Plasmare respiri nuovi, (da Una
linea retta)
Una lirica, questa di Mugnaini, che si
delinea come sorta di prosieguo della sua produzione narrativa[1]
dotata della stessa non comune capacità di coniugare la forza del sentire con
la competenza tecnica, in una sapiente mistura di realismo ed immaginazione.
Forgiando <<un linguaggio in grado di comunicare l’appropriazione da
parte dell’individuo della propria responsabilità attiva di fronte al mondo>>
(Ivan Fedeli, nota di lettura al volume) e lasciando il proprio passaggio sul
foglio immacolato che abbiamo davanti che rappresenta “un dono o forse una
sfida” (da L’età più oscura, sezione
II). Nella parola poetica c’è infatti quel sapor di manufatto, quell’amalgama
sapiente in grado d’impastare il foglio d’inchiostro e parole. Ed ecco
affacciarsi dalle pagine del volume, come da una scatola cinese, riferimenti a
colleghi autori, anche scomparsi (Al mio amico professore, Quell’unica lancetta, L’isola di Rodi), a premiazioni ed
incontri con albergatori (Folli e strani
castori, Un altro giorno), a
momenti per lo più vissuti in due.
“L’ultimo giorno
scivoleremmo silenziosi
ancora abbracciati,
dal fresco della camera
al profondo del
lago. Solo un rapace ci vedrebbe
e capirebbe il
senso, il cammino, o forse
ci scambierebbe per
folli e strani castori (…)”
(da Folli e stani castori)
Vengono descritti momenti che danno
senso e misura di una vita intera, vissuti in presenza / non presenza della
donna amata, (“Siamo due dei tanti” leggiamo in E’ già passata), la sola
musica, acqua, uva in grado di donare all’io lirico “ sensi nuovi”, il profumo
della poesia: si vedano a questo riguardo le liriche Prima che il tuo profumo, La
stessa linea del fronte, Chissà quale
galassia lontana, Due granelli, Il
resto è silenzio:
“C’è musica quando
ci sei tu.
Il resto è silenzio,
percorso misto
su una strada di
pietra”
Perché, come scrive Elio Pecora nella
prefazione al volume, <<questo è anche, e soprattutto, un libro d’amore
cercato, inseguito, raggiunto, come un dono inatteso e come un ritrovamento, in
cui la donna amata è l’approdo toccato>>.
Un approdo, una meta raggiunti non
senza sofferenze:
“Ed è ironia, miele
e limone, dover
ricorrere ai versi
per dire alla poesia
che non c’è più. E’
bugia ingenua
ritrovare qui ed ora
il coraggio
di mendicare alla
porta di legno antico
per dirti che non mi
manchi
non ti penso più.”.
(da Miele e limone)
E nonostante il
passato, è ancora possibile Scrivere
d’amore “pensando a te, alla tua vita lontana/che vive in me (…) alla sola
prigione /che mi fa fuggire via”.
Echi montaliani si avvertono nella miopia dell’io lirico “Prima di te avevo
solo la vista, la pupilla, vanamente dilatata del miope” (da Sensi nuovi).
Così Montale:
“(…) di noi due le
sole vere pupille
(…) erano le tue[2].”
E ancora, come recita la lirica Il non amore:
“Perdi il senso
dello sguardo, la mano,
il sudore. La voce
si insinua nella gabbia
e la frantuma, bocca
spalancata, schiuma
di folle che sa bene
quanto sia amaro
il non amore.”
Creta indocile s’intitola dunque la silloge di
Mugnaini, prendendo il titolo dal quarto componimento della prima sezione, ma
altrettanto efficace e suasivo sarebbe stato indicare come testo eponimo Due granelli, i cui versi conclusivi sono infatti riportati in quarta di
copertina:
“Siamo così diversi,
amore, che nessuno scienziato
potrà mai inventare
un congegno per farci dialogare.
Ma quando ti stringo
ad occhi chiusi
con la bocca
serrata,
(…) Siamo ciò che il
nostro corpo ha capito
prima dagli occhi
miopi della mente.”
Ritroviamo nelle liriche mature
dell’Autore, la costruzione classica rivisitata dell’atque e del sed,
dell’attacco ex abrupto properziano, qui usato per scandire una svolta logico
sintattica nell’economia del testo: Ma arrivi tu. (da Il resto è silenzio); Ma ancora tenace, avido, feroce (da Il mondo non ha angoli); Ma c’è un
raggio più tenace ( da Un raggio più
tenace); Qualcosa ancora non si attaglia (da Qualcosa dentro); Potrei ma poco importa (da Miele e limone); Ma l’asfalto si squama, si sgretola (da Il sorpasso); Ma in tanti ridono (da I bambini là fuori);
Nelle liriche di Mugnaini ritroviamo
anche l’eppure, che ricorda il “pur” del Foscolo dei Sepolcri.
A questo riguardo si vedano “Eppure è”
della poesia Un’altra
siepe ed il già citato verso “Eppure il foglio che abbiamo davanti è ancora
bianco” da L’età più oscura, nonché
“Eppure non tutto è perfetto” dalla lirica Segni
scuri.
Nelle quattro sezioni in cui si
suddivide il volume sono dunque confluite varie liriche composte nell’arco di
diversi anni quali le già note Quale
amnistia e Inadeguato all’eterno,
testo quest’ultimo dal titolo felicemente provocatorio ed inquietante che se
per un verso esprime tutta la limitatezza e inadeguatezza umana, se sviscerato
si muove entro due poli opposti: il contrasto tra l’umano, la creta
dell’esistenza, la pietra che freme, il finito e l’universale, l’eterno. Tra
l’autore e la sua poesia. A metà strada tra questi due opposti, la lotta contro
il vizio comico del vivere che solo la parola e qui, nell’ultimo Mugnaini,
soprattutto l’amore perduto e ritrovato, può sanare.
Valeria Serofilli
Villa
di Corliano di San Giuliano Terme, 15 Giugno 2017
[1] Come ho
avuto modo di scrivere in poesia condivisa n° 16 (marzo 2013) e nella nota
critica “La folle ferita del vivere” curata per il volume Inadeguato all’eterno (Felici
Editore, Pisa 2008) ed altri inediti di Ivano Mugnaini.
[2] E. Montale, “Ho sceso dandoti il braccio
forse un milione di scale” da Xenia II poi all’interno della
raccolta Satura.
La poesia di Ivano Mugnaini che, di tanto in tanto e per canali diversi mi giunge agli occhi per piacevoli letture, ha sempre attirato il mio interesse per sobrietà linguistica, per forza stilistica e per certe inedite soluzioni creative che potenziano l'efficacia del dire poetico. Leggo volentieri Mugnaini che è vero poeta, come dimostrano questi versi opportunamente offertici in citazione da Valeria Serofilli.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Ringrazio Nazario Pardini per la sempre preziosa collaborazione e ospitalità accordata ai miei testi poetici e contributi critici, nonché alla diffusione del Calendario d' iniziative di AstrolabioCultura.Un sentito ringraziamentoinoltre a Pasquale Balestriere per l'apprezzamento.Valeria Serofilli
RispondiEliminaRingrazio Nazario Pardini per la sempre preziosa collaborazione e ospitalità accordata ai miei testi poetici e contributi critici, nonché alla diffusione del Calendario d' iniziative di AstrolabioCultura.Un sentito ringraziamentoinoltre a Pasquale Balestriere per l'apprezzamento.Valeria Serofilli
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