sabato 17 giugno 2017

VALERIA SEROFILLI LEGGE: "LA CRETA INDOCILE" DI IVANO MUGNAINI



In anteprima assoluta la nota che Valeria Serofilli ha curato al volume di Mugnaini La creta indocile, appena uscito, e presentato lo scorso giovedi 15 giugno a Villa di Corliano nell'ambito della conferenza da lei promossa per AstrolabioCultura dal titolo Autori allo specchio, la necessità della poesia".



Valeria Sertofilli


IVANO MUGNAINI E LA CRETA INDOCILE DELL’ESISTERE


Prosegue, con la raccolta poetica La creta indocile, pubblicata da Oédipus edizioni nella Collana Intrecci e  prefata da Elio Pecora con postfazione di Ivan Fedeli, il work in progress di Ivano Mugnaini. Un autore che ha raggiunto la piena maturità espressiva, la cui parola poetica è dotata dell’arte di plasmare la creta indocile dell’esistere, di plasmare respiri nuovi (come recita la lirica Una linea retta), dando forma e sostanza al pensiero, ricollegandosi al significato primario di poieo quale appunto fare, creare:



“(…) Ciò che fa di me
un uomo è l’avere imparato
l’arte di plasmare
con dita goffe ma tenaci
la creta indocile dell’esistere.”
(dalla lirica eponima La creta indocile)
                Plasmare respiri nuovi, (da Una linea retta)

Una lirica, questa di Mugnaini, che si delinea come sorta di prosieguo della sua produzione narrativa[1] dotata della stessa non comune capacità di coniugare la forza del sentire con la competenza tecnica, in una sapiente mistura di realismo ed immaginazione. Forgiando <<un linguaggio in grado di comunicare l’appropriazione da parte dell’individuo della propria responsabilità attiva di fronte al mondo>> (Ivan Fedeli, nota di lettura al volume) e lasciando il proprio passaggio sul foglio immacolato che abbiamo davanti che rappresenta “un dono o forse una sfida” (da L’età più oscura, sezione II). Nella parola poetica c’è infatti quel sapor di manufatto, quell’amalgama sapiente in grado d’impastare il foglio d’inchiostro e parole. Ed ecco affacciarsi dalle pagine del volume, come da una scatola cinese, riferimenti a colleghi autori, anche scomparsi (Al  mio amico professore, Quell’unica lancetta, L’isola di Rodi), a premiazioni ed incontri con albergatori (Folli e strani castori, Un altro giorno), a momenti per lo più vissuti in due.

“L’ultimo giorno scivoleremmo silenziosi
ancora abbracciati, dal fresco della camera
al profondo del lago. Solo un rapace ci vedrebbe
e capirebbe il senso, il cammino, o forse
ci scambierebbe per folli e strani castori (…)”
(da Folli e stani castori)

Vengono descritti momenti che danno senso e misura di una vita intera, vissuti in presenza / non presenza della donna amata, (“Siamo due dei tanti” leggiamo in E’ già passata), la sola musica, acqua, uva in grado di donare all’io lirico “ sensi nuovi”, il profumo della poesia: si vedano a questo riguardo le liriche Prima che il tuo profumo, La stessa linea del fronte, Chissà quale galassia lontana, Due granelliIl resto è silenzio:

“C’è musica quando ci sei tu.
Il resto è silenzio, percorso misto
su una strada di pietra”

Perché, come scrive Elio Pecora nella prefazione al volume, <<questo è anche, e soprattutto, un libro d’amore cercato, inseguito, raggiunto, come un dono inatteso e come un ritrovamento, in cui la donna amata è l’approdo toccato>>.
Un approdo, una meta raggiunti non senza sofferenze:

“Ed è ironia, miele e limone, dover
ricorrere ai versi per dire alla poesia
che non c’è più. E’ bugia ingenua
ritrovare qui ed ora il coraggio
di mendicare alla porta di legno antico
per dirti che non mi manchi
non ti penso più.”.
(da Miele e limone)

E nonostante il passato, è ancora possibile Scrivere d’amore “pensando a te, alla tua vita lontana/che vive in me (…) alla sola prigione /che mi fa fuggire via”.
Echi montaliani si avvertono nella miopia dell’io lirico “Prima di te avevo solo la vista, la pupilla, vanamente dilatata del miope” (da Sensi nuovi).
Così Montale:

“(…) di noi due le sole vere pupille
(…) erano le tue[2].”
E ancora, come recita la lirica Il non amore:
“Perdi il senso dello sguardo, la mano,
il sudore. La voce si insinua nella gabbia
e la frantuma, bocca spalancata, schiuma
di folle che sa bene quanto sia amaro
il non amore.”

Creta indocile s’intitola dunque la silloge di Mugnaini, prendendo il titolo dal quarto componimento della prima sezione, ma altrettanto efficace e suasivo sarebbe stato indicare come testo eponimo Due granelli, i cui versi conclusivi sono infatti riportati in quarta di copertina:

“Siamo così diversi, amore, che nessuno scienziato
potrà mai inventare un congegno per farci dialogare.
Ma quando ti stringo ad occhi chiusi
con la bocca serrata,
(…) Siamo ciò che il nostro corpo ha capito
prima dagli occhi miopi della mente.”

Ritroviamo nelle liriche mature dell’Autore, la costruzione classica rivisitata dell’atque e del sed, dell’attacco ex abrupto properziano, qui usato per scandire una svolta logico sintattica nell’economia del testo: Ma arrivi tu. (da Il resto è silenzio); Ma ancora tenace, avido, feroce (da Il mondo non ha angoli); Ma c’è un raggio più tenace ( da Un raggio più tenace); Qualcosa ancora non si attaglia (da Qualcosa dentro); Potrei ma poco importa (da Miele e limone); Ma l’asfalto si squama, si sgretola (da Il sorpasso); Ma in tanti ridono (da I bambini là fuori);
Nelle liriche di Mugnaini ritroviamo anche l’eppure, che ricorda il “pur” del Foscolo dei Sepolcri.
A questo riguardo si vedano “Eppure è” della poesia Un’altra siepe ed il già citato verso “Eppure il foglio che abbiamo davanti è ancora bianco” da L’età più oscura, nonché “Eppure non tutto è perfetto” dalla lirica Segni scuri.
Nelle quattro sezioni in cui si suddivide il volume sono dunque confluite varie liriche composte nell’arco di diversi anni quali le già note Quale amnistia e Inadeguato all’eterno, testo quest’ultimo dal titolo felicemente provocatorio ed inquietante che se per un verso esprime tutta la limitatezza e inadeguatezza umana, se sviscerato si muove entro due poli opposti: il contrasto tra l’umano, la creta dell’esistenza, la pietra che freme, il finito e l’universale, l’eterno. Tra l’autore e la sua poesia. A metà strada tra questi due opposti, la lotta contro il vizio comico del vivere che solo la parola e qui, nell’ultimo Mugnaini, soprattutto l’amore perduto e ritrovato, può sanare.


                                                 Valeria Serofilli


Villa di Corliano di San Giuliano Terme, 15 Giugno 2017





[1] Come ho avuto modo di scrivere in poesia condivisa n° 16 (marzo 2013) e nella nota critica “La folle ferita del vivere” curata per il volume Inadeguato all’eterno (Felici Editore, Pisa 2008) ed altri inediti di Ivano Mugnaini.
[2]  E. Montale, “Ho sceso dandoti il braccio forse un milione di scale” da Xenia II poi all’interno della raccolta Satura.

3 commenti:

  1. La poesia di Ivano Mugnaini che, di tanto in tanto e per canali diversi mi giunge agli occhi per piacevoli letture, ha sempre attirato il mio interesse per sobrietà linguistica, per forza stilistica e per certe inedite soluzioni creative che potenziano l'efficacia del dire poetico. Leggo volentieri Mugnaini che è vero poeta, come dimostrano questi versi opportunamente offertici in citazione da Valeria Serofilli.
    Pasquale Balestriere

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  2. Ringrazio Nazario Pardini per la sempre preziosa collaborazione e ospitalità accordata ai miei testi poetici e contributi critici, nonché alla diffusione del Calendario d' iniziative di AstrolabioCultura.Un sentito ringraziamentoinoltre a Pasquale Balestriere per l'apprezzamento.Valeria Serofilli

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  3. Ringrazio Nazario Pardini per la sempre preziosa collaborazione e ospitalità accordata ai miei testi poetici e contributi critici, nonché alla diffusione del Calendario d' iniziative di AstrolabioCultura.Un sentito ringraziamentoinoltre a Pasquale Balestriere per l'apprezzamento.Valeria Serofilli

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