Ubaldo De Robertis |
Circa un anno fa Ubaldo mi inviò la mail
che le inoltro, sintetica ma estremamente calorosa. Pensai che probabilmente mi
aveva preso in grande simpatia, nonostante lo conoscessi da poco. Credo di
averlo incontrato non più di 7-8 volte in tutto. Si era offerto di presentarmi
a Lei e come un mio fan aveva accolto con entusiasmo, forse addirittura più di
me, la recensione che Lei aveva pubblicato per il mio libro sul blog “Alla
volta di Leucade”. Al suo funerale in chiesa ho cominciato a pensare al suo
curioso naviplano (“non esiste mica, me lo sono inventato io”…) come a un
giocattolo del pensiero ormai fermo. Poi a poco a poco è emerso qualcos’altro. Questi
versi che vorrebbero ricordarlo. Sono intrisi di immagini che fanno parte del
suo ultimo repertorio poetico e che mi sono restate impresse, non saprei dire
se più per la loro forza intrinseca o per l’entusiasmo ragazzino con cui me le
porse lui stesso, desideroso di mettermi a parte delle sue esplorazioni e
scoperte nell’ambito della poesia. Come un ragazzino si mordicchiò il labbro
quando io restai titubante a una sua lettura e come un bambino vidi che
s’illuminava letteralmente, un po’ incredulo, quando dissi che un’altra mi
piaceva davvero. Restai piacevolmente sorpreso da tanta considerazione, perché
era la prima volta che c’incontravamo ed io ero il dilettante che chiedeva
consigli, lui il poeta già esperto che li dava. In fondo, credo, era ciò che lo
rendeva grande a suo modo: il rimettersi in discussione e l’ottimismo per le
nuove possibilità. Affido a Lei il componimento. Giudichi Lei se abbia senso
pubblicarlo. Io ne sarei lieto, ma non vorrei essere per un qualsiasi motivo
inadeguato o inopportuno. La ringrazio per l’attenzione e la saluto
cordialmente.
Benedetto Maggio
Ricordo di Ubaldo
Ma chi
ha lasciato un naviplano in panne
sui
fondali preistorici
tra le acque sotto il cielo un solo luogo
e pesci argentei attoniti
in
girotondi ciclici
di
svogliatezza?
Venga
a smuoverlo subito
un
novello pensiero ispiratore
dopo l’estro
Ché
pure incalza e strappa
eccome
strappa questo tempo
pendente
nell’inerzia! Sì,
lo
sento passare. Lo sento come quando
un
ticchettio usuale e persistente
ormai
spento riecheggia nella mente
dove
ha ormai preso spazio e ritmo. E non si placa
non
s’arrende. Piuttosto accelera
s’amplifica.
E intorno vedo la stanza e muri
e i
quadri appesi trai quali s’aggirava
il tuo
febbrile pensiero
e la
porta accostata sul buio
scricchiolante
a un nonnulla dell’aria al gemito
che la
schiude più al tempo che allo spazio.
Tu la
temevi, come oltre la siepe
più
volte addormentata al solo risvegliarsi
temevi
il passo pure palesemente
variopinto
allegro delle stagioni e il dramma
di cui
si nutriva la bellezza
per brillare
nell’attimo sospeso e in dramma ancora
consunta
sfiorire e ricadere.
Ed
estinguersi. Palingenesi dei nostri
sacri
eterni
giorni fioriti
intensi
e inconsistenti come l’incenso!
Cosi
Therése, come tu la vedesti,
attende
ancora, bloccata nel destino
della
sua quiete. Non tornerà al paese
che
ama troppo, né può distoglierne
lo
sguardo. Inaspettatamente
l’ordigno
a orologeria non è esploso. Si è fermato.
Perché
il nostro travaglio è muto al mondo!
E a
tuo dispetto arde ancora rossa
Betelgeuse
gigante e gira
l’universo
ad anelli. Qualunque sia
il
girone che ci contiene, noi qui sostiamo
come
sostavi tu
nella
luce e nell’aria
ancora
un poco.
Molto bello questo tributo al grande Ubaldo, che resta accanto ai cuori di tutti noi. Suggestiva e quanto mai incisiva l'adozione di un linguaggio che evoca quello del nostro Amico. Un dono dovrebbe sempre avere queste caratteristiche. Essere l'abito adatto per Colui che l'ha indossato. Ringrazio vivamente il signor Benedetto, che non conosco, perchè si è teso ad arco verso l'Artista e ci ha dato l'Esempio.
RispondiEliminaMaria Rizzi
Ringrazio il prof. Nazario per avermi dato voce e la sig.ra Maria per il gradito e incoraggiante commento.
EliminaBenedetto Maggio