RECENSIONE
Scatola nera
di Chiara Mutti
Fusibilia
edizioni
ISBN
978-88-98649-30-3
Euro
13,00
A cura di Adriana Pedicini
La poesia –ma forse non voleva-/mi è colata come lava sul
cappello/ma non sono che rivoli d’acqua/agitato corso del mio sonno..
(3 gennaio 2012)
Adriana Pedicini, collaboratrice di Lèucade |
Ma cos’è la
poesia: è fantasia, armonia di ritmi? Soffio di voci, schegge di vita reale,
immagini, metafore? Echi di nostalgia, geometrie di ricordi? intrighi di
pensieri che si dipanano in parole chiare o meno chiare, se non addirittura nel
non detto?
Forse
tutto questo, insieme.
Inoltre
vi è una poesia che nasce dal sentimento e si esteriorizza in
pensiero/immagini/parole. Vi è una poesia che nasce esclusivamente dal pensiero
e non sempre offre una fioritura di sentimenti, ma una somma di meditazioni
sulla realtà visibile e sul trascendente.
A
noi scavare e portare alla luce i possibili sentimenti.
È
possibile, dunque, notare, dall’analisi delle tematiche e delle strutture
formali della silloge poetica di Chiara Mutti, questo duplice impegno, questo doppio approdo, a cui la Poetessa giunge al
termine di un percorso lungo di meditazione e studio, di confessione e
riflessione, iniziato quando ancora era tutto confuso alla coscienza
venivano così i pensieri/come le croste secche alle ginocchia/ un po’
prurito, un po’ dolore/ che se le togli troppo presto/ la ferita comincia a
sanguinare/.
E
ancora..(e sembra di sentire il Gregor kafkiano delle Metamorfosi)..
tutte le cose/ si affacciavano malferme/come le ombre che zampettano
sui muri.
(in
Venivano così i pensieri).
“Complessi teoremi di
coscienza” che fin dalla primissima giovinezza intravedono il dramma del
tempo che fugge, mentre l’opera pietosa della memoria annoda voci che si
affastellano come conquiste da dimenticare nella direzione verso porti nuovi,
verso bianche spiagge spettrali in cui desiderio e coscienza sono rette parallele destinate a non
incontrarsi mai. (L’anima)
Tali
suggestioni troviamo in La notte, in
cui l’anima trova se stessa, e quella compiuta consapevolezza di sé che le fa sembrare
eterno l’attimo che fulmineamente trafiggendoci “ci nasce”, in maniera contrapposta
rispetto al raggio di sole di Quasimodo. Notare l’incipit della poesia (si sta così la
notte..sospesi nel riverbero sottile) e il richiamo a Soldati di
Ungaretti : “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, nonché a un’antica
tradizione letteraria che da Omero, attraverso l’Eneide virgiliana (VI libro)
arriva fino a Dante (III canto dell’Inferno).
D’altro
canto è ravvisabile, nel silenzio notturno, la solitudine (echi saffici) sottolineata da
una luna non più complice
Brilla la luna impietosa/nuda/si offre in tutto il suo
chiarore/attraversata appena dalle ombre
mentre
maliziosa
scopre ella impudica/ quel che nascosto dovrebbe restare/ nel buio
della notte/E non mi dona il sonno/
(Luce
lunare)
Ancor di più nella poesia “Non mi lascio toccare” con parole
incisive ed essenziali sottolinea il distacco rispetto a chi pone il suo metro
di giudizio non nella virtù nell’apparenza, che si esaurisce nei confini dell’hic
et nunc, annaspando in quell’effimero vuoto di un presente senza radici e senza prospettive di futuro. (lettura integrale).
Tale
scelta si rivela pur sempre un tentativo di dare significato alla vita, ad un
viaggio la cui meta è sconosciuta
Umano, troppo umano/del cuore/ questo voler andare/ dove?
Lo
stesso viaggio, che è poi la vita, non è peraltro esente da dolore...
Questo cieco infilarsi/dentro il gozzo/di speranza/dove sgorga di
miele e fiele/ la goccia che è la vita....e arranca nel silenzio della luce/ il
senso del domani/ del giorno dopo ancora e poi/ del sempre (Umano)
Ma c’è sempre “un oltre che ci avanza”
un
oltre irraggiungibile e tuttavia di eterno ritorno...un fiore, un bambino, una
preghiera e tutto ricomincia.
Lo
leggiamo anche nella poesia metafora Treno
notturno...il tempo che passa, la vita che ci trascina via
un movimento pigro e ingordo/ che c’inganna e ci frantuma/ e raglia
e finge di sparire/: è l’eterno ciclo del ritorno/.
...la stazione all’alba/cielo rosa/che trafigge il cuore.
Sicché
nessuna certezza è possibile e già il nascere è segno del morire
questo peso di specchio nella
culla/è il riflesso/che ci fa già morti .
(Passi)
..il
morire, che è già nell’alternanza gioia-dolore, già nel “giro di chiglia” per
venti tempestosi che disorientano lo
sguardo e annullano l’orizzonte. Unica certezza il nulla e tuttavia, agognato, il
“gelido” sguardo finale”, quello della luce dell’ultima ora.
Tutta
la vita dunque si risolve in un’attesa, di cose e di segni, di sentimenti e di
rinascita, dopo i rigori dell’inverno, ma neppure il tempo di avvedersene ed è
già sera (Melodia dell’Inverno).
Vivo esalando l’attesa....senza sapere quando/ e perché/ancora
adesso, e troppo presto, è sera.
Ma soprattutto la vita è un perenne gioco di
equilibrio su una corda troppo sottile, stonata, malferma a volte perfino
inesistente o ben serrata nel subconscio che non vale a chiarire i perché.
Non posso parlare alle cose/ che non conosco
(L’equilibrio)
Se credessi.....
Potrei forse frugare negli angoli/di questa scatola nera/trovare le
note/di qualche vecchio motivo
L’unica
salvezza è non precipitare nell’abisso e
assistere quasi in una perpetua “aspettazione” ai passi del tempo e alla
natura che muore e prepotentemente rifiorisce di vita, mentre già si preannuncia
una nuova fine.
Ciò ch’era ancora virgulto/solo ieri solo ieri/era appena nato/oggi
esplode nel sole....mentre inizia nel fiore sbocciato/ la secchezza del seme. (Temporale)
Può
darsi che si tratti di incapacità di fronteggiare il dolore, il “nostro pane quotidiano”,
un figlio infausto/che non manchiamo un giorno/di allattare
che
si sublima illusoriamente nella suprema vanità di esistere, in realtà si
risolve nell’inutilità di essere granello di sabbia sulla soglia dell’infinito,
varcata la quale non è concesso il ritorno.
Bagliori del conclusivo lume/esalano di noi, noi/ terra rivoltata a
vanga/umido trapasso di radici
E
ancora
In fretta –troppo in fretta-/maledetto sole/per restare/al
sopraggiungere del nulla. (Fuochi
fatui)
.e noi sulla soglia/ignorati,sostiamo/in procinto perpetuo di
entrare
(La somma)
Il tempo fugge, a nessuno è dato di tornare
Di qui passarono/uomini e uomini/e dei/forse agli dei/-a volte-/è
concesso tornare
Metafora
del senso dolente dell’ineluttabile scorrere della vita nel ragno che tesse nuove
tele e continuamente le disfa.
Qui tra mondo e mondo/i ragni tessono/e disfano/le proprie tele.
(Uomini e dei)
Secondo
i canoni della classica virtù ma senza lo stesso entusiasmo, a parer mio, la
Poetessa nella poesia Il sogno tenta
una consolazione, cioè l’esser “contenti sui”, non aver desideri, sapersi
accontentare.
Ricordiamo il pensiero ciceroniano: contentum
suis rebus esse maximae sunt certissimaeque divitiae
Se sapessimo esimerci/dal desiderio/e bastare a noi stessi/come la
notte all’alba/quale male mai/ potrebbe farci soffrire?
Ma la vita, quella oltre l’esser desti o
dormire, quella dov’è, la si può raccontare?
Ma ancora cosa/di quanto amore/potrei scrivere qui, che non sia/
l’esser desti o dormire
(Il sogno)
Infine
la poetessa operando uno scavo interiore, ne fa scaturire una confessione
spesso dolente, ma sempre controllata, una confessione che traspare anche dalle
riflessioni, dalla configurazione della realtà raffigurata come aderenza o distanza o eco di uno stato d’animo.
Ritorna
infine frequentemente nelle poesie, diversamente dichiarato, il motivo della
incomunicabilità, della solitudine in cui ognuno è destinato a vivere, tranne
per brevi attimi di amore che si
dileguano come neve al sole anche se di attimi sono costellate tante storie.
Alchimia di molecole sospese
Ella
allora ritrova il suo senso perduto nel fiorire delle immagini e delle ombre
più care e fissa per sempre sulla pagina i segni e i simboli di una verità
soggettiva, di una realtà femminile scoperta , fragile, delusa.
Per quale strada volevamo avviarci/ non lo sapremo mai..tu sfogliavi
carta/ Ora so/ Tu riflettevi i pensieri/nel rumore dei fogli.
(Bazar)
La
memoria che offre la capacità prodigiosa di rivivere gli attimi dà alla
Poetessa la coscienza della nostra vita, fatta di sogni e di trepido
struggimento, ma anche di speranze e disillusioni, derivanti dal senso stesso del
nostro fluire nel tempo “ che confonde l’oggi con ieri” e toglie al domani al
gioia dell’attesa.
Era forse la tua voce/ quel lontano lamento?..Tu non hai che parole
d’ossa/..non sai quale mistero ti ha visto/..Solo un velo di terra/ è rimasto
(Il lume)
È Un assalto di mondi che furono/ e che ora non sono, un istante
futuro/ per arcano motivo già visto./ Ah quel respiro che offusca/ lo specchio/
e che cosa faremmo noi/, cosa non daremmo/ per lasciare le nostre impronte/ lì
proprio lì... per sempre
(Mondi)
Una
realtà esistenziale, colta nelle immagini-simbolo delle varie liriche,si sviluppa
dunque, di verso in verso, come in una storia, in una conclusa vicenda, ove la
speranza e il dolore sono configurazioni di un moto perenne del quale l’essere
umano, se afferra il suono, ignora angosciosamente il significato.
La
caratteristica precipua di Chiara Mutti è nello snodarsi del poiein, caratterizzato
dal frequente utilizzo di verbi che disegnano la struttura tematica-fonica, lo
stile, la personalità dell’autrice, ma altresì ne dichiarano la partecipazione
alle problematiche esistenziali e sociali attraverso diagnosi senza terapia,
denuncia senza soluzioni, preziosa registrazione di consapevoli ironie su ciò
che siamo, unitamente a ciò che avremmo voluto essere e non siamo.
Tuttavia
è suggestivo il tono pacato con cui canta la luce e l’ombra della vita,
innalzando il suo mondo individualizzato ad una visione di valore universale.
Forse influenzata dalle scelte stilistiche dei
nostri maggiori dell’ermetismo, Chiara Mutti dimostra un musicale impiego della
metafora, la sinteticità analogica, e l’accostamento rapido delle immagini.
Appaiono
ricorrenti vocaboli-tema caratteristici di una diretta corrispondenza tra la
realtà interiore e le cose che assumono valori di simboli di un mondo intimo,
mentre valgono a tradurre in ritmo alcuni miti propri del romanticismo..
Se
nella prima parte rilevante è la resa del sentimento che risulta però talvolta
velato dall’evasività e dal simbolismo e quasi si offre ad ambivalenze,
raggiunge l’acme nella parte centrale (le due poesie lunghe) dopo di che
abbiamo le poesie più brevi, in cui ogni parola è densa come un grumo di anima
e non si presta a interpretazioni arbitrarie, ma esprime una componente della
sua realtà spirituale. Allora il sentimento è l’invisibile soffio che fa
vibrare di umanità le sillabe e crea un dettato ritmico aderente al moto
lirico, una tonalità dolente e insieme, distaccata, che rende la confessione
appena sussurrata.
E
l’incertezza esistenziale si affaccia all’anima col respiro delle onde (Le
onde) ma manca il superamento di una concezione, il desiderio o bisogno di
attingere l’eterno di una realtà transitoria che è al fondo di tutte le
coscienze, manca lo slancio passionale dell’amore che forse è evidente solo in
qualche lirica, se si accetta il simbolismo(D’amore e spade) (L’alba).
Tuttavia
l’impressione che abbiamo ricavato dalla lettura di Scatola nera è quella di composizioni di perfetto equilibrio
strutturale, di personale ritmo musicale, vibrante di delicata e dolente
interiorità.
Adriana
Pedicini
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