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domenica 3 settembre 2017

N. PARDINI LEGGE: "COME VOCE ERRANTE" DI CLARA NISTRI

Clara Nistri: Come voce errante. Blu di Prussia Editrice. Monte Castello di Vibio (PG). 2017. Pgg. 88





Questa la poesia incipitaria della plaquette che, prodromica al tutto, ad un evolversi di euritmica sonorità, ci prende per la sua grande duttilità spirituale:

 Un’anima
che non ha più sogni
da vivere
annega,
come la foglia appassita
nelle oscure acque di un lago,
nei vuoti spazi
tra cielo e cielo.

Un verseggiare che permette, da subito, di entrare nel mondo poetico della Nistri: anima che annega, foglia appassita, spazi vuoti, cielo terra, tanti riferimenti di natura psicologico-introspettiva atti ad aprire un percorso di ricerca attraverso pensamenti e suggestioni di forte tensione contemplativa; di impatto meditativo-esistenziale attraverso composizioni, che,  introdotte da citazioni di grandi autori,  evidenziano la cultura letteraria della Nostra; il suo amore per questa antica arte che ognuno si porta dentro senza saperne il perché. Sì, ognuno di noi è un po’ poeta, e davanti ad uno squarcio di cielo, ad un  orizzonte marino, o ad una passita primavera, prova brividi che dicono di un’innata sensibilità; di una vita che palpita o sfiorisce; che esplode o geme. Ma essere poeti è ben altra cosa: le sensazioni,  le emozioni, le passioni, i turbamenti… sono sicuramente l’alimento primo; il focus del canto, dacché ogni realtà fenomenica ha bisogno di essere filtrata dall’anima per farsi immagine. Ma, soprattutto, occorre che trovi il vestito adeguato per farsi corpo; colore per farsi viva. La parola. Il verbo che con tutta la sua icasticità ci viene incontro predisposto a dare forza a tali subbugli; se ne fa compagna, e con estrema disponibilità offre tutto il suo bagaglio lessico-fonico a ché tali input emotivi trovino posto sufficiente a contenerli. Questo il cuore della scrittura. Questo l’elemento basilare per trasmettere le nostre vertigini esistenziali; le nostre epigrammatiche inquietudini.  E tutto ciò per dire della importanza che assume la verbalità nel discorso poetico della Nistri. La sua parola si fa elemento portante nella struttura del testo: adegua il suo potere lessicale ora alla dolcezza ora alla nostalgia ora alla melanconia ed ora al mistero che circonda il Creato. Una simbiotica fusione fra dettato eufonico e substantia significante. D’altronde, partendo dai versi testualmente citati, si capisce il valore dell’ego di fronte all’importanza dell’onirico. Intendendo per tale ogni obiettivo che l’uomo si ripropone nel tragitto della sua  navigazione; ciò che spinge alla ricerca dell’isola agognata, che alimenta il desiderio di superare la precarietà della  vicenda umana: “Un’anima che non ha più sogni da vivere annega, come la foglia appassita nelle oscure acque di un lago, nei vuoti spazi tra cielo e cielo.”. La poetessa è cosciente della precarietà del vivere, dei limiti che frenano i suoi voli; della impossibilità di toccare l’azzurro con mani nate per razzolare a terra. Ma ciò non toglie che non possa azzardare la sua navigazione in cerca del faro che illumini il porto. Lunga la navigata, lontana l’isola a cui ambisce, il mare è immenso e carico di trabucchi; da ogni parte si levano scogli a ostacolare il percorso: imbatterci in quegli aguzzi speroni non è difficile;  è umano, immensamente umano. Tutto sta nel trovare, dopo l’impatto, la forza per continuare coi resti che permangono, pur fragili; e sono proprio i sogni a costituire la vèrve del viaggio; le memorie a incalzarci a proseguire dacché sono la storia del nostro vissuto. Un patrimonio che teniamo ben stretto, sempre più folto, sempre più denso, ricco e fertile per i canti del nostro poema. Forse è proprio con i nostri ricordi che possiamo superare in gran parte l’idea della brevità del soggiorno che ci è toccato; della futilità di una sacrosanta storia. Mi diceva un mio vecchio professore che la memoria è uno dei pochi sistemi per vincere la morte.  Senz’altro allunga la vita con tutta la sua carica vicissitudinale. E attingere da quel serbatoio, da quelle vicende che si sono trasformate in immagini durante un lungo riposo fattivo, vuol dire alimentare il terriccio della poesia; renderlo fertile per allunghi di poematica valenza. Dacché la poetessa sa che scrivere significa analizzare fino in fondo il nostro essere; scrutare con perspicacia nei meandri più reconditi dell’esistere. Questo è il messaggio della poetica della Nistri: amare, vivere, soffrire, meditare, volare e credere: una vita; sì, una vita intera consegnata a versi di polisemica intensità: rapporto con la morte:

Sul luogo della mia infanzia

-        odore d’erba
di pane cotto nel forno.
(…)
Portami via.

Forse la morte
altro non è che sonno


saudade e nostalgia di un tempo:

Oh! poter ripercorrere il cammino,
tornare alla meraviglia di un tempo.
Come pesa sul cuore
il tuo silenzio…

attesa:

Oggi ho solo ferite
E strappi nelle vesti,
oggi, nel crepuscolo dei giorni
vivo l’attesa.
C’è stato un tempo…

 verità indistinte:

E’ l’acqua
la mia sola salvezza,
sorgente di trasparenza
che slabbra
verità indistinte.

Sorriso. Tempo immobile:

Mi sporgo nel silenzio
in ascolto del buio della notte,
in attesa di un sorriso
di questo tempo immobile.

attaccamento alle radici:

Qualcosa d’irreale la casa,
una creatura di pietra
distesa nel prato innevato
come un disegno senza prospettiva.
Tra cielo e aria l’ombra di una nube
-        una zona bianca
come il volo della colomba,
un tratto scuro
come la tristezza.

metafisici abbrivi di un silenzio che appartiene a Dio:

Sarà la solitudine del luogo,
il respirare del vento,
a preparare l’istante
quando riuniti pezzi e rovine
sarò di nuovo me stessa
nel mistero del grande silenzio
che appartiene a Dio.

Una pluralità di congegni interiori che dilatano a ventaglio il fatto di esistere, sviluppandosi in un climax di umana pertinenza,  dove il silenzio abbraccia il gioco del canto: tre le sezioni: LUOGHI D’ANIMA, STORIE DI VITA, IL SILENZIO E L’ATTESA.
Una indagine attenta e analiticamente approfondita che l’autrice attua alla ricerca di se stessa; una metaforicità tesa a superare il lemma per toccare gli àmbiti più nascosti della psiche, sono gli accorgimenti stilistici che emergono dalla silloge, e che dànno compattezza ed organicità all’impianto tematico.
Nella prima parte del viaggio Clara si affida ad una natura loquace e fidente; ad un silenzio vivo per dare risposte vaghe a interrogativi inquietanti: “Forse quel luccicare/ di foglie,/ forse questo silenzio vivo/ sono ancora l’essenza/ della grazia”, in cerca di una umanità lungo la linea di confine fra il tutto e il niente: “Per ritrovare la mia umanità/ mi inginocchio alla presenza di Dio/ - un uro di silenzio/ lungo la linea di confine -/ Forse il cielo è al di là”. Un continuo azzardo verso orizzonti escatologici che rivelano la pochezza del nostro essere; il disagio della terrenità di fronte a quel tutto verso cui ambiscono le nostre forze umane e disumane. Nella seconda parte continua questa navigata verso un porto di non facile ancoraggio. Questa volta attraverso tappe che toccano ambiti esistenziali; interrogativi di difficile soluzione sulla vita, la morte, Longino, tante storie che dicono di Dio, di fede, di incontri, di notti fonde, di nubi di fumo che annodano il cielo, di luce vera dove si intravede la mano di Dio. Questioni che bruciano dentro: “Quando comincia/ quando finisce la vita?”. A introdurre la terza parte brillano quattro versi di Roberto Carifi che, con tutta la loro pluralità significante, fanno da antiporta all’ultimo canto del cigno; quello d una Poetessa che vive in silenzio la sua trepidante attesa: “Trepidante attesa/ di una visione di luce/ che arretri in noi/ la paura”. L’attesa di poter giungere ad una verità che forse non ci è dato scoprire tanto con la ragione quanto con slanci di intima spiritualità che dal corpo si elevano all’azzurro. E l’attesa è sperdimento, ma anche meditazione, raccoglimento di un’anima tutta volta a raggiungere il faro che illumina il porto: “L’acqua ritorna all’acqua/ il suono torna al suono,/ luce alla luce./ L’anima torna a Dio/ e  si fa eterna”. Una immersione nella luce accecante. Un gioco di rinascita, di rinnovamento, di fusione con la potenza divina per farsi anima eterna.


Nazario Pardini

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