Testo e foto
della presentazione di Versodove ad Asiago l'8 agosto 2017 nella
Sala consiliare del Comune
Annalisa Rodeghiero, collaboratrice di Lèucade |
VERSODOVE
LA
POETICA DELL’INTERO
IN
ANNALISA RODEGHIERO
Sandro Angelucci, collaboratore di Lèucade |
Ringrazio
l’Amministrazione Civica nella persona del Sindaco, Avv. Roberto Rigoni, qui rappresentato dall’Assessore alla cultura, Arch.
Chiara Stefani, per l’ospitalità concessami in questa splendida sala del
Consiglio comunale di Asiago.
Per
introdurvi – a mio parere, con lo spirito giusto – alla fruizione dei versi di Versodove, voglio provarmi a tentare,
per così dire, un immaginario scambio d’identità.
La domanda
che più frequentemente i giornalisti rivolgono ai cultori di questo genere
letterario è la seguente: “Cosa è la poesia per lei?”; domanda alla quale,
anche Annalisa, è stata chiamata a rispondere nel corso di una recente
intervista sul plurisettimanale on line “Fattitaliani”. Così ebbe ad esprimersi
in quell’occasione: “Non credo che la poesia si possa definire. La poesia per
me è un modo di vivere, di essere, di porsi. Si può vivere in poesia senza
necessariamente scrivere ma non si può essere poeta autentico senza fare della
propria vita, poesia, senza essere già nel pensiero, poesia…”.
Tornando
all’ipotetico traslato, cui poc’anzi ho fatto riferimento, vi sembrerà – non
dico adulatorio (è fuori dal mio stile) – ma, quanto meno, prevedibile ciò che
mi appresto a sostenere. Ebbene si: avrei risposto in modo analogo, fermamente
convinto – come sono – che l’arte tutta è una scelta di vita; di più: una
vocazione prenatale, mi spingo a dire,
che (non si sa come, non si sa quando) deve alfine manifestarsi.
Ecco perché
– incipitariamente – ho parlato di corretto approccio all’opera. In effetti,
scorrendo le pagine della raccolta della poetessa asiaghese (fin dalle prime)
si ha, inequivocabile, la percezione che la chiamata c’è stata, e poco importa
se, all’atto pratico, (come so) lei scriva relativamente da poco: l’ha detto
nell’intervista – ed io lo sottoscrivo –: è nel pensiero che si è o non si è
poeti.
Visto che ho
parlato di sfogliare, iniziamo a sfogliarle queste liriche (non tutte
ovviamente ma quelle che, credo e spero, contribuiranno al forgiarsi di un’idea
sufficientemente esaustiva). Prendo abbrivio dalla prima, tutt’altro che per
motivi di sequenzialità: Saremo altrove
costituisce senza dubbio un esempio indicativo; non soltanto per quanto
concerne l’opinione stessa del poetare ma – più ancora – perché in essa è
possibile rinvenire il nucleo, il centro di un sistema solare intorno al quale
orbitano i pianeti dell’universo poetico della Rodeghiero.
Oltre alla
fitta serie di domande, che si susseguono quasi a togliere il tempo ad ogni
tentativo di risposta – dalle stesse volutamente evitato, accuratamente evitato
– proprio perché sia il lettore, al termine, dopo aver profondamente inspirato,
a darsi l’unica risposta plausibile. Al di là di questo aspetto, dicevo, (sul
quale mi riprometto di tornare), sono qui presenti almeno un altro paio di
tematiche molto care all’autrice: intendo riferirmi all’attenta riflessione sui
contrari ed alla, non meno puntuale, ponderazione sul ruolo che in noi deve
svolgere la ragione.
Il bene e il
male, il brutto e il bello, la vita e la morte si osteggiano solo
apparentemente; in realtà cooperano, in nome di un’armonia superiore e
indefettibile che “sembra incrinarsi” – scrive Annalisa – nel preciso momento
in cui la “parola vera” inizia a “fruttificare”. Ma il regalo più grande ci
viene offerto dalla chiusa: “-Sai- saremo altrove / dove vince e perde la
ragione / ma intero vive il canto”: come dire che quel luogo esiste, non è un
parto della fantasia; è qui, davanti agli occhi nostri, anche se la maggior
parte degli uomini non se ne avvede. Poi si ode il canto, arriva la poesia. E
ci dona la vista.
Prima di
prendere in esame altri componimenti salienti per l’analisi esegetica, desidero
soffermarmi ancora un po’ sulla lirica d’esordio, in merito alle interrogazioni
sulle quali – come detto – avrei scavato. Estraggo (per ovvi motivi) dalle
altre, le domande che aprono e chiudono la successione: “Esiste forse una mezza
poesia per il poeta?” – si (e ci) chiede la poetessa – e, ancora: “Solo una parte
del cielo da toccare?”.
Cosa si
evince? Che non esistono mezze misure per chi continuamente scopre una ragione
di vita nel canto. Si dirà: ecco, i soliti sognatori questi poeti; e mi ci
metto anch’io, essendo uno di loro. Eppure, se me lo concedete (non vi appaia
autoreferenziale) scrissi in Verticalità,
la mia penultima raccolta in versi, in un testo inerente all’argomento:
“Credete davvero / che la vita vi stia aspettando? /. . . . / Voi vi fermereste
ad aspettare / chi passandovi accanto si volta / fingendo di non riconoscervi?
/. . . . / Non siete voi quelli che dicono / che è proprio dei poeti / avere
sempre la testa fra le nuvole? / Sapeste quante nuvole / ho visto /
trasformarsi in terra e viceversa.”. In altri termini: è vero, saremo anche
portati a fantasticare, non avremo abbastanza senso pratico ma ci sono modi e
modi di sognare: c’è chi fa castelli in aria costruendo grattacieli e chi non
ha bisogno di spingersi così in alto perché ha già posto le fondamenta della
sua umile ma sicura dimora qui, sulla nostra Madre Terra.
Poetica
dell’intero – dunque – così mi piace definire il pensiero poetante di Annalisa,
avvalendomi anche di una parola-chiave, a me nota fin dalla prima lettura di Di spalle al tempo (opera
antecedente quella di cui ci stiamo occupando).
Della raccolta, mi colpì in particolare un titolo: Delirio, che si concludeva con un distico che, indelebilmente,
restò scolpito nella mia memoria; eccolo: “Non l’avevi capito! / l’intera gioia
voglio…e il pianto intero.”.
A parte la
creazione formale dell’ultimo verso – comunque da segnalare per un chiasmo di
rara, esemplare bellezza – rapisce la sua circolarità da giro armonico (per
usare una terminologia musicale). D’altro canto l’armonia è un tratto
distintivo di questa poesia ma sarà bene ed indispensabile comprendere da cosa
si origina, qual è l’interiore bisogno che spinge a cercarla.
Andando
avanti con la lettura, c’imbattiamo nei versi che seguono: “Qui è quasi terra,
/ qui è quasi mare / ma mai abbastanza terra / né completamente mare”. Versi
nati in sospensione; mi spiego: la poetessa (chi ha già il libro potrà
desumerlo da p.22) è realmente a mezz’aria, a “mezza altezza” nel suo
sostenersi ad una briccola, ed è da quella posizione che si rende conto di non
essere né terra né mare, è da quella precarietà che sorge il sogno.
Ma allora –
scusatemi – come si fa a parlare di vagheggiamento? Niente affatto: si tratta
di vero e proprio anelito, concreto anelito alla libertà, come “l’intero volo
bianco (si noti la bellezza della sinestesia) di un gabbiano” che sfuma in
lontananza verso e oltre l’orizzonte. Oltrepassare il limite, quindi, si può ma
ad una sola condizione: prima bisogna accettarlo e, se non basta, amarlo; è
così che “il mese dei voli d’oltrealtezza” non è più soltanto maggio con il
gelsomino in fiore, con i veli di magnolia, con il profumo dei tigli ma tempo
altro di una primavera altra, cui persino la parola non riesce ad adeguarsi.
Ho appena
nominato la più identificativa delle componenti che caratterizzano la scrittura
ed il pensiero di Annalisa: parlo dell’amore; l’amore in tutte le sue forme e
manifestazioni ma, anche, nella sua unicità, nella sua universalità di dantesca
memoria.
È fin troppo
facile constatarlo per il fruitore dell’opera; più difficile è seguire un
percorso per nulla scontato o, troppo spesso, praticato, da gran parte degli
scrittori, con superficialità. Qui no, non si cade nella trappola – e si badi,
non lo dico per piaggeria – qui, per gioirne davvero, si è disposti a farsi
male, a piangere se occorre, tenendo fede al celeberrimo canto, dedicato a
Paolo e Francesca, dal sommo poeta, nel quale si legge: “Amor che a nullo amato
amar perdona”, giustappunto a sottolineare che lambire – questo ci è dato – il
mistero dei misteri comporta una grande macerazione, un tormento interiore che
prelude all’estasi.
È questo il
ponteggio che sostiene quella che ho definito e – ora più che mai – continuo a ritenere la
poetica dell’intero: se non ci si affida all’amore il discorso, e con esso la
comunicazione, saranno sempre parziali, manchevoli della tessera più importante
di tutto il mosaico. È il tassello che palesa il disegno, il tessuto che lascia
intravedere il suo ordito.
Ditemi: come
si fa a non leggere tutto questo nei versi conclusivi di Anna (p.50): “essere figlia del figlio che ti è nato / essere madre
che se lo stringe al petto”; il parto, la vita sono il nucleo dell’atomo
(d’amore) da cui ogni cosa si forma.
Spiegatemi:
quale migliore metafora (mi si perdoni se ne replico la lettura) rende
l’assenza, attesa, più convincentemente di quella che descrive la chiusa de Il dondolio dell’onda: “E’ in
quest’assenza piena / che mi manchi / come alle alghe a riva / il dondolio
dell’onda” (p.54).
Fatemi
capire se non è plenitudine di vita questa: “Sembra vuoto intorno / sembra
perdere importanza il resto / dopo che hai toccato per intero / con un dito il
cielo /. . . . / rivivo / ogni gesto improvvisato /. . . . /. . .e sento / che
pieni di tutto questo / erano dunque / quell’apparente vuoto e il resto”
(p.74).
Mi rendo
conto di essermi eccessivamente dilungato – e ve ne chiedo venia – ma arduo è
fermarsi quando s’intuisce che i passi sono orientati versodove ci si riconosce eternità, sillabe, poesia.
Sandro
Angelucci
Annalisa Rodeghiero legge |
Annalisa Rodeghiero legge |
Ho letto e condiviso anch'io l'intervista a "Fattitaliani" rilasciata dalla Rodeghiero. Ci sono affermazioni rivoluzionarie che sottoscrivo in pieno. Non è sufficiente scrivere versi per essere poeti. Anzi, non è necessario. La poesia è indubbiamente un "fare" (poiein), ma è un fare che sgorga dall'intimo sentire, dai silenzi interiori, da quella visione del mondo che è - come dice Angelucci - "una vocazione prenatale". Si è poeti innanzitutto nel pensiero, nello spirito. Uno spirito che deve indubbiamente incarnarsi nel mondo, ma che può manifestarsi in qualsiasi azione creativa. Si può essere creativi e intrinsecamente poeti, infatti, in molteplici forme, ivi comprese, perché no?, quelle della casalinga e del facchino. Sto leggendo (molto lentamente, purtroppo) il testo della Rodeghiero e trovo particolarmente intriganti le osservazioni svolte da Angelucci. Lui parla giustamente di "poetica dell'intero", riferendosi all'unità di spirito e materia, alla comunione di sensi e d'anima, all'attrazione dei contrari, e di conseguenza alla filosofia dell'amore (che non è un ossimoro), in cui si espleta la poesia della Rodeghiero.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Caro Franco, ribadisco la soddisfazione nel sapere che la mia convinzione sulla necessità di essere poesia per poterla fare sia sostenuta da te e sia stata ripresa nella relazione di Sandro. Non è poi così scontata la questione.
EliminaIn riferimento alla definizione della mia poetica come “poetica dell’intero”, non avrò parole sufficienti a ringraziare Sandro ma sono certa che non potrà scordare la mia espressione d’incredulità e gratitudine dopo l’ascolto della lettura della sua splendida relazione nella Sala Consiliare del Comune di Asiago. Ora anche tu affermi di avere riscontrato nei miei versi la ricerca (che posso dirti naturale e spasmodica nel contempo) dell’interezza nell’indispensabile attrazione dei contrari. Ricerca dell’intero sì, soprattutto in relazione a quella che chiami la” filosofia dell’amore” racchiusa nei miei versi. Certo che non è un ossimoro, molto si può dire sull’amore. Rimane il fatto che esso sta, tra la parte razionale che appartiene all’uomo e la follia divina che ancora vive in lui e dai miei versi volutamente emerge il mio pensiero a riguardo.
Ti sono davvero grata per le parole di condivisione.
Annalisa Rodeghiero
Non conosco il libro di Annalisa Rodeghiero, ma la lettura che ne fa Angelucci è splendida. Denota una penetrazione critica ed empatica di notevole spessore, tale da presupporre un notevole studio dei testi con armi critiche ben attrezzate, ma soprattutto un'immersione nella poesia tale che solo un poeta poteva realizzare : il poeta Sandro Angelucci.
RispondiEliminaMariagrazia Carraroli
Sono grato a Mariagrazia Carraroli per il suo commento che si unisce a quello di Franco e Annalisa componendo una triade migliore della quale non potevo davvero sperare.
RispondiEliminaSono qui, dunque, ad esternare la mia riconoscenza a tutti, soprattutto per aver colto - ognuno a proprio modo - ciò che più m'interessa: la creatività del mio scrivere esegetico.
Sandro Angelucci
Desidero ringraziare di cuore il nostro caro Nazario a cui rinnovo il mio affetto e la mia stima per l'infaticabile lavoro a favore della diffusione della poesia.
RispondiEliminaUn sentito grazie anche alla poetessa Maria Grazia Carraroli per la lettura della presentazione di "Versodove" di Sandro Angelucci.
Annalisa Rodeghiero