Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade
Varese. Requiem per il Campo dei Fiori
La fine di questo ottobre 2017 e l’inizio del
mese di novembre si apre qui da noi a Varese con un fatto inquietante e
doloroso: l’incendio della montagna che sta alle spalle della città, il mitico
Campo dei Fiori. Ne siamo tutti addolorati e increduli. Chiedo, impotente, soccorso alla poesia.
Alberi
Bosco!
Enorme frantoio
di
luce: rapido, screziato,
si
batte a viso scoperto…
Guarda:
nell’ora della risacca
il
bosco gioca con se stesso!
-Così
anche tu giocavi con me.
Quando di offese è
ubriaca
l’anima infuriata,
quando spergiura
di non lottare più con
i demoni,
….
alberi! A voi vengo!
Al vostro
gesto che sale, che
supera e salva
dall’urlo del mercato,
e dà
nuovo respiro
all’anima. (M. Cvetaeva, set.1922)
Il campo dei
Fiori, l’eden del nostro territorio, brucia.
Mi immergo nella
poesia di G. Rodari, che amava questo territorio:
Io amo
il mio passato
..le
montagne sono il mio passato
i
laghi prealpini e i loro pesci
..i
nidi delle processionarie…
L’autunno
è la mia patria,
riconosco
i suoi monti
e gli
alberi di cui ritrovo i nomi.
I loro
volti sereni e severi
come
per anni li ho portati in cuore
senza
sospetto ma non senza piangerli
oscuramente.
Ritrovo
i sentieri che furono miei,
riascolto
il vero suono del mio passo.
Questa
è stata la mia giovinezza,
questo
bosco prigioniero dei suoi rami,
nutrito
dai suoi profondi odori,
vivo
di mille morti,
le
betulle, ingannevoli fantasmi,
gli
abeti, i pini, i cedui scoscesi,
il
muschio, il ginepro, il nocciolo,
il
capanno in fondo alla pioggia.
Non mi
inganno, vi amo,
amata
prigione che odiai,
dove
solo i ricordi giacciono in pace,
ricordi di ricordi, impietose menzogne
che la pietà di me mi
fabbricava
per consolarmi di un meschino rifugio. (G. Rodari)
La poesia di G. Rodari mi
commuove, mai è stata così mia e mai l’ho letta con tanta passione ferita.
Il Campo dei Fiori brucia.
Brucia il bosco sopra i paesi della lacuale, bruciano la
faggeta, le betulle, la pineta che porta salendo lentamente all’Osservatorio,
il fumo investe il tuo olfatto come un’offesa da cui non sai capacitarti né
difenderti.
Se fossi capace di
sentimenti aggressivi, forti, augurerei agli stupidi, rozzi, insensibili,
ottusi piromani di questo scempio di liberarci della loro esistenza, di
bruciare con gli alberi meravigliosi che hanno dato luce, bellezza, eleganza al
mio paesaggio, al profilo quotidiano amico su cui puoi contare sempre, e
ammirare il colore in evoluzione continua dei vari tipi di albero e di foglie
con la loro sinfonia di colori. Stanno andando in fumo anche i ricordi, una parte della giovinezza di ognuno
di noi, la memoria di serene camminate nel bosco, le albe celesti al Forte di
Orino, i tramonti dal Sacro Monte, il fruscio delle chiome dove lo scoiattolo
corre felice, i fiori di montagna, le prime primule, le peonie selvatiche e le
centauree dai colori solari… L’inferno
dantesco offrirebbe a costoro una buona varietà di scelta di sistemazione
…invece non so odiare, so solo dolermi, sentire una malinconia infinita, una
tristezza amara per un paesaggio perso, morto, per una solitudine pacificante
ricca e riposante di vita in armonia con
l’ambiente che è stata snaturato.
La natura violentata. Che tristezza!
Questa nostra terra celtica dove gli antichi
abitanti erano talmente innamorati dei loro luoghi ospitanti da aver concepito
uno zodiaco, che associa ai diversi periodi dell’anno altrettanti alberi! Il
loro calendario iniziava il primo novembre, era composto da 13 mesi. Numerose
tradizioni sciamaniche ne condividevano la simbologia ravvisando nell’albero
cosmico la rappresentazione dell’intero universo.
Io
amavo in particolare, all’inizio dell’erta di Luvinate, un albero di noce dalla
grande chioma, di grandi orizzonti: esprimeva forza, autonomia, passione,
un forte desiderio di una vita
solitaria. Mi sembrava quasi la traduzione vegetale della mia personalità.
Diceva
la grande Marina Cvetaeva:
“Per ciò che riguarda gli alberi, vi dico con assoluta
serietà che ogni volta,
quando qualcuno in mia presenza nota: una certa quercia
- per com’è dritta,
o un certo acero- per lo sfarzo delle foglie,
o un certo salice- per il suo piangere,
io mi sento lusingata come se fossi io ad essere lodata e
amata, ….”
Il
Campo dei Fiori brucia. Non ho più parole.
Maria Grazia Ferraris
“Per ciò che riguarda gli alberi, vi dico con assoluta serietà che ogni volta,
RispondiEliminaquando qualcuno in mia presenza nota: una certa quercia
- per com’è dritta,
o un certo acero- per lo sfarzo delle foglie,
o un certo salice- per il suo piangere,
io mi sento lusingata come se fossi io ad essere lodata e amata, ….”. Ho seguito la triste vicenda del campo dei fiori e mi sento vicino oltremodo al dolore della scrittrice, che, fra l'altro, ce o trasmette con un afflato lirico-panico di una tale vivacità simbolica da lasciarci spaesati...
Angelo Bozzi
grazie di aver condiviso caro Angelo Bozzi e grazie anche per aver sottolineato gli struggenti versi della Cvetaeva che di dolore..ne sapeva abbastanza.
RispondiEliminaNella simbologia dell'albero (radici e chioma) c'è la congiunzione fra la terra e il cielo, tra l'orizzontalità e la verticalità, tra la forza gravitazionale e la spinta di elevazione verso l'alto, in equilibrio armonico tra di loro. Purtroppo, quello degli "stupidi, rozzi, insensibili, ottusi piromani", di cui parla la Ferraris, è un fenomeno in grande espansione e rappresenta drammaticamente, da un punto di vista simbolico, l'interruzione di quel contatto e di quell'equilibrio armonico. L'umanità attuale, non soltanto per questo motivo, sta mostrando viepiù di voler separare nel modo più radicale ciò che è congiunto per voleri cosmici e che congiunto dovrebbe restare nei progetti della comunione edenica. In tal modo si isola e si condanna al grigiore più squallido, alla solitudine più arida e tetra. E non è la "vita solitaria" del grande albero di noce "all'inizio dell'erta di Luvinate", particolarmente amato da Maria Grazia, che ora non c'è più. In quella solitudine montana suonavano le orchestre universali ed era la più grande delle compagnie possibili, una festa straordinaria cui gli stolti piromani che bruciano se stessi non verranno mai invitati.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie Franco. Sono commossa di tanta sintonia ed empatia
RispondiEliminaUn dolore palpabile, quello di Maria Grazia per questo scempio. Un dolore di molti, per questi nostri meravigliosi paesaggi italiani che stanno andando a fuoco. Troppo difficile accettare, troppo difficile comprendere come sia possibile arrivare a distruggere un ecosistema, che ha avuto bisogno di molti anni prima di raggiungere un perfetto equilibrio. Solo menti insensate e insensibili possono arrivare a tanto. La cosa che spaventa e fa dispiacere è la presa di coscienza, di essere circondati da simili personaggi .
RispondiEliminaAL FUOCO!
Rosso crepitio.
Grida carminie
al cielo s’alzano.
Cammina, corre, sbrana.
Rasa di nero
l’orrenda fiamma.
Il manto della terra inghiotte.
Corvina tace la morte.
L’occhio straziato: il tacito lamento
di distruzione sente.
Ha canto lugubre, questo esteso silenzio
che la desolazione accoglie.
Criminale colui che uccide la capinera
e il merlo e la dimora loro.
Dissennato e assassino chi il ferace
tempo annienta, dandolo in pasto
al vorace fuoco.
E dolore arde
incendia pezzi d’anima
di chi la vita ama.
Serenella Menichetti.
cara Serenella, hai proprio colto con sensibilità e partecipazione, nei colori nei lamenti, nei gridi disperati le emozioni che tale orrido spettacolo suscita.
RispondiEliminaTutto questo è doloroso Maria Grazia ma come dice Angelucci dobbiamo denunciare, condannare questi scempi. Non dimenticandoci di educare con ogni mezzo, le nuove generazioni all'amore e quindi al rispetto di questa nostra terra. Serenella Menichetti.
EliminaUn passo che non può passare inosservato, questo di Maria Grazia Ferraris. Se così fosse, dovremmo sentirci - tutti - piromani. E, invece, c'è ancora chi getta acqua sulle fiamme, chi combatte per salvare anche soltanto un albero: lo fa con gli idranti reali ma anche metaforici della poesia; sempre carichi, sempre pronti a difendere il bosco di ogni Campo dei Fiori rovente sulla pelle di nostra Madre Terra. Lo fa, anche se sconsolatamente sostiene di non avere più parole, ma intanto lo fa: come Marina Cvetaeva, sentendosi lusingata nell'essere amata perché lei stessa è una quercia; come Rodari, che cantava la sua terra pur vivendo di mille morti; come ancora la canta la Ferraris che, nonostante l'ineludibile amarezza, non sa odiare. E' questa la forza della parola: disprezzare, denunciare, condannare con tutte le lacrime del mondo e tutta la speranza dell'uomo vero, incorrotto, naturale.
RispondiEliminaSandro Angelucci
grazie carissimo e sensibile Sandro, così partecipe, così attento alle fibrillazioni dell'animo poetico di chi incontra con empatia poetica. Anche il tuo lavoro di commentatore è un'apertura alla speranza, alla civiltà e alla bellezza
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCome non condividere lo stato d'animo di Maria Grazia Ferraris quando ci si è trovati nella stessa condizione di spirito al divampare rauco e vorace di fiamme gigantesche e inarrestabili che bruciano - prima ancora che i fiori, gli alberi, i boschi e i luoghi che li ospitano - quei legami sentimentali e quasi panici che con queste realtà naturali quasi inavvertitamente si stabiliscono? È incredibile come la morte di un bosco, di un prato - o del “nostro” Campo dei fiori- generi una dolorosa percezione di assenza, interrompa un consolidato flusso sentimentale; o, forse, lo sostituisca con impeti d’ira, di rivalsa; o con un senso di sconfitta, di privazione, di impotenza. Anche nella mia piccola isola (46 kmq) nel corso di ogni estate si consumano scempi di questo tipo; che fanno male, molto male, a chiunque abbia un minimo di sensibilità, a chiunque ami la natura e creda nella vita. Il nero che lascia un incendio è desolante, spettrale. La tristezza, infinita.
RispondiEliminaMaria Grazia Ferraris con questo scritto ci fornisce l’esatta cifra di un animo -il suo- partecipe, sensibile, delicato. E amante dei fiori, cioè della bellezza, e della vita. Ma, nel contempo, ci invoglia a fare meglio la nostra parte in ogni battaglia di civiltà.
Pasquale Balestriere
Grazie per il tuo commento così partecipe, proprio di chi ha vissuto una situazione così infernale e l'impotenza, il senso di sconfitta che si genera, grazie per condividere la sofferenza per la morte di ogni "campo dei fiori".
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