Corrado
CALABRÒ, La scala di Jacob, Il Croco,
1° Premio Città di Pomezia 2017.
Nota
di Aurora De Luca
Camillo Sbarbaro parlava di effervescenze, che
sarebbero le cose che un poeta riesce a carpire, ma rapide a svanire quasi alla
velocità della luce.
Tutto è teso verso il limite tra ciò che esiste
ed un momento dopo non esiste più.
E il poeta è lì, a cercare di svelare, in
quell’attimo di tempo, un accadimento di bellezza - che comprende anche il suo
contrario - tra l’esserci e lo svanire.
Per quanto sia vero che le grandi questioni
restano e restano grandi, esse accadono e agiscono in modi diversi, e il poeta,
ancora una volta, è lì a cercare di non diminuire in nulla l’esteriore o
l’interiore, altresì a rivelarlo così fortemente quasi da rompere gli schermi,
o il pennino con cui scrive, o l’anima di chi legge.
Corrado Calabrò è proteso verso l’illimite, come scrive Vincenzo
Guarracino, e si muove entro due realtà opposte: quella quotidiana,
contemporanea, tecnologica, multiforme e quella non tangibile che diremmo
appartenere all’anima. Due realtà opposte, sì, ma che non sopravvivono l’una
senza l’altra.
La
scala di Jacob prima di salire scende, ovvero si innalza
dalla realtà terrena – e dalla realtà ondeggiante come il mare, elemento mai
assente nella poesia di Calabrò - per accedere ad un ultraterreno che, prima
d’essere un regno celeste, è il regno dell’anima.
La poesia può farsi sulle esperienze di vita, e
da queste prende il suo verso. Lo stile di Calabrò rispecchia questo ‘stare
nella vita’ e alterna bagliori lirici a passi descrittivi e prosastici. Una
poesia in continua ricerca, come la vita stessa, non di approdi ma di punti di
contatto tra il finito e l’infinito, tra il fuori e il dentro: punti in cui
l’uomo possa comunicare con se stesso e poi con l’umanità che lo circonda.
«È una scala che non può finire», scrive
l’autore, perché si accresce in ogni verso andando avanti. Ivi si concentra la
vita, nelle sue mirabolanti bellezze e nelle sue terrificanti contorsioni: i
drammi del contemporaneo mondo, tra compromessi e marciume, tra sacro e
profano, si distillano nell’amore, nella natura, il maschile entra in contatto
con il femminile, si respingono, si attraggono. Per ognuna di queste tematiche stili
e rese differenti (lirico, descrittivo, onomatopeico, epigrammatico, evocativo)
che però restano nell’armonia complessiva, come in un dolce amaro piatto: ecco
servita la vita.
Aurora De Luca
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