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lunedì 14 maggio 2018

ANNA VINCITORIO: "AD ALBERTA BIGAGLI"


ALBERTA

Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade

Sarebbe riduttivo parlare solo per ricordare Alberta. Alberta non è stata
ma è una realtà. Le sono compagne le “lunghe ore brevi” che tracciano il cammino solitario di chi conduce una ricerca interiore per poi proiettarsi oltre il binario tracciato dalla nascita. Visioni, futuri lattiginosi e galassie. La sua parola spazia dalle ignote profondità di un oltre fino allo scudo sicuro delle pareti domestiche, nella quotidianità del grembiule dai quadretti bianco-rossi. Importante è superare gli affanni e le ferite e proiettarsi verso gli altri. La mente dilata figure, luoghi, suoni per inerpicarsi più in alto. Il corpo perde la sua connotazione umana e si fa “pietra segnata da mappe/ invasata in argilla/ con memoria di voci”. Voce, quella di Alberta che riecheggia nel nostro intimo e riveste corposità azzurrine. Alberta si definiva laica ma il suo laicismo era un generoso protendersi verso gli altri. Il suo lavoro a Solliccianino cercava di aprire spiragli in quei ragazzi; una liberazione dai draghi dell’io, una ricomposizione positiva in un lasso di tempo compiuto: giugno 1993 – dicembre 1994. 48 incontri dal perché al caso, alle ali di gabbiano, al tempo della terra, all’amico venuto da fuori, alla scelta, alla grande luce, alle paure, alle tre verità, all’ultimo incontro il n°69 senza titolo.
Lei ha cercato per quei ragazzi un’apertura da allargare per poter uscire e
farcela da soli: “Ho voglia di vivere,/ stringere i denti/ ed andare avanti”. Una laicità che è pïetas, ascolto. E lei sapeva ascoltare. Il cammino di quei ragazzi nella paura, lei lo indirizza verso l’amore e l’amore ci proietta verso la luce, il fuori, una libertà anche se al momento solo vagheggiata. Lei ha trasmesso speranza e il suo raccontare si dipana tra immagini e visioni: la terra da lei profondamente amata dai “pampini color vermiglio su cui cupo il sole si levava…”
In lei – Amore e altro – Amore prevale, altro può essere tutto. Il tempo
passa attraverso la sua costante opera creativa che si snoda in figure struggenti nella loro follia e che lasciano nel cuore una indelebile impronta. La figura di Olindo del fuoco ci permette di comprendere appieno quel fuoco d’amore che ci permea e ci fa assumere l’identità di quelle figure rinchiuse nell’Ospedale Psichiatrico giudiziario di Montelupo. Dramma nel dramma reso accessibile tramite l’ascolto e la parola di Alberta. Lei che condivide la sua vita con “persone, animali, natura” e ci guida verso un oltre che impaura e affascina. La sua è una laica, profonda religiosità nata dal suo perenne voler dare. Quel dare incondizionato di una madre. Infatti questo grande sentire di Alberta assume in lei dimensioni ampie e profonde. La maternità si snoda attraverso il nostro essere. Dal seme della terra si nasce.
Noi agiamo come esseri pensanti e il pensiero può intendersi un mare
infinito che trasmette e raccoglie. Essere per se stessi e per gli altri; amore dal nostro profondo; accogliere e nutrirsi dell’altro. Accettare il mistero della nascita e vibrare con in noi il pulsare del mondo.
Questo, secondo quanto ho potuto percepire, è l’essere madre di Alberta. Ti sento accanto.

Anna Vincitorio
Firenze, 20 aprile 2018

ALBERTA BIGAGLI – Sesto Fiorentino 1928 – Firenze, 5 agosto 2017

Celesti onnipresenti alati
io sono la straniera terrestre
che chiese di rimanere agli amici
ed ho un’altra forte preghiera.
Non lasciatemi mai galleggiare
nello stagno di aria fumosa.
Dove i sensi non sono vivaci
e l’anima non è ancora completa.
In cielo o in terra vorrei
essere una vera identità.

(Agli Amici di: Villa Ulivella – Firenze – Collana La Voce)




4 commenti:

  1. Un lavoro di certosina descrizione psicologica e di umanissima fattura letteraria...
    Paolo

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  2. Il magnifico post della cara Anna Vincitorio ci introduce alla conoscenza di
    un'Autrice, Alberta Bigagli, che la nostra Anna sente
    profondamente vicina per contenuti artistici e umani. La Poetessa, infatti,
    per trentacinque anni ha esplorato il linguaggio in tutte le sue forme, in
    un progetto di decostruzione e di ricostruzione della parola poetica,
    avvalendosi del suo ruolo di psicopedagogista, che le ha concesso di tenere
    lezioni e di unire la propria anima a quelle delle creature più disagiate,
    come i ricoverati negli ospedali psichiatrici - la lirica che Anna posta è
    relativa proprio a un dono "Agli Amici di VIlla Ulivella" - ospedale di
    Firenze - , o alle persone costrette a sopravvivere negli spazi angusti
    delle carceri. .Anna scrive. "E lei sapeva ascoltare. Il cammino di quei
    ragazzi nella paura, lei lo indirizza verso l’amore e l’amore ci proietta
    verso la luce, il fuori, una libertà anche se al momento solo vagheggiata" e
    ci lascia 'vedere' la donna e l'Artista tesa al dono come arco, desiderosa
    di proiettare luce laddove il buio tende a prendere il sopravvento
    Va detto che il primo a porre attenzione sull'Opera di Alberta fu Carlo
    Betocchi, con una prefazione alla prima silloge della poetessa del 1975
    "L'amore e altro". Egli fu trafitto da questa poesia nuova e rara, che si
    distingueva per impatto espressivo e per autenticità. Poesia che si
    impadroniva dei lettori, rivolgendosi soprattutto alle loro orecchie e
    ricordando, talvolta, nel montaggio ad 'arazzo' la pacatezza degli indios.
    Va detto che l'Autrice non ha mai diviso l'attività lavorativa da quella
    poetica. E' stato anzi, proprio l'intrecciarsi delle due attività, a
    consolidare la tendenza all'accoglienza. In lei, asserisce Anna Vincitorio:
    "Altro può essere tutto". Una poetessa che s'inoltra con amore infinito nei
    mondi che incutono paura, che evita la mondanità e irride ai piccoli
    borghesi, ignari dell'esistenza di un'altra vita. E' lei a scrivere
    rivolgendosi a coloro che sente tanto lontani dal proprio universo:"Dimmi,
    non senti quest'odore di bosco, questo scrosciare d'acque, questi ululati di
    piacere e queste risa?" Laica, quindi, come sottolinea Anna, ma capace di
    palesare un'esperienza delle cose quotidiane e della natura di carattere
    estatico e visionario, simile a quello che il mistico ha della realtà
    spirituale. Una donna alla quale confesso di sentirmi vicina anch'io e che
    Anna ha avuto il merito di rendere cara a tanti lettori con la sua scrittura
    poetica e appassionata e con una lirica che è specchio dell'esistenza di
    Alberta.

    Maria Rizzi

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  3. Alberta una realtà: “lunghe ore brevi”, la parola profonda e incalzante che dai rigagnoli del quotidiano azzarda sguardi oltre gli orizzonti, l’importanza di superare gli affanni e le ferite per proiettarsi verso gli altri, il senso della vita, la dedizione ai ragazzi, alla cultura, all’amore, voce che riecheggia nel nostro intimo, un laicismo proteso, il lavoro a Solliccianino, i 48 incontri, l’attaccamento alla vita:“Ho voglia di vivere,/ stringere i denti/ ed andare avanti”, amore-luce, il panismo esistenziale che dà forza ad un sentire ontologicamente esplosivo, fattivo, attivo, dolce e gentile (“pampini color vermiglio su cui cupo il sole si levava…”), la creatività donata, Olindo, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo... “Questo, secondo quanto ho potuto percepire, è l’essere madre di Alberta. Ti sento accanto”, l’ultimo pensiero a conclusione del “racconto” psicologico della Vincitorio.
    Sì, questa è Alberta Bigagli in una pagina magistrale quale può partorire solo la penna di Anna adusa al verbo, alle sapide iuncturae, schiette e sensibili in pagine che faranno storia. E non è di certo azzardato definire questo brano coll’appellativo di prosa poetica per la sua fluidità, per la sua immersione in “animo et corpore”, per “amor amicitiae”, per il suo approccio ai risvolti dell’esistere. Ho già avuto occasione di leggere e di gustare pagine poetiche e critiche della scrittrice fiorentina e sempre sono rimasto affascinato dalla snellezza del dire e soprattutto dalla capacità di ricavare il bello dalla complessità dell’animo umano.
    Grazie, amica, di avermi educato al silenzio generoso della lettura.
    Nazario Pardini



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  4. Dio non è una bandiera, ma le religioni purtroppo, disattendendo l'avvertimento di non nominarlo invano, procedono a spron battuto a scatenare guerre contro gli infedeli. Non tutti i religiosi - è ovvio - vivono la fede in tal modo, ma la tendenza a trasformare i simboli in feticci è molto radicata e giustamente la Vincitorio, parlando della Bigagli, evidenzia ammirata "la sua laica e profonda religiosità". Dio va messo in pratica nell'azione quotidiana, tenendo a bada la tentazione ideologica di parlarne astrattamente facendone bandiera. Si può essere addirittura atei (altro che laici!) ed avere una fede spirituale incrollabile, come mostra la Bigagli. In fuga da regioni troppo eteriche, lei dichiara di essere la "straniera terrestre" pervasa da un fuoco d'amore che la spinge a donarsi eroicamente al di fuori de sé. Lei vive spiritualmente la propria terrestrità, ed è questo che conta. La terra è fusione di sensi e d'anima. Non è quello "stagno di aria fumosa dove "i sensi non sono vivaci / e l'anima non è ancora completa". Spiritualità incarnata: "In cielo o in terra vorrei / essere una vera identità".
    Franco Campegiani

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