La narrativa
oggi
Le opere architetturali, cioè
quelle costruite più sul plot narrativo che sulla ricerca stilistica o sulla
ricerca di una via espressiva, se vogliamo, anche un po’ misteriosa, sembrano
essere quelle preferite dai maggiori editori italiani oggi. Intendiamoci,
alcune di queste sono ottime e si leggono con piacere, ma è quasi inevitabile
trovare personaggi molto simili tra di loro, con tormenti risolvibili
aritmeticamente e con vite prevedibili perché spesso, troppo spesso, si basano
su stereotipi. Capita quindi che la narrazione utilizzi ingredienti noti,
razionali, quotidiani, e che l’unico elemento di novità sia l’intreccio della
storia, spesso, però, prevedibile. Su questa scia, molti autori, guidati anche
da quello che si legge in giro, affollano le scrivanie degli editori minori con
richieste di pubblicazione di opere in tutto simili ad altre pubblicate da
editori maggiori, per cui assistiamo ad un continuo inseguimento dove la lepre
la fanno gli editori “importanti” con le loro linee editoriali (sarebbe meglio
dire la loro strategia "squisitamente" commerciale), e gli
inseguitori sono gli autori che, avendo idee anche rispettabili, incanalano la
propria creatività alla ricerca di un giusto riconoscimento. La guida, insomma,
la fa chi pensa al profitto; il resto, anche la creatività, non è che una
conseguenza della spietata legge del mercato. In tutto questo, però, forse si
sottovaluta il ruolo della televisione. Non so quante volte vi è capitato di
sentire, per fare un complimento allo scrittore, che l’opera si presta per un
film o una serie TV. Ci vuole poco, del resto, a dirlo, un film nasce sempre da
un lavoro di scrittura… però, credo che questo paragone non sia necessariamente
positivo: chi dice che l’opera può diventare un film, lo fa con i suoi film preferiti
in testa, quindi con riferimento ai tanti déjà vu e non con l’idea di vedere
qualcosa di veramente nuovo. Se, avendo tempo e voglia si guardano le serie TV
(o certi film) che vanno per la maggiore, quasi tutte produzioni americane, si
può rilevare che la maggior parte di queste sono gialli investigativi, racconti
polizieschi e storie di eroi. Alcune sono fatte benissimo, da far sfigurare i
timidi tentativi nostrani di produrre serie più a misura della nostra cultura
provinciale, che lo spettatore “evoluto” non guarderà mai (in un fenomeno
cinematografico recente, il film “lo chiamavano Jeeg robot”, troviamo l’uomo
triste e solitario che diventa supereroe e che si trova a combattere contro i
cattivi; film di grande successo, acclamato dalla critica, che però non è altro
che una triste reinterpretazione delle megaproduzioni d’oltre oceano, a
dimostrazione che l’originalità non paga, e che la creatività è un ingrediente
inutile per avere successo).
In letteratura, mi è capitato di leggere romanzi in cui l’autore, in uno slancio di onestà, fa chiaro riferimento alla passione per le serie televisive americane. Quasi una confessione, o una delazione per quelli che scrivono lo stesso genere di libri con la stessa impostazione stilistica. Comunque, a parte le influenze nefaste che la TV o il cinema possono avere, e hanno, sulla nostra letteratura, occorrerebbe parlare delle influenze benefiche, cioè di ciò che fa sì che un’opera letteraria sia anche un’opera artistica, e questo faremo tra un po'. Intanto, vi chiedo: quante volte vi è capitato di leggere un qualsiasi romanzo e di non trovare nulla, ma proprio nessun elemento in grado di farvi pensare a qualcosa di nuovo, o in grado di darvi quella sensazione, quel brivido, quell’emozione profonda che poi, una volta chiuso il libro, lavora nella vostra testa per tre giorni? Quante volte, finita la lettura, dimenticate tutto e non sentite dentro di voi nulla, assolutamente nulla che possa ricordarvi che avete letto un libro? Possiamo citare mille nomi di autori contemporanei che non passeranno alla storia anche se vendono tanti libri e sono acclamati dalla critica ormai consortile, possiamo citare titoli di opere vane, vacue e inutili che si leggono avidamente ma senza che si assimili la pur minima emozione. Non lo faremo, ma mi sento di affermare che quella non è letteratura. Se, però, quando si legge un libro si sente che qualcosa succede, si pensa, si trema, si ha un brivido e, una volta arrivati alle ultime pagine, si rallenta la lettura, si degustano le parole lette, si sente che ad alzare gli occhi dalle pagine si vede tutto in modo diverso e quella sensazione dura qualche ora, beh, allora quella è letteratura. Insomma, la letteratura, a prescindere dal genere, deve, necessariamente, farci iniziare un viaggio nella parte inesplorata di noi stessi. In questo gli autori contemporanei spagnoli e latinoamericani sono dei maestri, con loro anche i libri di denuncia, quelli più crudi, hanno la chiave che apre le porte del sogno. Certo, generalizzare è un errore, ma questo scritto non è altro che un pensiero formulato sulla base di centinaia e centinaia di letture che, a mio avviso, invece di premiare la nostra letteratura, la uccidono. L’ingrediente mancante nella nostra letteratura oggi (a parte alcuni rari casi) è il sogno. Già, il sogno. Io credo che l’unica cosa che un uomo porta con sé quando muore sono proprio i suoi sogni, quindi è l’unica cosa che gli appartiene fino in fondo. E poi, non sono proprio i nostri sogni a muoverci verso la loro realizzazione? Questi, però, non sono un lavoro, una casa, una famiglia, ma come vorremmo che fosse il mondo, cosa potremmo fare per essere migliori, cosa vorremmo per i nostri figli… i sogni sono quelle cose intangibili, inesistenti, bizzarre e volatili per cui vale veramente la pena di lottare, di combattere, di vivere…
Ma nella letteratura italiana contemporanea, mi verrebbe da dire, il sogno sta scomparendo. Oppure no, non sta scomparendo, semplicemente è stato messo da parte a vantaggio delle strategie commerciali che s’ispirano sempre di più alla letteratura d’oltre oceano (come è successo per le produzioni TV e come succede, spesso, nel cinema) e l'editore, che del resto è un imprenditore, invece di promuovere cultura, si limita a produrre oggetti di consumo, altrimenti chiude bottega. Come ovvia conseguenza, lo scrittore medio segue la tendenza e il lettore medio si adegua (mentre il lettore evoluto ricorre ai grandi classici). Perché tutto questo?
Nessuno mi toglierà dalla testa che la creatività esiste ma non emerge, perché vittima della legge dell’offerta e della domanda, e perché sommersa dalla quantità di opere (direi di relativamente facile scrittura e lettura) di consumo. Ma c’è, esiste, lotta per sopravvivere. Allora, cosa manca affinché emerga? Non mancano gli scrittori, non mancano gli editori (pochi, indipendenti, piccoli…) coraggiosi, ma poi è il mercato che definisce le regole del gioco. E il mercato è un tiranno governato da tiranni, il mercato vuole un popolo di consumatori, un popolo passivo e coglione che dica sempre sì, non vuole un popolo di pensatori, perché quelli fanno la rivoluzione e cambiano i paradigmi fino a impossessarsi della realtà! Questo, forse, successe nel ‘68… poi il mercato, o chi lo gestisce, si è evoluto e ha capito che, una volta creato un “modello”, lo si segue. Questa è la dinamica di cui siamo vittime. Tutti! I “modelli” che fanno mercato, e di “modelli” se ne vedono tanti, su misura per le nuove tendenze, sono anche in grado di “anticipare” i desideri delle masse. Non parlo di un romanzo di Orwell, ma della realtà. La legge suprema del marketing vuole l’uomo schiavo e privo di pensiero, perché ciò che conta, o ciò che regolamenta il mercato, non sono la volontà o l’unicità dell’individuo, anzi, quelle vanno neutralizzate… ciò che conta è la capacità di creare tendenze attraverso modelli efficaci, e la capacità di neutralizzare la volontà individuale attraverso queste tendenze.
Per questo la letteratura oggi non fa sognare e non agisce come amplificatore di pensiero. E non crediate che con un romanzo di denuncia si risolvano questi problemi, no… anche la denuncia passa per i filtri della censura del mercato e ormai non è altro che uno specchio per allodole, un lupo addomesticato, l’illusione che il mondo si può cambiare che però resta illusione senza mai debordare nel sogno. Allora, cosa occorre per cambiare? Non dimentichiamo che dietro le regole del mercato esistono sempre delle menti, esistono degli uomini, spietati, avidi, senza scrupoli, sono loro a muovere le pedine, a decidere dove o come agire, anche portando avanti azioni e scelte per noi, semplici elementi di una massa amorfa, sono scandalosi e incomprensibili. Sono uomini che giocano con i nostri destini, ma pur sempre uomini. Come noi! E se noi, invece di farci addomesticare da questa dinamica, riuscissimo ad esprimere l’inespresso, a ricordare che questo è il motore del pensiero e dell’arte, allora, non credete che potremmo far qualcosa di buono per l’umanità? Gli scrittori devono essere in grado di sognare e devono far sognare, altrimenti tutto è inutile! Attenzione, però, anche lo stile è un elemento fondante della letteratura. Anche il piacere di far vivere il linguaggio è un dovere dello scrittore. Anche stabilire che una parola è meglio di una parolaccia è un gesto di eleganza e di recupero della bellezza. Per questo dico BASTA! Non ne posso più di commissari depressi con una vita privata distrutta, non ne posso più di giornalisti dinoccolati che diventano paladini della lotta al malaffare, non ne posso più di luoghi comuni, di stereotipi, di scurrilità, di scopate a profusione, di indagini su fatti di cronaca che finiscono in storie d’amore improbabili. O meglio, questi elementi ci possono anche stare, ma mimetizziamoli, cambiamoli, deturpiamoli, rendiamoli utili alla narrazione, non oltre… perché tutto deve essere immerso in un sogno più grande, un sogno per cui veramente vale la pena scrivere, e consentiamoci di arrivare al punto finale con un brivido, una lacrima e con la voglia di leggere ancora un autore contemporaneo!
In letteratura, mi è capitato di leggere romanzi in cui l’autore, in uno slancio di onestà, fa chiaro riferimento alla passione per le serie televisive americane. Quasi una confessione, o una delazione per quelli che scrivono lo stesso genere di libri con la stessa impostazione stilistica. Comunque, a parte le influenze nefaste che la TV o il cinema possono avere, e hanno, sulla nostra letteratura, occorrerebbe parlare delle influenze benefiche, cioè di ciò che fa sì che un’opera letteraria sia anche un’opera artistica, e questo faremo tra un po'. Intanto, vi chiedo: quante volte vi è capitato di leggere un qualsiasi romanzo e di non trovare nulla, ma proprio nessun elemento in grado di farvi pensare a qualcosa di nuovo, o in grado di darvi quella sensazione, quel brivido, quell’emozione profonda che poi, una volta chiuso il libro, lavora nella vostra testa per tre giorni? Quante volte, finita la lettura, dimenticate tutto e non sentite dentro di voi nulla, assolutamente nulla che possa ricordarvi che avete letto un libro? Possiamo citare mille nomi di autori contemporanei che non passeranno alla storia anche se vendono tanti libri e sono acclamati dalla critica ormai consortile, possiamo citare titoli di opere vane, vacue e inutili che si leggono avidamente ma senza che si assimili la pur minima emozione. Non lo faremo, ma mi sento di affermare che quella non è letteratura. Se, però, quando si legge un libro si sente che qualcosa succede, si pensa, si trema, si ha un brivido e, una volta arrivati alle ultime pagine, si rallenta la lettura, si degustano le parole lette, si sente che ad alzare gli occhi dalle pagine si vede tutto in modo diverso e quella sensazione dura qualche ora, beh, allora quella è letteratura. Insomma, la letteratura, a prescindere dal genere, deve, necessariamente, farci iniziare un viaggio nella parte inesplorata di noi stessi. In questo gli autori contemporanei spagnoli e latinoamericani sono dei maestri, con loro anche i libri di denuncia, quelli più crudi, hanno la chiave che apre le porte del sogno. Certo, generalizzare è un errore, ma questo scritto non è altro che un pensiero formulato sulla base di centinaia e centinaia di letture che, a mio avviso, invece di premiare la nostra letteratura, la uccidono. L’ingrediente mancante nella nostra letteratura oggi (a parte alcuni rari casi) è il sogno. Già, il sogno. Io credo che l’unica cosa che un uomo porta con sé quando muore sono proprio i suoi sogni, quindi è l’unica cosa che gli appartiene fino in fondo. E poi, non sono proprio i nostri sogni a muoverci verso la loro realizzazione? Questi, però, non sono un lavoro, una casa, una famiglia, ma come vorremmo che fosse il mondo, cosa potremmo fare per essere migliori, cosa vorremmo per i nostri figli… i sogni sono quelle cose intangibili, inesistenti, bizzarre e volatili per cui vale veramente la pena di lottare, di combattere, di vivere…
Ma nella letteratura italiana contemporanea, mi verrebbe da dire, il sogno sta scomparendo. Oppure no, non sta scomparendo, semplicemente è stato messo da parte a vantaggio delle strategie commerciali che s’ispirano sempre di più alla letteratura d’oltre oceano (come è successo per le produzioni TV e come succede, spesso, nel cinema) e l'editore, che del resto è un imprenditore, invece di promuovere cultura, si limita a produrre oggetti di consumo, altrimenti chiude bottega. Come ovvia conseguenza, lo scrittore medio segue la tendenza e il lettore medio si adegua (mentre il lettore evoluto ricorre ai grandi classici). Perché tutto questo?
Nessuno mi toglierà dalla testa che la creatività esiste ma non emerge, perché vittima della legge dell’offerta e della domanda, e perché sommersa dalla quantità di opere (direi di relativamente facile scrittura e lettura) di consumo. Ma c’è, esiste, lotta per sopravvivere. Allora, cosa manca affinché emerga? Non mancano gli scrittori, non mancano gli editori (pochi, indipendenti, piccoli…) coraggiosi, ma poi è il mercato che definisce le regole del gioco. E il mercato è un tiranno governato da tiranni, il mercato vuole un popolo di consumatori, un popolo passivo e coglione che dica sempre sì, non vuole un popolo di pensatori, perché quelli fanno la rivoluzione e cambiano i paradigmi fino a impossessarsi della realtà! Questo, forse, successe nel ‘68… poi il mercato, o chi lo gestisce, si è evoluto e ha capito che, una volta creato un “modello”, lo si segue. Questa è la dinamica di cui siamo vittime. Tutti! I “modelli” che fanno mercato, e di “modelli” se ne vedono tanti, su misura per le nuove tendenze, sono anche in grado di “anticipare” i desideri delle masse. Non parlo di un romanzo di Orwell, ma della realtà. La legge suprema del marketing vuole l’uomo schiavo e privo di pensiero, perché ciò che conta, o ciò che regolamenta il mercato, non sono la volontà o l’unicità dell’individuo, anzi, quelle vanno neutralizzate… ciò che conta è la capacità di creare tendenze attraverso modelli efficaci, e la capacità di neutralizzare la volontà individuale attraverso queste tendenze.
Per questo la letteratura oggi non fa sognare e non agisce come amplificatore di pensiero. E non crediate che con un romanzo di denuncia si risolvano questi problemi, no… anche la denuncia passa per i filtri della censura del mercato e ormai non è altro che uno specchio per allodole, un lupo addomesticato, l’illusione che il mondo si può cambiare che però resta illusione senza mai debordare nel sogno. Allora, cosa occorre per cambiare? Non dimentichiamo che dietro le regole del mercato esistono sempre delle menti, esistono degli uomini, spietati, avidi, senza scrupoli, sono loro a muovere le pedine, a decidere dove o come agire, anche portando avanti azioni e scelte per noi, semplici elementi di una massa amorfa, sono scandalosi e incomprensibili. Sono uomini che giocano con i nostri destini, ma pur sempre uomini. Come noi! E se noi, invece di farci addomesticare da questa dinamica, riuscissimo ad esprimere l’inespresso, a ricordare che questo è il motore del pensiero e dell’arte, allora, non credete che potremmo far qualcosa di buono per l’umanità? Gli scrittori devono essere in grado di sognare e devono far sognare, altrimenti tutto è inutile! Attenzione, però, anche lo stile è un elemento fondante della letteratura. Anche il piacere di far vivere il linguaggio è un dovere dello scrittore. Anche stabilire che una parola è meglio di una parolaccia è un gesto di eleganza e di recupero della bellezza. Per questo dico BASTA! Non ne posso più di commissari depressi con una vita privata distrutta, non ne posso più di giornalisti dinoccolati che diventano paladini della lotta al malaffare, non ne posso più di luoghi comuni, di stereotipi, di scurrilità, di scopate a profusione, di indagini su fatti di cronaca che finiscono in storie d’amore improbabili. O meglio, questi elementi ci possono anche stare, ma mimetizziamoli, cambiamoli, deturpiamoli, rendiamoli utili alla narrazione, non oltre… perché tutto deve essere immerso in un sogno più grande, un sogno per cui veramente vale la pena scrivere, e consentiamoci di arrivare al punto finale con un brivido, una lacrima e con la voglia di leggere ancora un autore contemporaneo!
Claudio
Fiorentini
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