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mercoledì 16 maggio 2018

N. PARDINI LEGGE: "IL TALENTO DELL'EQUILIBRISTA" DI G. APRILE


Gugliemo Aprile

IL TALENTO DELL’EQUILIBRISTA

Guglielmo Aprile.
IL TALENTO DELL'EQUILIBRISTA.
Ladolfi Editore, 2018


Una poesia incalzante, generosa, empaticamente vicina, e splenneticamente moderna, attuale per le sue nervature ontologiche, per i suoi sobbalzi esistenziali. Si parte dalle piccole cose, dai minimi avvenimenti e se ne fa materia di studio e di rielaborazione in vista di una routine che ci sfiacca:

Me ne intendo di cose che finiscono.
La pioggia laverà
senza troppa fatica né scrupolo
dichiarazioni d'amore e scritte oscene
sui muri della stazione...

Come se tutto fosse labile e volatile; come se ogni cosa, dall’amore alle scritte oscene..., passasse e finisse nell’oblio al primo sciacquio della pioggia.
       Stare in equilibrio. Camminare sul filo della vita, in precarietà, coscienti del potere del tempo; della portata della clessidra che misura impietosamente il tragitto prestatoci dalla morte: le memorie, l’inquietudine dell’esser-ci, la riflessione, la saudade, il fatto di vivere in spazi ristretti, la dicotomica frattura fra la nostra terrenità e  l’aspirazione al tanto. Un realismo lirico di stampo capassiano, che tanto si avvicina al correlativo oggettivo di memoria eliotiana. Ma qui c’è l’ego, il pensamento, la filosofia minimalista, la melanconica intrusione vicissitudinale che alimenta il “poema”. E quindi lirismo, anche, dacché il poeta sviscera il suo stato emotivo in versi caldi e impetuosi; in plastiche visività epigrammatiche. E tutto passa come le foglie cadute in un autunno ventoso, magari nell’indifferenza del mondo, delle sorti che guidano il divenire:

Tanto si finisce scaricati
in ogni caso
in un cimitero di scarpe rotte,
tutto intorno papaveri in coro
che fiammeggiano indifferenti;
una botta con il giornale e la mosca
è una macchia su un muro, e sarà
come se non fossimo mai nati.

Questo è il nocciolo dell’opera: una plaquette che con forza estremamente oggettiva e plurale ci acchiappa e ci coinvolge. D’altronde è umano correre per le strade usuali, schiavi dei vortici della vita, senza dare sguardi a ciò che ci circonda; alle bellezze che abbiamo di fronte: correre, correre, correre è tutto ciò che ci viene richiesto e noi obbediamo come robots. Sta in questo dualismo, in questa contrapposizione fra noi e il tempo; fra thanatos ed eros; fra la luce e il buio; fra il nulla e il tutto, il filo conduttore che dà compattezza e substantia al dettato poetico. Il verso corre limpido ed essenziale, si fa cavalier servente di un animo zeppo di vicende; si amplifica o si riduce, si fa apodittico o fluente in base all’intensità delle confessioni. E ciò che ci convince sta proprio nell’equilibrio che l’autore riesce a raggiungere fra dire e sentire, cosa non facile in questo mondo di pubblicazioni arruffate e senza voce.
Si parte da una visione piuttosto realistica, quasi da NOE, o da contaminazione anceschiana, sull’esistere e i suoi movimenti abituali sterili e ripetitivi:

presto avrà fine questa serie di oneri
così sterile,
digitare il codice di accesso,
orientare lo stendibiancheria
verso nord al mattino,
andare ad urinare ogni tre ore.

Un andazzo di nichilismo spirituale, lo direi, se non ci fosse tanta vera Arte, tanta fresca poesia a indirizzare lo sguardo a sfere di alta contaminazione psicologica, dove la metaforicità ed il parallelismo fanno da assi portanti alla struttura poematica: oggetti ricevuti,  albergo sgraziato. Quasi una liberazione, la morte, da un assedio di circostanze assurde e sgraziate:

questo regno dei cieli quando arriva,
in ogni fine c’è una liberazione,
sono impaziente di restituire
gli oggetti ricevuti in prestito,
spero di lasciare questo albergo sgraziato
al più presto.

Ma quello che più tormenta il poeta è il fatto di essere relegato in spazi limitati; in ambiti tanto ristretti da poter solo sognare quello che va oltre; magari potersi riposare ad una frescura e da lì estendere la vista oltre l’orizzonte del mare o al di là dei limiti dei colli; sì, avere questo tempo ed esserne padroni, ma la corsa è così veloce che nemmeno ci accorgiamo di avere vissuto:

nemmeno facciamo caso
al ricco paesaggio lasciato dietro,
un attimo e si è già a destinazione
senza accorgersi come.

Forse Guglielmo Aprile ama troppo la vita, questa vicenda irripetibile che a lui è toccata. Ne conosce la sacralità, il valore etico, la bellezza. Ed è per questo che il suo dire si fa acerbo,  di un realismo a volte crudo, risentito. Vorrebbe che fosse sua più a fondo, più pulita; vorrebbe che le sue grazie durassero più a lungo e che  certi limiti non lo condizionassero e che gli uomini fossero più vicini, più compatti, per  sopperire, con spirito leopardiano, alle magagne di cui la stessa natura umana è portatrice. E soprattutto desidererebbe non essere preso per matto qualora immaginasse, da vero poeta, di poter toccare il cielo con un dito o magari di ritornare bambino per fare ciao agli aeroplani come se i passeggeri potessero vederlo:

I bambini fanno ciao all’aeroplano
come se i passeggeri potessero vederli
e corrispondere il loro gesto,
per l’uomo che prega
l’universo deve avere pareti sottili,
il buio della stanza
è un compagno dal tenero orecchio
con molto tempo da spendere in pettegolezzi;
ma il letto vuoto è solo un letto vuoto,
chiunque non parla che a se stesso con chiunque parli,
molti i numeri di telefono non più attivi,
molti i domicili rimasti sfitti; testimone unico
dell’apparizione della stella,
non raccontarlo in giro o ti daranno del matto.

Una poesia piena, quindi, melanconicamente cucita su stati d’animo reificanti osservazioni, meditazioni, considerazioni e conclusioni, anche, sulle cose che ogni giorno giocano col nostro esistere; e tutto sembra scivolare nella dimenticanza; anche quei nomi epigrafati sulle lapidi saranno destinati ad un magazzino anonimo, pronti ad essere riciclati: un nulla, un niente, ultima meta:

La prostituta si scorda subito dopo
della faccia del cliente:
così anche il mondo
di noi, appena ci chiudiamo dietro la porta.

Un sentimento negativo sul mondo e sugli esseri sembra dominare nel corso delle pièces; nel diacronico succedersi dell’opera; o meglio un realismo spietato che declina, ictu oculi, lo svolgersi apparente delle situazioni terrene e ultraterrene. E cosa rimane, alfine?

 ecco che rimane
delle corse sul bagnasciuga,
sabbia su sabbia, e il silenzio del mare.

 Considerazioni che ogni essere umano è portato a fare, seppur dotato di talento da equilibrista, quando vive i suoi giorni in bilico fra lo scorrere della vita e l’impero della sorte.

Nazario Pardini




DAL TESTO


Di questo passo
  
Ci si incammina verso una probabile
liquidazione totale,
a breve è previsto l’esproprio,
dichiarato incapace di intendere e volere
il vecchio che provvedeva a sfamare
i piccioni dell’intero quartiere;
a partire dal primo di ogni mese
scatta la detrazione,
la confisca è immediata,
le ali di paglia finiscono all’asta,
si mettono i sigilli
ai cassetti in cui non abbiamo guardato,
si archiviano le domande
scadute per decorrenza dei termini.




Tirando le somme


Quanti leoni mandati in pensione
e come approdo
un'insalata condita male per cena;

tutto un adoperarsi
per riempire bottiglie forate,
per battezzare un falò dall’erba umida;

l’incontro galante sospirato per mesi
si è concluso in una mezza cilecca,
nemesi di chi spera.

Solo le mosche si salvano dagli incendi,
eredi uniche, ironiche
vincitrici sull’apocalisse.



Foce del mondo
           
Il bidone dell'indifferenziata
trabocca ogni giorno di più
di cartoline dalla luna di miele
e attestati di frequenza,
due foche morte sul cuscino,
giuramenti d'amore
e notti in ospedale.

Tanto si finisce scaricati
in ogni caso
in un cimitero di scarpe rotte,
tutto intorno papaveri in coro
che fiammeggiano indifferenti;
una botta con il giornale e la mosca
è una macchia su un muro, e sarà
come se non fossimo mai nati.



Saluti finali
  
Nessuno ci riconoscerà nelle foto,
nessuno interromperà il brindisi
per aver notato un posto all'improvviso vuoto;

i rematori non smettono di vogare
nemmeno se il mattino dopo un altro manca all'appello;
la comitiva, al rientro,
conta sempre qualcuno di meno
rispetto al numero dei presenti alla partenza:
ma fatica a ricordare
nome e connotati di chi risulta disperso
o è caduto in un dirupo.

La prostituta si scorda subito dopo
della faccia del cliente:
così anche il mondo
di noi, appena ci chiudiamo dietro la porta.







1 commento:

  1. Ringrazio il prof. Pardini per la sua bella lettura, di cui non posso che sentirmi lusingato, per aver colto nei miei versi qualità che vanno ben oltre i miei meriti effettivi. Io, sinceramente, mi ritengo ancora distante da una piena maturità di stile: troppe cose in me rimangono inarticolate e mute, non hanno trovato le parole giuste per rendersi comunicabili(non sono riuscito a trasporre sulla pagina il dissidio schopenhaueriano tra realtà e apparenza, la sensazione del muro di cartapesta che ci circonda, oltre il quale una rivelazione terribile temo che ci attenda...)
    Devo lottare con una certa refrattarietà delle parole a piegarsi ai miei intenti espressivi. Temo l'oscurità del senso: una poesia che non renda il mondo interiore di chi l'ha scritta con la massima approssimazione possibile, e nella quale il lettore non si immedesimi come se quelle parole fossero le sue, è per me una poesia incompiuta.
    Il quotidiano c'è, ma è ritratto in immagini surrealisticamente stravolte, e si fa trampolino agli interrogativi metafisici, il cui slancio si rovescia però in amara demistificazione degli inganni su cui si regge la 'maya' della nostra esistenza. Credo che il nucleo esistenziale del libro sia il verso "la verità o la vita, o l'una o l'altra", perché inquadra quella incompatibilità fra sapere ed agire che ebbe inizio a partire dall'Edipo di Sofocle e proseguì con l'Amleto, come ha rilevato un saggio di K. Jaspers 'Sul tragico', vero presupposto alla mia modesta raccolta...
    Guglielmo Aprile

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